Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Space Rush” di Nicola Serafini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Il tremore del terreno lo destò dal suo lungo sonno. Non era la prima volta che udiva un tale fracasso, e non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Tese i padiglioni per cercare di identificare la fonte del rumore. «Gop» mugugnò in un sordo brontolio di scontento, incomprensibile ai più. Che esseri fastidiosi. Un malizioso ghigno scoprì i denti appuntiti. Chissà se sono di nuovo quegli esserini verdastri. Scosse il terriccio accumulatosi negli anni e allungò verso la breccia i suoi viscidi tentacoli, tastando l’umidità dell’aria. «Guop!» brontolò soddisfatto. Un rombo come di tuono si sprigionò in lontananza, sopra di lui, lassù nel cielo. Intorpidito prese a muoversi, facendo i suoi calcoli. Era ancora bravo in quelle cose, o per meglio dire, era sempre stato il migliore in fatto di smembramenti, squartamenti, trapassi ed affini. Semplicemente il migliore. Un altro boato scosse la terra. Ringhiò, un brontolio cupo, gutturale, quasi un gesto di sfida. Presto sarebbe tornato a riposare tranquillo. Un brivido di compiacimento si propagò lungo la dorsale ossea. Inspirò profondamente e stette come a meditare: dopo un fulminio scambio sinaptico stimò il conteggio intorno alle sessanta unità. Con un balzo si precipitò all’esterno, tagliando l’aria come una freccia.

*

Alla stazione Atlante, in deriva controllata ai margini del sistema Spike, i due supervisori apparivano preoccupati, indaffarati nel monitoraggio delle spie verdi e assai allarmati nel costatare l’aumento di quelle rosse. Frank appariva vistosamente più in apprensione del suo attempato collega.
«Come mai?»
«Ancora non lo so Frank. Mi sembra strano, ma plausibile. Non fasciamoci la testa e aspettiamo il prossimo segnale di contatto.»
«Va bene. Aspettiamo…»
«Tra quanto passa il secondo gruppo?»
«Quello di Ray? Dovrebbe passare di qui a momenti. Secondo te sono stati avvisati?»
«Scommetterei di no. Il manuale dice che è possibile non riuscire a comunicare, anche se le spiegazioni possono essere molte. Aspettiamo e vediamo come evolve la situazione. Continua il checkup.»
«Va bene. Solo ringrazio l’Onnipotente di non essere su una di quelle navi. Preferisco le comodità» concluse, sprimacciando la generosa imbottitura della poltrona.
Herman spostò la mano e posò la sigaretta, lasciando depositare la cenere. Lanciò un’occhiata al suo vice, intento a verificare le spie. La matita nella mano sinistra tamburellava sopra i rutilanti pulsanti, la destra reggeva il manuale, gli occhi zigzagavano tra le righe alla ricerca di una risposta: Frank era decisamente crucciato.
«Non so, davvero!» esplose Frank.
«Aspetta, ti do una mano, controlliamo assieme», lo rincuorò Herman.
Herman fece per alzarsi quando le luci sulla console alla sua sinistra presero a lampeggiare all’unisono, sfavillanti, seguendo un preciso schema. Tutte verdi. Si voltò appena in tempo verso le ampie finestre per scorgere i fasci celesti delle navette che saettavano a tutta velocità verso l’infinito. Una, due, sette, dodici. Lo schermo ne indicò tredici, c’erano tutte. Fece un cenno a Frank e quello subito, scaraventando e maledicendo allo stesso tempo quell’orribile vademecum, si precipitò all’Inform per segnalare il passaggio del convoglio alla stazione di controllo più prossima alla Terra, la base Wa. Herman indicò sorridendo il manuale, volato all’altro capo della stanza.
«È davvero scritto coi piedi.» commentò divertito Frank facendo spallucce. «Scritto coi piedi o meno, il problema non è nostro. Lo avrai notato anche tu, la console ha funzionato regolarmente reagendo al passaggio delle navette. La risposta può essere una sola. Loro non riescono a comunicare con noi!»

*

«Controllo missione, controllo missione! Qui convoglio Ray passo… Stazione Atlante qui convoglio Ray passo. Herman, Frank… qualcuno mi riceve?!»
L’addetto alle comunicazioni attese i dieci canonici cicli per intercettare eventuali bip di risposta, tuttavia l’ostinato trasmettitore sibilava e sputacchiava gorgoglianti ronzii senza apparente fine. Sospirando, alzò gli occhi al cielo ed imprecò ferocemente contro antiche divinità. Una mano enorme, rivestita d’acciaio, si posò sulla sua spalla.
«Ancora niente?»
«Purtroppo no», rispose sconsolato il fonico.
Il Comandante Ray T si grattò pensieroso dietro la nuca e fece convocare lo stato maggiore.

