Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Qualcosa in più” di Granit Baqaj

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

“È un lavoro come qualsiasi altro” diceva ogni sera, mentre si preparava ad uscire.

Quella sera Ivan era passata a prenderla prima. Diceva che avrebbe lavorato in un altro posto, una zona residenziale vicino al centro. Ne fu contenta perché significava che sarebbe stata pagata di più, e sicuramente avrebbe patito meno il freddo.

Dopo una trentina di minuti arrivarono in un quartiere elegante. Ivan accostò e disse  “Signor Destefani, in quel palazzo la” indicandole un condominio signorile che si trovava tra due ristoranti. Poi girandosi verso di lei, le aveva detto:”sei Karin, stasera”.

Mentre scendeva dalla macchina quasi subito si era accorta di come i palazzi erano puliti in quel posto. L’aria che lei respirava sembrava diversa da quella che le riempiva i polmoni negli alloggi dove stava. Aveva qualcosa di più leggero e più costante, come l’odore che hanno le cose nuove.

Dopo aver raggiunto la porta del condominio, premette il campanello, e nel farlo le unghie nuove color porpora sfregarono sul metallo producendo un rumore freddo.

“s-si?” aveva chiesto una voce esitante

“Ciao tesoro, sono Karin” le aveva detto lei avvicinandosi al citofono come fosse un viso umano. 

“Oh-oh, p-piano terra” aveva trasmesso l’interfono. 

La porta scattò e lei entrando pensò che faceva proprio fatica ad immaginarselo. Arrivò alla porta e dall’interno sentì dei rumori meccanici. Si agitò per un secondo e la paura la fece indietreggiare di un passo. La porta si aprì lentamente. Inizialmente non vide nessuno, poi vide un’ombra bassa. Una volta che la porta fu aperta interamente, capì che niente di quello che aveva vissuto l’aveva preparata alla persona che si trovò davanti. 

Mamma lo ha sempre detto, si lo ha detto a me, diceva che siamo tutti un po’ diversi. Anche quando le chiedevo perché gli altri bimbi potevano giocare al parco e io no. Era perché ero diverso, come gli altri,…o forse… un po’ di più. 

Certo, non è stato semplice crescere un figlio come me. Mamma è stata forte, molto forte, lo so.

Mi ricordo ancora di quella volta che mi ha raccontato di come sono nato. Avrò avuto 13 anni, ed ero tornato da scuola in lacrime perché ero inciampato nelle scale ed ero caduto davanti a tutti. Agli sguardi imbarazzati ero abituato, ma le parole imbrattate di gentilezza non provocavano la metà del dolore che riuscivano a farmi quelle risate. Ogni sogghigno che sentivo mi tagliava e mi privava di qualcosa. 

Mia madre si era avvicinata col cuore sospeso e mi aveva abbracciato. 

“Perché? Perché sono così?“

Nel buio della stanza aveva pianto anche lei. Mi aveva detto che non era mai stata colpa nostra. Era lì che mi aveva raccontato del giorno in cui ero nato. Singhiozzava mentre parlava, e le sue mani avevano rimosso, più volte, le gocce che le cadevano dallo sguardo. 

“Sai Luca “ la prima volta che ti vidi eri ancora ricoperto da uno strato lucido, come a non volerti dimenticare di quegli ultimi mesi…” Disse, appagata dalla calma che le procurava quel ricordo.

“…ed eri la cosa più bella che avessi mai visto”. 

Ci fu una pausa in cui sorrise. 

“Sì ma perché sono così mamma?” ricordo d’aver chiesto, interrompendo quel suo rievocare. 

Il suo sguardo si era ingrigito subito.

“il medico..” sospirò “..penso che abbia commesso un errore. Diceva-diceva che c’erano state delle complicazioni e che aveva… fatto una manovra diversa dal solito per farti nascere… Mi-mi aveva assicurato che non ci sarebbero state conseguenze…”

Invece le conseguenze c’erano state. Erano passati pochi mesi dalla nascita quando mamma e papà si accorsero che la realtà aveva mancato l’appuntamneto con le aspettative. Non rispondevo agli sguardi subito, mangiavo poco e non riuscivo a stringere nulla con le mie mani.  Ma la cosa peggiore fu che avevo una piccolissima sensibilità alle gambe. La chiamavano tetraparesi, io sapevo solo che facevo tanta fatica a camminare.

