Premio Racconti nella Rete 2022 “L’anello” di Sergio Clerici
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Marco.
Ci risiamo, pensai.
Quella era l’ennesima discussione tra me e Sara. Ormai litigavamo spesso, troppo spesso. Conoscevo già il finale. Il motivo era, come sempre, di una banalità disarmante. Una sciocchezza, che prendevamo a pretesto per insultarci e dirci le peggiori cose. Sara aveva l’incredibile capacità di rinvangare fatti capitati molti anni prima, distorcendoli e rigirandoli in modo da farmi apparire sempre responsabile e colpevole. Anche sforzandomi al massimo, non riuscivo mai a trattenermi. Perdevo la calma e mi mettevo anch’io a gridare. La litigata degenerava sempre, lasciandoci entrambi sconvolti e vuoti. Poi il tempo, la necessità e la convenienza ci costringevano a dimenticare e ignorare le vere cause dell’evidenza: il nostro rapporto era ormai esaurito e dell’amore non c’era più traccia.
Quella volta si trattava del giardiniere. Ci trovavamo in camera da letto, quella del primo piano che dava sul giardino. Sara stava guardando dalla finestra Jason, il ragazzo che ci dava una mano nelle faccende di casa.
“Marco, guardalo”, sbottò Sara all’improvviso, rabbiosa. “È il solito fannullone. Con che flemma taglia l’erba. Dovremmo licenziarlo. Ma certo tu non vuoi. Lo difendi sempre, come se lui fosse il tuo migliore amico”.
Cercai di glissare e far finta di niente, ma lei continuò, alzando la voce.
“Non rispondi, vero? Quello che dico vale zero. Certo, io non conto nulla per te. Credi che mi sia dimenticata che quando abortii nostro figlio, tu te la stavi spassando a Lanzarote, facendo immersioni subacquee con quello stupido scapolone del tuo compagno di università?”.
Non riuscii nemmeno a obiettare che, con Jason non c’entrava niente quel fatto di otto anni prima. Ma lei era già passata a un altro dei suoi cavalli di battaglia. “E quando tu preferisti passare il Capodanno con tua madre, invece che con me?”.
Non valeva nemmeno la pena di rammentarle che mia madre aveva avuto un collasso e che avevo dovuto viaggiare tutta la notte fino a Cosenza per andarla a trovare in ospedale. Ma ormai Sara era entrata in una vera e propria crisi di nervi.
“Sara, hai rotto le palle!”, sbottai finalmente, afferrandola per le spalle e scuotendola.
Sara si divincolò e scappò in un angolo della stanza, come se stessi per ammazzarla. Gridò a squarciagola che ne aveva abbastanza di me e aprì la finestra. Fu un attimo: si tolse l’anello di matrimonio che le avevo regalato molti anni prima e lo gettò con forza nel giardino. L’anello per me era un simbolo.
“Non dovevi farlo”, mormorai, cercandolo con lo sguardo tra le piante del giardino. Ma ormai dell’anello non c’era più traccia, come dei residui della nostra storia.
Fu in quel momento che paradossalmente realizzai che forse non ero ancora pronto a lasciarla e mi fermai esterrefatto, accasciandomi per terra con la disperazione in corpo.
Sara.
Quel giorno mi svegliai stranamente serena. La mia vita sembrava improvvisamente piena. Mi sentivo ottimista e generosa, anche se capivo che la relazione con Marco si stava inaridendo ogni giorno di più.
Volevo però dargli un’altra possibilità, offrirgli il mio perdono, chiedergli di buttarci tutto dietro le spalle e ricominciare daccapo. Forse quegli otto anni insieme non erano stati tutti spazzatura. Avevamo avuto anche momenti belli, che avrebbero potuto ripetersi ancora.
Ma quando Marco entrò in camera, vidi il suo viso duro e astioso e ogni gioia sparì come d’incanto. Gli dissi “buongiorno”, ma lui mi ignorò come ormai usava fare quasi sempre, trapassandomi con lo sguardo come se fossi trasparente.
Mi ricordai allora di tutti i dispetti, i tradimenti e le bugie con cui cercava maldestramente di nascondere le sue innumerevoli malefatte. I propositi di pace e di mani tese sparirono istantaneamente. Mi tornò il malumore e la voglia di trovare qualsiasi pretesto per litigare e insultarci, rinfacciandoci la colpa di stare ancora insieme e di non avere avuto il coraggio di lasciarci. Quella mattina il pretesto fu Jason, il nostro giardiniere, che stava tagliando l’erba del giardino.
Osservandolo dalla finestra, Marco si rivolse a me con un ingiustificato tono di rimprovero, dicendo: “Dovremmo fare un bel regalo di compleanno a Jason”.
“Perché mai?”, risposi. “Non mi sembra che si dia molto da fare. Tu lo proteggi, chissà poi perché. Io vorrei solo che facesse il suo lavoro rapidamente e bene. Guardalo adesso. Per tagliare l’erba del nostro praticello, ci sta mettendo tutta la giornata. Dovresti parlargli chiaramente. Non è il tuo migliore amico, ma solo un collaboratore domestico svogliato”.
