Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Un attimo dopo” di Claudio Mazzei

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

L’eco di quelle ultime parole tardava a spegnersi, trascinandosi oltre ogni ragionevole limite. Poco prima, esse avevano disseminato inquietudine in tutta la sala, promettendo eventi straordinari. Perfino le panche avevano scelto un mutismo inusuale, evitando di gemere sotto il peso degli occupanti e dei secoli di cui, per certi versi, erano state protagoniste.

Il silenzio regnava incontrastato e l’austerità di quell’ambiente ne risultava quasi esaltata; del resto, già in molte altre occasioni la tensione aveva raggiunto livelli senza dubbio eccessivi. Quella era una giornata speciale, unica probabilmente.

La voce dell’uomo dilaniò letteralmente quella sorta di quadro vivente che, involontariamente, si era creato.

“Oggi sarai giudicato! Finalmente, avremo ragione di te.”

Ogni singola sillaba era stata scandita con chiarezza: niente di ciò che era stato appena detto doveva sfuggire.

Nessuno osava fare il più piccolo movimento, mentre quel suono severo raggiungeva ogni angolo di quell’ambiente senza età.

La luce che penetrava dalle alte finestre creava delle chiazze allegre sul pavimento di pietra, quasi nel tentativo estremo di abbellirlo in qualche modo; tuttavia, si trattava di una lotta dall’esito scontato, in cui la dura oscurità modellata dalla mano dell’uomo riusciva a sopraffare quella luminosità quasi miracolosa, assorbendola e imprigionandola nell’oblio. Del resto, anche se il processo in corso non aveva precedenti nella storia, quel pavimento, quelle panche e quelle mura erano stati testimoni di numerose altre vicende drammatiche; e, forse, di queste avevano sempre trattenuto la parte peggiore.

La sala era ampia e rettangolare e, da un’estremità, un lungo tavolo la dominava in tutta la sua larghezza. Era occupato soltanto da un lato e al centro di esso, ma in posizione arretrata rispetto alle altre sedute, un’imponente poltrona sorgeva su una pedana in legno con due gradini: quello era il posto riservato al presidente della corte chiamata a giudicare il malcapitato di turno; in quella particolare occasione, era occupato da una figura decisamente singolare: una donna molto bella, vestita con abiti sontuosi che tanto ricordavano quelli delle teste coronate di epoche ormai lontane. Il suo fascino era magnetico, quasi tangibile e la malìa che esso sprigionava sembrava avviluppare tutto ciò su cui il suo sguardo si posava. Pensare semplicemente che fosse irresistibile non sarebbe bastato a rendere adeguatamente conto del suo potere: nessuno, nella sala, osava guardarla apertamente. Eppure, vinti dalla tentazione, in tanti sbirciavano, certi di non essere visti anche se, invece, così non era. L’attrazione che ella esercitava era troppo potente per poterle resistere. Tuttavia, qualcosa stonava in quella melodia, incantevole quanto arrogante, che una tale bellezza suonava con maestria: a ben vedere, qualcosa di malsano traspariva dagli occhi di quella splendida creatura, come una sorta di nebbia che ne offuscava la limpidezza fino a indurre a immaginare tracce confuse della vera natura di quello sguardo: ed esso prometteva crudeltà oltre ogni limite umanamente comprensibile.

Ma quell’essere così inconsueto non era solo: accanto a lei, intorno alla pedana su cui sorgeva il suo strano trono, quello che sembrava essere un gruppo di bambini scrutava senza pausa l’intera sala, non risparmiando nessuno. Abbigliati a loro volta con vesti regali, insieme a quella che sembrava essere la loro madre, formavano un’immagine degna di essere immortalata su tela dalla mano sapiente di un artista d’altri tempi; ma, probabilmente, il risultato sarebbe stato un quadro dalle tonalità cupe e inquietanti: a ben vedere, si aveva quasi l’impressione di osservare un gruppo di demoni assiepati ai piedi della loro padrona.

