Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2022 “Senza cravatta” di Sergio Clerici

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Leonardo era un ragazzo bellissimo, alto, slanciato, di carnagione olivastra, con occhi di un blu profondo e capelli nerissimi, folti e lisci. Il suo corpo di adolescente veniva allenato e modellato dai diversi sport che praticava: andava due volte alla settimana in piscina dove nuotava sempre non meno di 50 vasche; giocava a tennis da dilettante senza disdegnare di iscriversi anche a tornei ufficiali ottenendo buoni risultati; sciava regolarmente ogni inverno, facendo parte di uno sci club.

Leonardo possedeva un fascino ammaliatore particolare. Tutti ne rimanevano incantati. Era un gran parlatore e riusciva a conversare con cognizione di causa e competenza su praticamente ogni cosa. Non c’era da stupirsi che le ragazze lo corteggiassero insistentemente ammirandone la bellezza strabordante e l’acuta intelligenza.

Di relazioni e amoretti ne ha sempre avuti molti, ma si stufava facilmente e non manteneva un rapporto stabile per più di due-tre mesi.

La verità era che mostrava interesse anche per i suoi coetanei maschi. Confrontava il suo giovane corpo con quello dei suoi amici, specialmente quello bellissimo di Umberto, suo compagno di classe al liceo, ammirandone i muscoli e le fattezze. Gli piaceva quel senso di cameratismo che si creava tra ragazzi, la partecipazione alle medesime attività, anche l’odore di sudore che si percepiva forte negli spogliatoi.

I ragazzi gli davano una sensazione di ebbrezza e di piacere, una compartecipazione e un’empatia che raramente trovava nelle ragazze.

Nonostante cercasse di contrastare le sue pulsioni, quando venne a sapere che in Foro Buonaparte, vicino al Castello Sforzesco, era stata aperta la prima discoteca gay di Milano, il ‘No Ties’, non riuscì a trattenersi dal recarvisi e vedere com’era.

È solo curiosità, tipica degli adolescenti, diceva a sé stesso per giustificarsi e per non dare troppo peso alla cosa.

Alle dieci e mezza era già lì, di fronte all’ingresso.

Tutto chiuso. Eppure era venerdì e aveva letto che il ‘No Ties’ era aperta tutti i giorni.

C’era un campanello alla porta. Lo suonò e dopo qualche minuto si aprì uno spioncino da cui spuntò il viso di un ragazzo, che lo squadrò da capo a piedi, cercando di capire chi si trovasse di fronte.

“Ciao amore, cosa vuoi?”, chiese con voce cantilenante, molto effeminata.

“Mah, oggi siete aperti?”, domandò lui intimidito.

“Tesoro, sei tanto carino che, se vuoi, ti apro subito, ma sarà solo per un tête-à-tête intimo tra noi due”.

Sorpreso e sconcertato, Leonardo proseguì: “Grazie, per ora dimmi solo a che ora fate entrare la gente”.

“Allora, darling, non ti piaccio proprio, eh? Peccato. Alle undici e mezza apriamo le porte ma ti consiglio di arrivare verso l’una. Prima ci saranno solo pochi sfigati e una regina come te non può certo sprecarsi e mescolarsi con loro”.

“Ok, ripasso più tardi allora. Ciao”, rispose Leonardo brusco, interrompendo quella strana conversazione.

Il ragazzo gli chiuse in faccia sgarbatamente lo spioncino e lo lasciò lì sul marciapiede col dubbio su come passare le oltre due ore di attesa.

Allora Leonardo si rifugiò in un bar di Via Dante, ordinò un cappuccino con il cacao e ritornò al ‘No Ties’ all’ora prefissata.

Gli avevano raccontato che il nome del locale dipendeva dal fatto che chiunque si fosse presentato con la cravatta, per entrare avrebbe dovuto sacrificarla e consentire di farsela tagliare in mille pezzi con la forbice. Con questo si voleva ribadire che quello non era un posto di ‘finocchi’ di vecchio stampo, ma un luogo per ragazzini disinibiti e moderni che volevano vivere la propria gaiezza con spensieratezza e libertà.

Nell’ingresso c’era la cassa. Leonardo pagò seicento lire per entrare e scese nel locale: un ampio seminterrato pieno zeppo di persone: almeno trecento. La musica suonava a volume altissimo, molti ballavano, altri bevevano birra o liquori seduti sui divanetti che circondavano la pista e attorno ai tavolini posti in un soppalco da cui si godeva il panorama dell’intera discoteca.

Le scale erano posizionate in modo tale che chi scendeva fosse costretto a una passerella alla Wanda Osiris e a farsi giudicare dal pubblico già presente in sala, che lo valutava se interessante per un’avventura occasionale o una conversazione di approfondimento. Anche Leonardo non faceva eccezione e scendendo, sentiva il peso di decine di occhi che lo scrutavano e lo spogliavano con la fantasia.

Colse dei sorrisetti compiacenti e alcune alzate di calice per celebrare il suo arrivo.

Era un po’ intimidito; era la sua prima volta in un ambiente dichiaratamente e sfacciatamente gay e non era abituato a quell’approccio diretto e provocante.

