Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “L’anima della falena” di Greta Vismara

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Mi sono addentrata in un bosco, da sola, in piena notte. So che è sbagliato, mi hanno detto di non farlo centinaia di volte, ma l’ululato del lupo, rarefatto nell’aria, ha un suono troppo affascinante per le mie orecchie. Ho resistito per molto tempo alla tentazione di uscire di casa a notte fonda, per andare ad incontrarlo. Oggi il suo grido è straziante, acuto, totalmente diverso da quello cui sono abituata. So che mi sta chiamando e non voglio più trattenermi, non questa notte.

Il cielo è completamente coperto di nuvole; la luna manda comunque una luce biancastra appena percettibile, che proietta sull’asfalto ombre deformate e confuse. Al mio passaggio, un cane si è lanciato contro il cancello, ringhiandomi e mordendo le sbarre. Mi sono avvicinata e l’ho fissato per un istante. I suoi occhi sembravano infuocati mentre, con una furia indescrivibile, cercava di divellere i tondini di ferro per uscire a mordermi. L’ho lasciato fare, senza agitarmi; il pericolo era confinato ed io mi sentivo al sicuro là fuori.

Ho continuato a camminare lentamente, molto lentamente, mentre l’ululato del lupo mi ronzava nelle orecchie. Tutto il mio corpo era dentro le mie orecchie: ogni mia cellula era intrisa di quel suono, in attesa di poterne godere una volta ancora. Invece, silenzio; intorno a me solo silenzio e l’umidità pesante della notte, quella che riesce a bagnare i capelli. Non mi sono nemmeno fermata ad osservare il campo di mais, come avrei fatto in pieno giorno. I fusti piegati dal vento hanno un aspetto sinistro, così sdraiati l’uno sull’altro, scuri, minacciosi. Con la coda dell’occhio ho avvertito la loro presenza; la calma apparente con cui si fingevano morti mi ha tolto il respiro. Zona d’ombra, accelero il passo; la luna è sempre più debole e il mio lupo mi sta aspettando.

La strada da percorrere non è molto lunga, eppure mi sento le gambe affaticate come se stessi camminando da mesi. Risuona nell’aria di tanto in tanto il sibilo di un vento che non riesco a percepire sulla pelle. “Peccato”- penso – “asciugherebbe questa umidità pesante”.

Arrivata al bivio, prendo la strada che svolta a destra, indecisa sulla scelta. So che è la strada più corta, ma so anche che è la più densa di pericoli. Le case che si affacciano su quella strada hanno occhi, occhi indiscreti pronti a carpire i tuoi segreti, se lo consenti loro. Anche le fronde degli alberi, che si piegano prepotentemente verso la strada, hanno occhi curiosi, e con il loro vociare sommesso stanno sicuramente tramando qualcosa alle mie spalle. Abbasso lo sguardo, proseguendo il mio cammino. All’improvviso, una luce che proviene da una finestra al secondo piano, quella con le imposte scardinate e il legno consumato da anni di noncuranza, attira la mia attenzione. Che strano, ho sempre creduto che quella casa fosse disabitata. Forse lo è davvero, di giorno. Di notte, però, le cose cambiano, tutto cambia quando è il buio l’unica luce cui ti puoi affidare. La foschia della notte rende ogni cosa ovattata, morbida, sinuosa, e non esistono confini.

“Lupo, chiamami una volta ancora, ti prego”, supplico mentalmente. Silenzio, solo silenzio e vuoto intorno, ed il ricordo di quel suono che mi guida e spinge i miei passi con affondi sempre più decisi. Ecco che inizia lo sterrato, meno di cento metri e sarò sul limitare del bosco. Una brezza leggera viene finalmente a farmi visita, asciugando le gocce di umidità che la notte di fine estate mi ha vomitato addosso. All’improvviso la luna esce allo scoperto, fiera, energica, rotonda, gonfia e resa più determinata da ore di cattività dietro le nuvole. La strada di terra e sassi assume un colore abbagliante, quasi fossimo a mezzogiorno di un giorno di primavera. I miei piedi nudi iniziano a sanguinare, feriti da quei ciottoli irregolari, ma non vi presto attenzione: il mio lupo mi attende, non posso rallentare il passo. Una folata di vento sposta ancora le nuvole, che vanno a coprire di nuovo, più compatte di prima, quel disco lattiginoso che regna in cielo. Il buio torna sovrano; faccio appena in tempo a scorgere, poco più avanti, sul bordo della stradina di sassi, una figura alata intenta ad affondare il becco in qualcosa di informe, forse il cadavere di un altro uccello. Avverte la mia presenza senza voltare la testa; sento i suoi occhi gialli scrutarmi da capo a piedi, una, due, tre volte. Poi, senza troppi complimenti, strappa un brandello di quella carne esanime e si alza in volo, rapidissimo, con quel trofeo nel becco. Via libera, proseguo per la mia strada. Sorpasso il cadavere del povero uccello senza avere il coraggio di guardarlo, e tristemente dedico una breve preghiera alla sua innocente anima di volatile. Mi guardo intorno, cercando la direzione migliore da prendere per entrare nel bosco. Tutto è nero, tutto è identico nel suo spettrale aspetto, non distinguo il pioppo dalla quercia, e devo usare l’immaginazione per far dissolvere quella nebbiolina leggera che avvolge ogni cosa. Spero ancora in un nuovo segnale dal mio lupo, spero che mi indichi la strada. Nuovamente, solo silenzio intorno a me, silenzio interrotto dal richiamo stridulo di un paio di pipistrelli che volano a bassa quota. Strizzo gli occhi nella speranza di vedere più lontano nell’oscurità, come una creatura della notte cerco di usare gli altri sensi per compensare la vista indebolita dal buio che mi sta inghiottendo. Avverto il mio cuore accelerare, poi rallentare, poi accelerare di nuovo, mentre una vampata di calore mi colora le guance. Non posso vedermi, ma sento che è così; sono confusa ed in pace con il mondo al tempo stesso. Tra poco darò vita a quella pulsione viscerale che mi attanaglia da tanto tempo; il mio incedere così insicuro mi brucia dentro come una ferita che non si vuole rimarginare. All’improvviso, un lampo squarcia il blu intenso del cielo. Si alza un vento tagliente, questa volta lo avverto in tutto il  corpo, sento il suo sibilo dentro la mia testa, lo sento freddo e minaccioso come una lama che percorre tutta la pelle. Le ultime nuvole sono state spazzate via, la luna risplende timida ma solenne come una vergine vestale che sale al tempio. Finalmente vedo tutto chiaramente: l’erba calpestata che conduce alla radura all’inizio del bosco, gli arbusti strappati all’altezza delle ginocchia, i sassi infidi e prepotenti che dissestano il percorso. Continuo ad avvertire la sgradevole sensazione di occhi puntati addosso.