Io ero lì, ma in me qualcosa non era mai nato. 

Forse il più grande aiuto lo trovai quando incontrai Alessia. Lei era una volontaria che lavorava nel centro studio che frequentavo dopo scuola. Aveva gli occhioni verdi e guardava il mondo al di sopra di un sorriso che non sapeva smettere di esserci. È stato grazie alle passeggiate che facevamo tra i boschi del Conero che mi ha aiutato ad affrontare grandi difficoltà. Insieme abbiamo riso, urlato, abbiamo pianto insieme. Lei mi accoglie, sa leggermi negli occhi senza nemmeno che io abbia bisogno di parlare, mi sa aspettare ed è la ragazza più dolce con cui abbia condiviso la mia vita. Ogni tanto litighiamo anche, mi manda a quel paese, ma io l’adoro per questo perché vuol dire che tiene a me, che non mi tratta come fossi di cristallo, ma come fossi una persona…vera. Come tutti gli altri. 

Oltre ad essere molto dolce, Alessia, è anche molto bella. Ho avuto il piacere di ammirare il suo corpo una volta, non so nemmeno io cos’abbia, ma per me è il massimo. 

Ho sognato, più volte, mio malgrado, di essere al posto di suo marito. Di condividere con lei la bellezza di una vita insieme. L’ho desiderata anche fisicamente, di poter sentire il suo calore sulla mia pelle, il suo profumo, la sua morbidezza. Il suo amore. Ma so che questo non accadrà.

Ed è anche per questo se ho cercato altrove il bisogno di contatto.

Quando la vidi era bellissima. Era ferma sulla soglia di casa, mi fissava da sotto una giacca che le copriva metà corpo. Se in quel momento era scandalizzata non lo fece vedere. 

Mi presentai “P-piacere Luca” le dissi con un leggero sorriso

“Buonasera caro, io mi chiamo Karin”. Disse con una voce molto sensuale. 

Si tolse la giacca e vidi che sotto indossava una gonna corta in pelle nera e sopra un cardigan di lana pettinata rosso bordeaux che le rimarcava le curvature del seno. A quella visione, sentì un calore crescermi sotto il viso. 

“Possiamo andare in-in salotto se vuoi” dissi mentre con la mano le indicai la direzione. “Vuoi qualcosa da bere?” 

Accettò e le versai un bicchiere di Verdicchio Riserva, che avevo già preparato per l’evenienza. Con un po’ di difficoltà, tirai su la manica della camicia bianca che portavo e brindammo. 

“È la prima volta con uno.. come me?” chiesi dopo il primo sorso. 

“Uno come te?” disse sorridendomi, come ad aver accettato immediatamente quella condizione. 

Bevvi un altro sorso di vino e nel deglutire sentì un’emozione di piacere diffondersi sotto il volto. Mi resi conto che ai suoi occhi ero un qualsiasi individuo. Già, potevo essere chiunque, ma per lei ero una persona. E quel pensiero mi fece star bene. 

Mi chiese di usare il bagno e la vidi attraversare la sala prima di scomparire in un altro locale.   Guardai il bicchiere di vino, che aveva appoggiato sul tavolino, e notai l’impronta rosea che le sue labbra avevano lasciato sul bordo del calice. Immaginai che fossero le labbra di Alessia ad aver firmato il suo passaggio. A quel pensiero sorrisi timidamente. Lei non era qui. C’ero solo io, con il mio bisogno di sentire qualcosa che non avevo mai avuto, e che ne sentivo tremendamente l’assenza. 

Al suo ritorno si avvicinò a me. Il mio cuore diffondeva battiti che non riuscivo a seguire. Continuò ad avvicinarsi fino ad avere il suo volto davanti al mio e mi diede un bacio. Il primo bacio della mia vita. Mi resi conto che avevo tenuto gli occhi aperti, come a vedere se quello che stavo vedendo coincidesse con quello che sentivo. Lei si accorse e sorrise.  Aveva le labbra sottili e calde. Il contatto di quelle nostre parti fu qualcosa di così intimo che mi colse quasi alla sprovvista.