Chissà cosa successe in quel momento dentro la mente di Marco. Di certo non fu il mio commento su Jason a scatenare la sua rabbia. Forse fu solo la sua voglia di farla finita una volta per sempre e quindi non importava il motivo; qualsiasi occasione era quella giusta. La sua reazione fu così esagerata, che mi colse di sorpresa. Mi afferrò per le spalle, gridandomi contro, come invasato. “Sara, sei la rovina della mia vita. Non ne posso più”.
Mi strattonò così forte da farmi male, lasciandomi dei lividi sulle spalle e sul collo.
Cercai di divincolarmi dalla sua stretta, scappando in un angolo della camera vicino alla finestra aperta. Mi sentivo minacciata. Volevo che sparisse dalla mia vita per sempre e con lui ogni suo ricordo. D’impulso mi tolsi l’anello di matrimonio e lo scagliai il più lontano possibile nel prato del giardino. Facendolo, mi sentii più libera e sollevata.
Marco si comportò anche in quell’occasione come uno stupido, fingendo un malore e accasciandosi per terra. Lo compatii per la sua stupidità. Non ne potevo più di lui. Dovevo lasciarlo e andarmene per la mia strada. Sarebbe stato meglio per entrambi.
Jason.
Era mercoledì e come tutte le settimane da ormai diversi anni lavoravo a casa di Marco e Sara. All’inizio erano una coppia affiatata, molto gentili e disponibili entrambi. Mi assunsero anche se ero appena arrivato dallo Sri Lanka e parlavo solo inglese. Ma dopo appena un paio di mesi, frequentando una scuola per immigrati, imparai a esprimermi in un italiano decente. Ricordo che Marco mi aiutò a ottenere il permesso di soggiorno e poi anche la residenza. Sara, dal canto suo, faceva di tutto per farmi sentire a mio agio, non come un collaboratore domestico ma quasi come un amico di famiglia.
Nel corso del tempo mi accorsi che il loro rapporto peggiorava. Non parlavano e scherzavano più come prima. Anche a tavola durante i pasti quasi si ignoravano. Lui leggeva il giornale o un libro, mentre lei giocava col telefonino oppure mangiava in silenzio senza guardarlo.
Le mie mansioni consistevano nel pulire la casa, occuparmi del bucato e stirare. Mi chiedevano anche di tagliare l’erba del giardino e potare le piante, proprio come accadde quella mattina.
Cominciai a raccogliere il basilico. Era profumato e splendido sotto i raggi lievi del sole. in una mezz’oretta avrei infilato tutte le foglie dentro una cesta, pronte per il pesto.
Mentre lavoravo, pensavo alla mia situazione economica con preoccupazione. Ricordavo ancora la voce di Tony scivolare dentro di me come un coltello: “Hai due giorni, dopodiché verremo a cercarti”.
Era accaduto trentasei ore prima e io ero nei guai. Due giorni, aveva detto.
Un debito di quasi cinquemila euro. Tony era un allibratore. Gestiva di tutto: dal calcio al basket, dalle corse di cavalli alla Formula Uno. Chi lo conosceva, diceva che non era incline al perdono: c’era gente che era rimasta sulla sedia a rotelle, perché non lo aveva pagato.
Al pensiero, quasi mi sentii male.
Lasciai cadere le foglie di basilico e mi sedetti a terra sul terreno umido. Mi mancava l’aria. Che diavolo ci facevo lì? Avevo solo dodici ore e dovevo saldare un debito che mai avrei potuto onorare. Che idiota. Dovevo filarmela e trovare quei dannati soldi. In qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo.
Allora sentii Marco e Sara discutere animatamente davanti alla finestra del primo piano. Feci un cenno di saluto con la mano, ma loro non mi videro.
Stavo assistendo a un’altra delle loro ormai frequenti discussioni. Anche se i motivi erano spesso assolutamente futili, sfociavano quasi sempre in litigate furiose con parolacce e a volte anche qualche spintone. Non desideravo esserne coinvolto. Avevo già i miei problemi senza dover subire anche i loro.
Fu a questo punto che vidi qualcosa di brillante volare nel giardino. Mi volsi verso la casa, ma la finestra si chiuse subito e loro scomparvero dalla mia vista. Andai a controllare cosa fosse stato lanciato. Vidi uno scintillio tra l’erba e mi chinai a raccoglierlo. Era un anello con un grosso diamante al centro e una coroncina di piccoli brillanti attorno. Capii immediatamente che era la vittima di uno dei loro soliti litigi. Forse quel giorno la fortuna volle compiacermi. Il problema del prestito aveva trovato la sua soluzione. Misi in tasca l’anello. Quando mi chiesero di cercarlo, dissi di non avere trovato niente.
Fu così che riuscii a saldare il mio debito.
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