Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Øved il santo” di Gianmaria Pistone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Un`afosa domenica mattina, in una stazione affollata della metro di Anrav la polizia si porta via, ammanettato, il viso chinato ed in ciabatte un tipo sulla quarantina. Un tipo losco i cui polsi non incontravano le manette per la prima volta. Fu peró l´ultima. Medio di statura, colore dei capelli indefinito, né scuro né chiaro, carnagione indifferente. Un tipo normale un poco tarchiato e dallo sguardo semplice sí ma non aggressivo. Era lo sguardo di un emarginato, non per scelta. La sua di scelta era ricaduta su una moglie avvenente, una bella casa con vista palazzoni che vedevano a loro volta il mare. La sua scelta principale, quella donna bionda dall´andatura provocante che lo aveva mandato in cielo dopo la prima scopata lo aveva ricacciato prepotentemente nella fogna. Tutto si era presa e lo aveva fatto col diritto dato dalla legge. Se fosse stato il suo un calcolo nessuna mente fredda lo avrebbe potuto constatare ma la mente ardente del nostro la aveva etichettata subito come troia attaccata ai soldi che fa tutto per calcolo. Il tornaconto personale era l´amore che costei aveva da profondere nel mondo. E lui era il primo di una serie di pesci disposti a finire nella rete. Il pesce piú piccolo si venne poi a sapere negli anni. Ma questo il nostro non lo avrebbe mai saputo. Il suo respiro si sarebbe interrotto molto prima sulla via della redenzione di quanto quello di lei non avrebbe fatto sulla via dell´inganno. Lei era Idlos I. Irouf detta la tripla I per ovvie ragioni anagrafiche. Da bambina lucidava le scarpe dei possidenti della zona bene di Anrav. Era sporca ed era selvaggia.

Tutto ció che aveva era attaccato alla sua figura di bimba e poi di donna avvenente. Era bella e apprese fin dalle prime luci della pubertá a saperlo e poco dopo ad usarlo. Cominció a concedere pochi favori a dei mocciosi che la ripagavano in dolci e regalini infantili per passare alla torta tutta. Arrivó infatti ad essere la moglie del potente governatore provinciale. Donna rispettata e temuta il cui passato improvvisamente non era piú un problema per nessuno. Nessun epiteto veniva attaccato alla moglie del capo. La sua storia era stata ricoperta da un velo di seta che ricadeva dolcemente sulla merda fino a darle aspetto di neve. La signora Ocrops, cosí si faceva ormai chiamare per chiudere definitivamente il capitolo servitole per arrivare alla cima, era donna ormai intoccabile. Ma tutto questo il protagonista di questa storia lo avrebbe per sempre ignorato. Qui parliamo di Øved Ølraf, un criminale forse, una cattiva persona probabilmente, uno sfortunato sicuramente.

Nella fatiscente palazzina nella periferia est di Anrav il giovane Øved vide la luce senza che non gliene fregasse nulla a nessuno. Nemmeno a sua madre interessava quello stronzo figlio di suo padre. I sentimenti della madre nei confronti dell´ex compagno furono cullati nella sua mente per i nove mesi di gestazione per essere poi partoriti in parole a poco a poco durante l´arco della vita passata assieme al figlio. Ogni giorno un insulto diverso giungeva alle orecchie del pupo che sviluppó quindi un vocabolario dell´orrore variegato e ricco di vocaboli. A 3 anni giá sputava ai passanti dal balcone dell´appartamento al terzo piano dove la madre lo soleva lasciar solo per andare in quella fogna del Village, parchetto senza luce, per farsi la pera giornaliera. A 5 venne mandato ai servizi sociali dalla soffiata di una vicina a cui il nostro aveva morso il dito mentre passava dal suo pianerottolo. E da quel momento in poi fu un entrare ed uscire da istituti di correzione che poco avevano di correttivo. Se a sette anni era un bimbo facilmente recuperabile a 13 era giá un delinquente fatto e finito. E pensare che il fato gli aveva dato una possibilitá di redenzione inaspettata. Era un pomeriggio estivo di quelli in cui il caldo obbliga la gente a spogliarsi di quanti piú abiti possibili. Cosí che il lavoro dello spacciatore risulta ancora piú difficile non avendo egli molti lembi di stoffa sotto cui nascondere il malaffare. Ed é cosí, in braghette di costume, che Øved si trovó costretto a gettare in mare il piccolo quantitativo di cocaina che gli avrebbe proporzionato sostentamento fino alla fine del mese. La fuga dagli sbirri si riveló felice.