Si diresse al bar con una mal dissimulata indifferenza e ordinò una Coca-Cola.

Il barista era un biondino a torso nudo che gli disse: “Guarda che qui ci sono anche quelle bevande alcoliche che sono proibite nell’asilo che frequenti di solito”.

Quell’uscita lo colse di sorpresa e lo imbarazzò non poco, come lo avevano imbarazzato le frasi rivoltegli due ore prima dal ragazzo che gli aveva aperto lo spioncino.

“Cosa mi consiglieresti tu allora?”, rispose al barman, tentando di mantenere la calma.

“Un bel Negroni ti farà entrare subito in sintonia con gli altri. Non mi sembra di averti mai visto qui. È la prima volta che vieni?”, gli chiese poi lui.

“Si, ero curioso di conoscere il ‘No Ties’”. Poi squadrandolo perplesso fece a sua volta una domanda: “Ma scusa, non hai freddo senza maglietta?”.

“No, qui fa caldo e poi voglio mostrare le mie beltà, che mi fruttano tante proposte e delle belle mance”, rispose lui che continuò: “Allora ti va il Negroni?”.

“Vada per il Negroni”, acconsentì Leonardo. Sentiva proprio la necessità di ingurgitare qualcosa di forte.

Il barista si girò, armeggiò con due o tre bottiglie di liquore, versò le porzioni nello shaker scuotendolo con energia, poi afferrò un bicchiere riempiendolo di cubetti di ghiaccio, gli versò dentro il cocktail con uno spicchio di limone e infine mise dello zucchero sul bordo, porgendogli il tutto e augurandogli buon divertimento.

Leonardo si staccò dal bancone con la sua bevanda e si avvicinò alla pista da ballo. Nel breve tragitto, un ragazzo, passando, gli mise una mano sulla patta dei pantaloni, allontanandosi poi velocemente ma girandosi dopo un istante per vederne la reazione. Leonardo si volse infuriato, ma quando scorse il sorriso del ragazzo che gli faceva cenno di seguirlo, decise di lasciar perdere e ignorarlo. Proseguì poi il suo percorso alla ricerca di un posto più riservato e protetto.

Si sedette a un tavolino, osservando quanto accadeva attorno. C’erano tanti giovani, in prevalenza gruppi di amici o coppie. Gli avventori solitari erano pochi, per lo più uomini maturi di quaranta o cinquant’anni in cerca di un compagno per la serata, magari a pagamento. La cosa non gli garbava affatto, quindi decise di andarsene.

Terminò in fretta il suo Negroni, ma mentre stava per avviarsi all’uscita, un ragazzo prese posto sulla sedia davanti a lui e lo salutò calorosamente, stendendogli la mano: “Ciao. Come va? Io sono Enrico”.

Leonardo lo fissò sorpreso, colto alla sprovvista. “Bene, credo”.

“La prima volta capita sempre”.

“Scusa, ma come fai a sapere che è la mia prima volta?”.

Be’, si vede. Sei molto giovane. Quanti anni hai? E poi hai un’aria spaesata”.

“Effettivamente mi sento un po’ a disagio. Stavo proprio per andarmene per non ritornarci mai più”.

“Mai dire mai. Non si può mai sapere cosa la vita ci prepara”.

Enrico tacque per un attimo, poi gli posò la mano sul braccio e con un tono di voce molto suadente gli fece una proposta: “Senti, prima di fuggire, posso offrirti un altro drink? Poi me ne andrò anch’io. Stasera è proprio boring”. A proposito, come ti chiami?”. Enrico era uno spilungone con una testa riccia spettinata. Doveva essere vicino alla trentina e non poteva definirsi certo bello. Il naso adunco e il mento aguzzo lo facevano assomigliare a un rapace, ma gli occhi penetranti e lo sguardo intenso e quasi ipnotico, lo rendevano interessante.

“Mi chiamo Leonardo e ho diciott’anni”, rispose, accettando l’offerta.

Chiacchierarono per una mezz’oretta, durante la quale non riuscì a sapere nulla di Enrico, mentre lui aveva confessato quasi tutto di sé stesso, lasciando briglia sciolta alla sua parlantina.

Abbandonarono il locale insieme. Leonardo si diresse verso la fermata del tram di Piazza Cairoli, rifiutando di essere accompagnato a casa in macchina.

Ai saluti Enrico lo baciò sulla guancia e gli strinse la mano, passandogli furtivamente un bigliettino. Poi se andò via di corsa. Sul bigliettino c’era scritto solo ‘Enrico’ e un numero di telefono.

Leonardo si accomodò su uno dei sedili di legno della vecchia carrozza e si lasciò cullare dal rollio del tram sulle rotaie, ripensando a quella strana serata.

Diede uno sguardo al bigliettino e lo accartocciò gettandolo via. Non chiamò mai Enrico, ma la frase “mai dire mai” continuò a frullargli per le mente per un bel po’.

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1 commento »

  1. Interessante! Leggendo mi sono identificato bene anche io col senso di inadeguatezza di Leonardo di fronte a qualcosa di nuovo e di diverso, o comunque lontano dall’ordinario.

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