Dall’altra parte della sala, gli spettatori potevano distribuirsi tra sedie e posti in piedi, mantenendo rigorosamente il massimo ordine; al centro della stessa, ma sufficientemente vicino al tavolo della corte, era posizionata una singola sedia ben separata dal resto: era il posto riservato all’imputato e, quel giorno, appariva più isolato che mai.

Uno dei giudici era in piedi e fissava con sguardo severo il malcapitato. Ricominciò a parlare:

“Mai nessuno si era spinto fino a tanto, ma noi ce l’abbiamo fatta. Probabilmente, l’incapacità dei nostri predecessori ti aveva convinto di essere invincibile, ti aveva regalato la convinzione di poter rimanere al di sopra degli uomini e delle loro leggi. Ebbene, sappi che non è così.”

Nella breve pausa che seguì quelle parole, tutti si concentrarono sull’imputato: ma con grande delusione generale, neanche il più piccolo movimento tradì le sue emozioni.

“E’ arrivato il momento di rendere conto di tutto ciò che hai fatto e che, non c’è dubbio, vorresti continuare a fare. Niente sarà più come prima e l’ordine indiscutibile che avevi stabilito sarà scardinato, cancellato per sempre e dimenticato nel volgere di poco. Da oggi in poi, non sarai tu a decidere come dovranno andare le cose, ma ognuno lo farà per sé, secondo i propri desideri e le proprie possibilità. Non saremo più trattati tutti allo stesso modo, come hai fatto fino a oggi: al contrario, ciascuno di noi sarà diverso, perché è un nostro diritto esserlo! Sappi che oggi sarai chiamato a rispondere anche di questo. La mortificazione della nostra individualità avrà fine, ma prima deve essere punita!”

Furono in molti ad applaudire davanti a quello slancio verbale, inequivocabilmente intriso di risentimento se non di vero e proprio odio. Così, mentre la polvere danzava allegra nei raggi di luce che illuminavano quello strano processo, quasi a volersi unire all’entusiasmo generale che era esploso così improvvisamente, anche il legno delle panche faceva sentire nuovamente la propria voce: era come se la sala tutta avesse ripreso a respirare dopo una lunga apnea.

L’imputato continuava a rimanere impassibile. Le ultime parole del suo accusatore lasciavano poco spazio al dubbio e tutti sapevano che essere giudicati colpevoli in quella sala poteva tradursi soltanto in accadimenti molto gravi. Eppure, il suo sguardo era sereno, i suoi lineamenti distesi: la calma non lo aveva abbandonato e ciò lo rendeva un bersaglio ancora più odioso agli occhi di chi intendeva colpirlo con ferocia. Del resto, anche una rapida occhiata distratta non avrebbe potuto fare a meno di cogliere l’autorevolezza che avvolgeva quella figura, il cui viso dai tratti decisi, ma delicati allo stesso tempo, incorniciava una risolutezza che sembrava ineguagliabile: priva di ogni traccia di arroganza, da essa scaturivano in egual misura saggezza e determinazione.

Improvvisamente, egli contrasse impercettibilmente i nervi del viso e cominciò a parlare:

“Siete certi di desiderare davvero ciò che state facendo?”

Le sue parole non ebbero modo di percorrere per intero l’ampiezza di quel luogo che, stridulo e assordante, giunse improvviso una sorta di urlo bestiale, subito seguito da quello che sembrava essere un brusio, anch’esso ben poco umano.

La sala rimase immobile per un tempo che parve infinito. Allo stupore per le parole dell’imputato, si era immediatamente sostituito il terrore sparso con generosità da quel suono agghiacciante. Gli spettatori continuavano a coprire le orecchie con le mani, nel timore che esso si ripetesse, accucciati sulle loro sedute e tesi a tal punto che una fuga generale sembrava diventare sempre più probabile di momento in momento.