“Posso sedermi?” disse lei con una voce carica di erotismo. Una voce con cui nessuna donna si era mai rivolta a me.  

Si sedette sopra le mie gambe e mi baciò ancora. 

Non so per quanto tempo continuammo, so solo che imparai a lasciarmi andare a quella sensazione. Chiusi gli occhi. I movimenti erano diventati più fluidi e sembrava quasi ballassimo. 

“Vuoi che andiamo in camera?” mi chiese mentre con la mano accarezzò il mio volto. 

Accettai. 

Ci indirizzammo verso la stanza da letto. Ero un po’ goffo nei miei passi ma notai che volse lo sguardo nella mia direzione una sola volta. Mi fece quasi piacere che non si offrì di aiutarmi a camminare. Era una donna molto intelligente, aveva sicuramente sentito che un qualsiasi suo intento di soccorso mi avrebbe messo ulteriormente a disagio. 

Arrivato a letto mi sdraiai sulla schiena e lei si mise sopra di me. Iniziò a sbottonarmi la camicia. Fu quando mi accorsi che le tremavano un po’ le mani che decisi di prenderle le dita e baciarle. Conosco bene quello che accade alle mani, perché io le ho sempre usate, nonostante la difficoltà, apprendendo a sentirle, forse, più di tanti altri. Ho capito che hanno un cervello loro, e le emozioni spesso ci si possono intrappolare dentro. 

Quella notte facemmo l’amore. La sua incertezza in alcuni momenti mi fece sentire che per entrambi era, in qualche modo, una prima volta. Fu bellissimo anche per questo. 

Ci fu un momento molto intenso anche dopo, quando eravamo sdraiati, uno da parte all’altro. Condividere il respiro con lei e guardarci senza parlare, dopo l’intensità di quell’atto così intimo, fu forse la parte che più mi riempì. 

Si rivestì e ci salutammo con un bacio. Le diedi i soldi per quello che mi aveva regalato e l’accompagnai alla porta.

Quando arrivò a casa si cambiò i vestiti e mentre svuotava la borsa trovò una lettera. L’aprì spiegandone le pieghe che aveva preso.  

“Karin, dolce creatura, mi sono permesso di comprare un po’ della tua vita oggi. Per portare, forse, con un po’ di egoismo, qualche momento di piacere nella mia. Ti chiedo scusa per questo. So di aver commesso un errore..

Io non ti conosco, non so nulla di te. L’unica cosa che mi auguro, e che lo spero con tutto il mio cuore, è che tu sia felice.

Credo che sia io che te siamo accomunati dalle difficoltà che questa vita ci ha riservato. Facciamo entrambi del nostro meglio per poterle affrontare e superare. Per farlo io cerco di aggrapparmi ad essa e trovare le forze per combattere, anche grazie alle persone che mi sono vicine, che mi aiutano, e oggi quella persona sei stata tu.

Non so che effetto possa avere questa lettera su di te, forse ti sembrerà ridicola, forse ti farà sorridere. Io spero nella seconda.

Ti saluto dolce Karin.

Grazie per avermi mostrato quest’emozione. Grazie per avermi liberato.”

Sorrise. Nel lavoro che faceva si era arricchita di tanti nominativi diversi. Era stata una donnaccia, una sgualdrina, una poveraccia o una puttana…qualche volta era pure stata l’amore di qualcuno. Ma non si era mai permessa di mostrarsi emozionata. Mentre ripiegava la lettera sentì che una lacrima le aveva attraversato il viso. Era la prima volta, da tanto tempo, che qualcosa le era passato attraverso la dura corazza che si era costruita per proteggersi. 

“Era un lavoro come qualsiasi altro” diceva. 

Anche se, oggi, era stato qualcosa di più.  

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2 commenti »

  1. L’atmosfera creata ricorda le canzoni di Fabrizio De Andrè, quelle dove dal letame nascono i fiori (mentre dai diamanti non nasce niente).

    Mi è piaciuto anche il finale perchè lascia la storia “sospesa”, senza dare una soluzione ai personaggi ma lasciandoli alle loro possibilità.

  2. La narrazione è molto equilibrata, in un argomento in cui è molto facile cadere nel pietismo, si respira invece il rispetto dell’altro, nella sua diversità. Mi sono emozionata, come la protagonista. Conplimenti

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