Lo braccarono ed acciuffarono in poco tempo ma al desnudarlo non trovarono nulla di illegale in suo possesso. Il corpo del reato era infatti in fodo al mare, verso la riva di una spiaggia libera al confine con una bagno privato di quei ricchi signorotti di cittá. La “roccia della fortuna” delimitava il regno dei ricchi dalla plebaglia ammassata nel fango della parte scura, non toccata dal sole. La roccia doveva il suo nome alla storia di Ocub Oluc, piccolo imprenditore che l´aveva vinta al tavolo del poker assieme ad una gemella posta alla foce del fiume Amlem che si scoprí in seguito essere una specie di enorme pepita d´oro. Quella ricca fu chiamata la Pepita e a quest´altra fu dato il ruolo di porta fortuna, roccia della fortuna appunto. Ed é proprio accanto a quella di roccia che il nostro, ancora pezzente, tornó a cercare il suo ovetto di nylon in cui era racchiusa la cocaina che aveva gettato poco prima in mare. Si da il caso che il rampollo di una famiglia di politici nazionali si trovasse proprio sul punto di tuffarsi da quella vetta quando perse il controllo del proprio piede, sbatté la testa e cadde a gobbomorto a fianco di Øved intento nella sua ricerca. A lui non gliene fotteva nulla di quel bamboccio sanguinante che gli si trovava ora di fianco  ma caso volle che la piccola onda provocata dall`impatto con l`acqua di quel figlio della nazione-bene portasse alla luce l´ovetto di cocaina, cosí che per afferlarlo il nostro si trovó come goffamento impigliato in quel corpo. Proprio mentre afferró la polvere bianca per lui vitale, vide i polizziotti di pocanzi farsi avanti verso la spiaggia piena di gente. Øved approfittó allora del corpo galleggiante del ragazzo caduto per farsi da scudo sia fisico, nascondendo la droga, sia motivazionale, in quanto si ritrovava a salvare un essere vivente in difficoltá. All´avvicinarsi alla spiaggia si rese conto delle decine di braccia alzate che imprecavano chi dio e chi la madonna. I polizziotti si trovarono spinti da una folla di entusiasti nel vedere che il ragazzo era vivo, repirava infatti. Le forze dell´ordine non potettero far altro che ringraziare il salvatore che poco prima poteva esser incarcerato sotto quello stesso piedistallo dove ora lo stavano ponendo. Era diventato Øved il santo. Tutti i giornali il giorno seguente titolavano in diverse forme che un ragazzo comune aveva messo a rischio la sua vita per salvare quella del giovane Eneb Ateicos, figlio di Erongis, impresario edile, e soprattutto nipote di Esad, ministro alle infrastrutture del governo appena insediato alle elezioni di maggio. Il fatto portó al nostro non solo una inaspettata popolaritá da salvatore ma anche, e per lui soprattutto, una barcata di soldi. Inutile dire che la famiglia del giovane aveva ricoperto d´oro quello spiantato che aveva salvato il loro pargolo, anche se per caso  e nel tentativo di salvare della semplice cocaina. E comunque ora di cocaina non ne vendeva piú Øved, solo la consumava, e a flotti.