Il campo base su S4, romantico nome affibbiato al quarto pianeta del sistema Spike, era stato allestito alle coordinate prestabilite, sulla cima di una lieve collina situata vicino ad un grande lago salato, chiamato Vitti, in onore del suo scopritore. Gli accessi erano schermati ed inoltre provvisti di impianti di sanificazione, indispensabili per mantenere l’ambiente antropico isolato dall’ecosistema alieno. Una delle tredici navette geostazionava in orbita, testa di ponte da/per la superficie. L’esopianeta, ubicato nella fascia abitabile del sistema, si era fin qui rivelato al di sopra delle aspettative.

«Orbene Signori, la situazione è questa», esordì T. Brutalmente diretto – che altro aspettarsi da un energumeno nato e cresciuto a pane e proiettili nelle basi militari dell’Eurasia – mise al corrente gli ufficiali degli ultimi sviluppi.
«Non riusciamo a contattare il Controllo Missione, men che meno il convoglio Donner, partito mesi fa e arrivato in avanscoperta qui su S-14. Abbiamo rinvenuto tracce del loro operato con lo scanner di superficie, abbiamo alcuni messaggi radio e un modulo agganciato fuori orbita. I messaggi sono criptati. E questo è quanto.»
Un coro di voci strepitanti si alzò all’unanimità.
«È una miseria sempre la stessa storia! La strumentazione fa cilecca. Ma il fonico è raccomandato? Non ci sono più le mezze stagioni.»
Il comandante ripristinò il silenzio con un sonoro cazzotto, ammaccando il piano d’alluminio. «Sentitemi bene, egregi professoroni, ecco cosa faremo. Metà della squadra perlustrazione è già uscita, a breve arriveranno i primi dati. Io assisterò il team delle comunicazioni, proveremo nuovamente a contattare il mondo esterno. Nel frattempo tutti voi continuerete l’assemblamento della base. Willis, lei faccia installare altre parabole, abbiamo bisogno di maggior potenza. Superfluo dirle che quest’ordine ha la priorità sulle restanti sue mansioni», Willis annuì docilmente, chinando il capo.
«Domande? No!? Molto bene, ci aggiorniamo tra un’ora.»

*

I ranger Xandra, Yimen e Zeta camminavano l’uno dietro l’altro, ad una distanza di circa due metri. Il primo faceva da guida, esaminando la conformazione del terreno e valutando il miglior percorso da intraprendere, il secondo armeggiava un potente scanner, il terzo era carico come un mulo di borse, zaini, sacche e vettovagliamenti vari.
«Ragazzi facciamo una pausa che dite?» chiese ansimando Zeta, «comincio ad avvertire un po’ di stanchezza…» Prima che gli altri potessero controbattere sedette fragorosamente su di una sporgenza rocciosa. «Aaah, ora si che si ragiona.»
X e Y sorrisero. «Facciamo una pausa allora, non più di dieci minuti.»
Zeta frugò nelle borse ed estrasse uno spuntino proteico, incartato in un vivace verde lime. Lo divise e lo distribuì alacremente al resto del gruppo.
«Fammi un po’ vedere quel campione che abbiamo raccolto prima sulle sponde del lago», biascicò Y tra un boccone e l’altro. Zeta mise di nuovo mano alle cerniere ed estrasse un piccolo involucro, non senza sbuffare. Il contenuto era di color grigio ardesia, pietrisco eterogeno e granulato fine fine, quasi polvere. Y lo espose controluce, picchiettandolo con l’indice per uniformare la materia. X osservava curiosa.
«Sapete, mi sembra tanto regolite quella roba lì», esordì tutta d’un botto.
Y abbassò il braccio e la fissò, sbalordito. «Sei stata sulla Luna? Cioè, ci hai camminato sopra!?»
«Certo,» rispose X «è lì che ho completato il mio percorso come ranger. Raccolsi anche alcuni souvenir e quello amico mio», indicando il pacchetto «è dannatamente simile.»
«Non pensavo utilizzassero ancora terreno vivo per l’addestramento», si intromise Z.
«Solitamente si fa quasi tutto nel simulatore», ammise X «ma con me hanno fatto un’eccezione, essendo risultata tra i primi dieci.»
Y se ne stava intontito a guardare X, incredulo. Potrò vantarmene al Circolo con gli amici quando torno a casa. Conosco una dei ranger che è stata sulla Luna! Se ne stava lì a fantasticare finché la voce di X lo riportò alla cruda realtà.
«Forza ragazzi!» esordì, scattando in piedi «riprendiamo la marcia, dobbiamo proseguire per altri 2 km circa in quella direzione», mulinò il braccio verso Est «e poi torneremo indietro.»
Z si alzò a fatica, poggiando le mani sulle ginocchia. «Io tornerei indietro subito, non so voi», propose. «Questa specie di nebbiolina che si sta alzando non era prevista.»
X e Y si guardarono intorno. Effettivamente un po’ di nebbiolina si stava sollevando. «Anche l’umidità dell’aria sembra diversa ora che me lo fai notare, sembra più pesante.»
Z accusò un profondo colpo di tosse, che ben presto mutò in un attacco. Tra un convulso e l’altro sputò «non è niente, non è niente, adesso mi passa.» Tuttavia lo sfogo aumentava, anziché diminuire. Z annaspava.
«Metti subito il casco» sibilò Y, ed X eseguì senza controbattere, cercando poi di aiutare Z sempre più in evidente stato di difficoltà. «Merda, non è normale, non è assolutamente normale». X e Y attivarono il respiratore di Z e se lo caricarono in spalla, un lato per uno. Si voltarono lesti, smaneggiando con la radio.