Poi, di colpo, il silenzio riempì la testa di ognuno. Quell’essere così inquietante, che sedeva sullo scranno del presidente della corte, spazzò tutta la sala con il suo sguardo prima di conficcare i propri occhi in quelli dell’imputato. A quel punto, parlò con voce gelida, rivolgendosi direttamente a lui:

“Perché ostinarsi a negare l’evidenza? Le lancette del tuo orologio stanno per fermarsi. Dopo che questo processo sarà concluso, non potrai continuare a prenderti gioco di noi: ti impediremo di rovinare le nostre vite corrompendoci lentamente, ma inesorabilmente; non ti permetteremo di oltraggiare la nostra divina bellezza; non ti sarà più consentito di mortificare la nostra carne fino a soffiarla via come polvere. Da oggi in poi, tu non conterai più niente per noi.”

Il dito accusatorio, che la donna aveva puntato contro il suo obiettivo, rimase sospeso in aria; poi, nel silenzio più assoluto, lentamente ricadde giù. Il suo sguardo continuava a puntare l’imputato senza alcuna esitazione. Ma la sicurezza che ella ostentava dava l’impressione di essere semplicemente una patina sottile, che ricopriva un vasto mare di odio contenuto a stento, con sforzo.

Fu nuovamente l’imputato a prendere la parola, alzandosi in piedi. Quel movimento, assolutamente inconcepibile per chiunque si fosse trovato nella sua condizione, venne accompagnato dallo stupore generale: tuttavia, mentre gli spettatori ne furono particolarmente colpiti per l’audacia, la corte ne rimase intimorita e, impercettibilmente, quasi arretrò, come guidata da un impulso incontrollabile.

“E’ dunque questo ciò che davvero vi interessa?”

Egli parlava rivolgendosi al pubblico e ignorando la corte, alla quale dava le spalle, in un atteggiamento ritenuto senza dubbio oltraggioso.

“Volete preservarvi, evitando di portare addosso l’avvicendarsi delle esperienze, la prova quotidiana della delicatezza dell’esistenza; in altre parole, la bellezza stessa della vita. E volete sottomettervi definitivamente alla Paura e ai suoi innumerevoli figli,” disse indicando la corte dietro di sé, “concederle alloggio nel vostro cuore e permetterle di porsi come vostra guida.”

Con risolutezza, volse lo sguardo alle sue spalle per cercare e trovare gli occhi della donna incantevole che aveva parlato fino a poco prima: ella aveva la bocca lievemente aperta, pronta a parlare.

Si voltò nuovamente verso gli spettatori e riprese:

“Dunque, non invecchierete più, i vostri sensi non si affievoliranno e la vostra pelle non si macchierà. I vostri capelli non diventeranno mai più grigi e poi bianchi, mentre i vostri muscoli non si affaticheranno per sorreggervi. Sarete belli per sempre e non dovrete più temere gli anni che passano. Ma dimenticherete presto che cosa vuol dire giovane o vecchio, perderete la tenerezza dei ricordi più cari, svanirà la meraviglia per l’avvicendarsi delle stagioni della vita.”

“Taci!”

In piedi in tutta la sua imponente statura, la Paura in persona sembrava voler avanzare verso l’imputato.

“Taci! Oggi verrai condannato e spazzeremo via tutte le tue fandonie!”

Il pubblico sembrava partecipare a quei brevi monologhi, accompagnandoli con versi sommessi di stupore o approvazione. In quel momento, l’entusiasmo per quel processo sembrava prendere nuovamente vigore.

“Se è questo ciò che volete…” disse l’imputato osservando tutta la sala quasi con compassione.

“Anche se poteste davvero portare a termine questa farsa, vi accorgereste che essa non vi è servita a niente: tutto ciò che vedete in questo istante appartiene già al passato; è già accaduto. E voi siete semplicemente arrivati un attimo dopo.”

La sala era pietrificata. Il silenzio era interrotto soltanto dal respiro profondo dell’imputato.

“Nessuno può fermarmi: io sono il Tempo e sono inafferrabile.”

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4 commenti »

  1. Complimenti per il tuo racconto e per la scrittura intensa!

  2. Veramente molto bello! Complimenti.

  3. Grazie mille!

  4. Interessante. tiene il fiato in sospeso fino alla fine ed è molto ben scritto.

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