Mi volto di scatto, ma a parte la strada di sassi e terra, non c’è nulla dietro di me. Forse il cadavere dell’uccello, abbandonato lì in un angolo tra l’erba alta e la staccionata che delimita lo sterrato, non è proprio così cadavere, forse mi sta chiamando, forse è ancora in vita e cerca aiuto. Chiudo gli occhi e provo a connettermi con il suo universo, provo ad entrare dentro i suoi occhi, provo a volare e a vedere il mondo dall’alto, come lo vedrebbe lui. Piego la testa all’indietro e spalanco le braccia. Il cielo non è più nero, è di un blu compatto, senza increspature. Oltre le nuvole, brillano le stelle, le distinguo nettamente, una ad una, ciascuna con il suo carico di elettricità all’interno, ciascuna con la sua storia di migliaia di anni da raccontare. C’è pace lassù, c’è un senso di bellezza infinita che la notte nasconde sapientemente. Sbatto ancora le ali, velocemente, intensamente. L’aria è fredda e mi fa lacrimare, a quell’altezza da terra, mentre volteggio finalmente libera, libera come non mi sono mai sentita. Il mio volo è perfetto, il momento è perfetto. Ho immaginato per quasi tutta la mia vita un momento così intenso senza mai arrivare al punto di sfiorarlo. Ora lo posso afferrare, sento di essere vicinissima a stringerlo tra le mani.

Poi, al culmine dell’estasi, compio una manovra azzardata, e cado a terra con un tonfo ridicolo.

Riapro gli occhi; il buio intorno mi fa ripiombare nell’incertezza. Vicino a me, disteso ed ansimante, il mio lupo. Il suo odore acre di vita ormai appassita mi investe, violento come un colpo di frusta. Mi avvicino ancora di più a lui e cerco i suoi occhi. Per un istante, i nostri sguardi si fondono così intensamente da fermare il battito del cuore di entrambi. Qualcosa di simile ad una scossa mi attraversa il petto e la schiena, scende brulicando dal collo alle natiche, si dirama e mi paralizza le gambe. La testa mi gira, vedo offuscato; un senso di vuoto mi riempie le viscere con un guizzo doloroso. Resto in silenzio con gli occhi fissi in quelli di lui, sino a che un velo di morte gli opacizza le cornee. A fatica alzo la mano destra e chiudo quelle palpebre ormai immobili.

Un’anima nuova ed un’anima che vaga sulla terra dai tempi remoti, non dovrebbero mai incontrarsi. Non importa quanto forte sia l’attrazione che le spinge l’una verso l’altra: devono opporvisi e resistere con ogni mezzo, perché il loro incontro è troppo pericoloso. Dalla loro unione, ha sempre origine un silenzioso passaggio di emozioni dall’anima giovane alla vecchia e di informazioni con percorso contrario. Come un virus, la conoscenza si adatta al suo nuovo ospite, si modifica per sopravvivere nel nuovo ambiente e prende il posto vuoto che le emozioni hanno lasciato. Quello che ne deriva, è una porta aperta sul sapere in continuo divenire, mutevole, incontrollabile, potente, potenzialmente letale. L’anima vecchia infine soccombe, avendo realizzato il suo scopo, e la nuova prende il suo posto, destinata ad attrarre a sé nuove anime appena generate.

Il mio lupo è morto; la sua anima che mi cercava da migliaia di anni può finalmente riposare. Mi inginocchio e lascio cadere la mia testa sulla sua schiena; tutti i miei pensieri sono collassati.  È come se non avessi mai veramente concepito nulla in tutta la mia vita, prima di questo momento, come se avessi sempre viaggiato in un vagone che è stato chiuso ermeticamente alle mie spalle nel momento stesso in cui sono nata. Ora che le porte si sono aperte mi sento smarrita, ogni cosa è diversa, pur restando inequivocabilmente la stessa. Un senso di abbandono ed inadeguatezza è tutto ciò che mi rimane di lui, simile a quel senso di vuoto che si prova solo di fronte alla consapevolezza di qualcosa di magnifico che avrebbe potuto essere e che non sarà mai. Provo di nuovo a stendere le ali, vorrei volare ancora, un’ultima volta. La stretta che mi contorce lo stomaco non lascia spazio a dubbi: per la prima volta nella mia vita, inizio ad avere paura.

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1 commento »

  1. Bel racconto. Mi è piaciuta molto l’introduzione che permette il lettore di immedesimarsi nella storia.

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