Un grido lacerante, bestiale, belluino, squarciò l’aria, a pochi metri da loro. Y si paralizzò di colpo e prese a tremare, terrorizzato. Lo scanner cadde con un tonfo sordo nell’aria satura di particelle d’acqua, pareva restare quasi sospeso. Z era in condizioni pietose, un fardello semi svenuto. X, ancora in possesso delle sue facoltà psico-fisiche si voltò, incerta, fissando quella sagoma indistinta, appena visibile tra le pieghe della nebbia, cercando di capire cosa fosse.
Cautamente, portò la mano stretta a pugno sul petto e premette il trasmettitore, senza distogliere lo sguardo. «Comandante, qui abbiamo un problema.»

*

Il comandante e la squadra comunicazione avevano decifrato uno dei messaggi agganciati fuori orbita ed ora lo stavano ascoltando, muniti di cuffie. Nulla di rilevante, niente che potesse spiegare l’impossibilità nel trasmettere e nemmeno indizi sul convoglio Donner. La registrazione riportava le raccomandazioni di una madre alla figlia sulla Terra.
«Ascolta papà, intesi? E prima di dormire ricordati tu di spegnere la televisione. Sono sicura che starà incollato ai notiziari sperando in un mio non ritorno! Ah ah!»
Uno spossato, e anche un po’ deluso, Ray T poggiò gli auricolari. «Okay ragazzi, sentite, vado a farmi un CDS, svegliatemi se succede qualcosa di importante.»
«Ricevuto boss!» gli fece eco il fonico.

Un grido lacerante, bestiale, belluino, squarciò l’aria e gelò il sangue di tutti i presenti. Il Comandate afferrò l’Inform imprecando. «Ma che cavolo succede qua?!»

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6 commenti »

  1. Mi è piaciuto benché io non sia madre lingua italiana e ho lavorate un po’ di più per comprenderne tutti i dettagli. Per questo racconto non è necessario essere un appassionato di fantascienza per goderlo. I protagonisti si trovano di fronte ai confini ultime. Si sa che confini ultimi ce ne siano tanti. Ovviamente ci sono sempre imprevisti e rischi. Si può anche immaginare che questa storia sia il terzio o quarto episodio, però non l’ultimo di un fumetto o di una serie televisiva.
    Mi piace leggere queste storie e a volte ne scelgo una e la leggo in classa d’italiano. Ho sempre avuto molto successo. Jose.

  2. Esatto, questo racconto si collega ad altri, ma mi piace anche così com’è, a sè stante. Un mondo di piccoli racconti intrecciati tra loro, che saltano avanti e indietro sulla linea del tempo. Grazie per il tuo commento!

  3. Il racconto è molto carino. Effettivamente sembra una parte di un narrare più ampio ma rende bene anche così. Mi piace il tuo stile di scrittura. Complimenti

  4. Grazie mille del commento!

    Sì, mi piaceva l’idea di lasciare “zone d’ombra”, contorni sfumati, per lasciare il lettore libero di immaginare e spingersi, in autonomia, un po’ più in là, con la propria fantasia.

  5. Mi piace molto come hai suddiviso la narrazione in diversi “blocchi”, un particolare originale. Hai dato più punti di vista contemporanei e sei riuscito a dipingere un mondo molto ampio in poche righe, complimenti!

  6. Grazie del commento, sono contento ti sia piaciuta l’idea!

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