Fu cosí che ottenne la casa di cui si diceva prima e la moglie che lo aveva usato subito dopo Piotr, un tabaccaio che aveva fatto abbastanza soldi da permettersi una macchina e un misero appartamento in periferia. Il salto per lei era stato multiplo, da un signorotto tra i pezzenti a un pezzente tra i signori. E per un po´ le cose andarono come dovevano. Soldi ce n´erano, voglia di conoscersi ed esplorarsi ne avevano, lui soprattutto, e le preoccupazioni sembravano ormai retaggio del passato. Øved il santo godette di fama per almeno un annetto fino a che un qualche altro santo di turno non ne prese il posto nei cuori dei concittadini. Era infatti quello un popolo molto credente, ma di quelli che mischiano il sacro con un profano sacralizzato. Credevano molto in Dio e credevano moltissimo nella fortuna. La storia di Øved era stata catalogata come fortuna che mette a posto una intera vita. Letta, digerita ed archiviata in soffitta a prender polvere. Giá non gli aprivano le porte dei ristoranti e dei night club, giá non lo fermavano per strada chiedendogli il perché di quell´atto di coraggio. Era passato per un attimo sotto un raggio di luce per tornare poi nel cono d´ombra. Ombra che era ora molto piú opprimente in quanto aveva ormai assaporato l´altra possibilitá. Ora aveva tanto ma le risorse sarebbero presto finite e sarebbe rimasto solo con tanto da perdere. Cosí che si ritrovó attorno ad un tavolo da poker, con la mente che tornava alla storia di Ocub e alla pepita gigante. Solo che questa, la sua di storia non era neppure parente di quell´altra. Infatti Øved si indebitó e lo fece con gente pericolosa. La caduta verso gli abissi fu agevolata dalla fuga della moglie con uno degli amici del giovane caduto dalla roccia. Aveva infatti il nostro preso a frequentare le feste del rampollo a cui aveva salvato la vita. I due non si parlavano davvero ma il ricco riccioluto provava grande riconoscenza per il tarchiato affetto da calvizie a cui doveva molto. Cosí che lo invitava alle feste, prima solo a lui e poi anche alla nuova di lui consorte. Proprio durante una di queste feste, tra un rum e cola ed una tirata di coca, la moglie del nostro si era portata nei bagni della casa dell´anfitrione della festa uno di quei ragazzoti dalle tasche piene. Lei sapeva di aver gettato il seme di una futura relazione, di un futuro passaggio al livello superiore, pronta ad alzare il piede nel momento in cui la barca su cui poggiava avesse iniziato a naufragare. E cosí fu. Øved cadde e fece rumore. Ma la sua caduta non si portó dietro la consorte no, lei infatti saltó dal peschereccio in ammollo al transatlantico lanciato a gran velocitá. Non era la prima a fare una giocata del genere e non sarebbe stata l´ultima. L´amore nato nel lusso metteva ad Anrav poche radici infatti.

La china prese ad inclinarsi sempre piú ed Øved il santo fece di nuovo capolino sulle testate dei giornali. La gente con cui si era indebitato lo aveva posto di fronte ad una scelta non esplicitata. Doveva pagare o morire e se non morire, pagare attraverso le leggi nazionali per evitare la morte. Fu questa terza via che prese il nostro, anche se incosciamente. Uccise la vicina del piano di sopra della palazzina in cui si era trasferito da un mesetto a causa della grave crisi delle sue finanze. Quella stronza dimenticava sempre il rubinetto semi aperto e la goccia che ne fuoriusciva mandava il nostro su tutte le furie. In una delle sue sfuriate alla vecchia che oltre a non sentirci manco ci vedeva bene Øved la ammazzó con un ceffone. Un semplice ceffone che non diede sfogo alla sua vita di stress e frustrazioni ma che stese la vecchia e lo sospinse fra le braccia della legge. Lo beccarono cosí mentre tentava di prendere la metro vicino a casa. In ciabatte. Il carcere fu la conseguenza del misfatto e la pena, dati i precedenti, fu a vita. Il ministro a lui tanto amico in passato era fuggito ormai da mesi in un altro paese, a causa dello scandalo di corruzzione che aveva percosso il paese in un´ondata di rinnovato spirito legalitario e non poteva essergli d´aiuto. Altri appigli non ne aveva cosí che l´unica via d´uscita da una vita di galera fu quella di spararsi diritto in vena un tiro di eroina mista a colla che si era procurato da uno spaccino del carcere. Overdose recitava il necrologio. Øved Ølraf, detto il santo, era morto e non gliene fregava un cazzo a nessuno.

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