Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2021 “Giù le mani, su la testa” di Daniele Semplici

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

“Marco alzati, altrimenti arriverai tardi a scuola.”

“Mamma, non mi sento bene. Mi fa male la pancia.”

“Anche questa settimana? Misurati la febbre così decidiamo cosa fare.”

Lasciò il termometro sul comodino e tornò in cucina.

Marco tirò fuori solo la mano per prendere il termometro e la piccola luce che usava per leggere la sera tardi. Da sotto il lenzuolo lo avvicinò alla lampadina quel tanto che bastava per arrivare a una temperatura da febbre, alta ma senza esagerare.

“E’ proprio febbre. Più tardi telefonerò al dottore. Non preoccuparti”, cercò di tranquillizzarlo la mamma.

Marco rimase solo. Tirò fuori la testa e si appoggiò al cuscino. Si era levato un peso. Aveva almeno una giornata, se non di più, da passare tranquillo a casa. Gettò uno sguardo alla scrivania e riconobbe il quaderno di Giulio. Proprio quella mattina gli sarebbe servito per la lezione di matematica. Chissà come si sarebbe arrabbiato. Gliel’avrebbe fatta pagare con gli interessi, c’era da giurarci. Intanto quella mattina gli sarebbe toccata una bella nota. Una piccola vendetta.

Era anche giovedì. Alla terza ora c’era ginnastica. Ultimamente il professore aveva avuto l’idea di unire tutte le terze per fare gruppo tra i ragazzi.

“Io e te dobbiamo stare in due squadre diverse”, gli aveva detto Giulio, “altrimenti non mi diverto.”

Giulio era alto e grosso, giocava a calcio da quando era bambino. Marco non era tanto più basso ma era molto magro. Giulio lo prendeva di mira. Bastava una spallata durante un’azione per farlo cadere.

“Dai Rondelli, rialzati. Il calcio non è un gioco da femminucce”, gli diceva qualche volta l’allenatore.

Da alcuni mesi l’ora di ginnastica era diventata un incubo. Aveva sperato di farsi male, niente di grave. Qualcosa alla caviglia, per poter essere esonerato per qualche settimana. Non era tranquillo neanche nello spogliatoio. Giulio si avvicinava con altri due o tre ragazzi per prenderlo in giro.

“I muscoli? Li hai lasciati a casa?”

Gli altri facevano finta di niente o si allontanavano. Qualcuno in cuor suo pensava: “Almeno questa volta è capitato a lui.”

Nel pomeriggio sarebbe sicuramente venuto a trovarlo il suo amico Roberto per portargli i compiti. Senza dubbio aveva capito il motivo della sua assenza. Ne avevano parlato una sola volta, forse per pudore reciproco.

“Ti ho preparato del tè caldo con delle fette biscottate. Mangia qualcosa ma senza esagerare. Io devo uscire ma non farò tardi. Cerca di riposare.”

Marco sentì chiudere la porta di casa e si alzò per andare a fare colazione. Aveva tutta la giornata a sua disposizione. Prese un paio dei suoi fumetti e tornò a letto.

“La mia vita sarebbe tranquilla, non mi manca niente”, pensava Giulio, “perché si è fissato proprio con me?”

Aveva provato a trovare una risposta ma non c’era alcuna spiegazione logica a quel comportamento. Almeno si fosse limitato ad obbligarlo a fargli i compiti. In fondo a lui piaceva studiare, non era un così grande sforzo. A ricreazione era uno stato continuo di tensione. Era il momento ideale per Giulio. Nessun professore in giro, tutti in sala insegnanti. Poteva accadere qualsiasi cosa.

Aveva sviluppato una specie di radar per vedere da lontano la presenza di Giulio e cercare di evitarlo. Non sempre ci riusciva. Alcune volte gli arrivava da dietro e lo faceva cadere con uno sgambetto. Giulio e i suoi amici ridevano mentre gli altri facevano il vuoto intorno per non essere coinvolti.

Finì di leggere i fumetti dei suoi supereroi e si mise a dormire. La sveglia della scuola era suonata presto.

La luce che entrava dalla finestra gli fece aprire gli occhi qualche ora dopo. Si alzò, si mise una felpa sopra il pigiama e andò in cucina. Sentì dei rumori in giardino e guardò dalla finestra. Suo padre stava sistemando la siepe.

“Buongiorno. Come stai? La mamma mi ha detto che questa mattina avevi la febbre alta.”

“Mi sembra di stare un po’ meglio. Poi oggi c’è un bel sole.”

“Non stare in piedi. Prendi una sedia. Vediamo se stando un po’ all’aria aperta la situazione migliora.”

“Cosa mi racconti di bello? È tanto che non vedo i tuoi amici. Roberto, Gianni. Tutto bene?”

“Sì. Tutto normale”, Marco si mise sulla difensiva.

“Vista da fuori, da chi ha qualche anno in più, la tua età sembra bellissima. Senza pensieri. Un po’ da studiare ma tanto tempo per stare con gli amici a divertirsi. Ma ogni età ha i suoi problemi.”

Il padre cercava di far parlare Marco. Ultimamente era veramente difficile fare conversazione con lui.

“E’ quello che dico sempre anche io”, si lasciò sfuggire Marco.

“Ah sì, ne parlate con i tuoi amici?” chiese curioso il padre.

Marco pensò velocemente a qualcosa da dire.

“Lo dico sempre a un mio compagno di scuola. Non lo conosci, è uno nuovo. Si deve ancora ambientare. Sai com’è con l’ultimo arrivato. Qualcuno l’ha preso di mira, lo prendono un po’ in giro.”

“Mi raccomando, almeno voi cercate di accoglierlo nella nuova scuola. Tra ragazzi c’è sempre qualcuno che si crede più forte e più furbo degli altri. Cercate di non lasciare solo questo nuovo arrivato. Come si chiama?”

“Mmm… Alessandro”, disse il primo nome che gli venne in mente.

“Sai che a me piace molto studiare le piante e che, viaggiando, ho avuto occasione di vederne tante specie diverse. Nelle foreste tropicali ci sono delle piante che per alzarsi dal suolo sfruttano gli alberi. Si arrampicano su di loro per arrivare in alto e raggiungere la luce. In molti casi queste piante possono ridurre la crescita degli alberi ai quali si attaccano. Tutto questo avviene nel silenzio e nell’indifferenza generale di una foresta piena di altre piante e di animali.”

Il padre guardò il ragazzo come per vedere se lo stesse ascoltando con attenzione.

“Molte persone sono come quelle piante, hanno bisogno di attaccarsi ad altri per raggiungere quella luce che nel loro caso è la popolarità. Hai capito quello che intendo? Gli alberi non possono reagire perché sono fermi, ma noi non siamo alberi.”

Marco rimase pensieroso per qualche secondo.

“Penso di sì…”

Il suono di un telefono in casa li interruppe.

“Vado a sentire chi è.”

Era il suo amico Roberto.

“Hai tirato proprio un bel tiro a Giulio. Dovevi vedere come era arrabbiata la professoressa perché Giulio non aveva il quaderno con i compiti. Lui sosteneva di averli fatti e di aver dimenticato il quaderno a casa così l’ha chiamato alla lavagna a fare gli esercizi. Dopo una decina di minuti di tentativi l’ha rimandato al posto dandogli impreparato.”

Marco ascoltava contento per la sua vendetta ma pensava già con timore al suo ritorno a scuola.

“Tanto i prof li devi toccare sui compiti per farli svegliare.”

“Domani che fai, torni?” chiese l’amico.

“Non credo. Immagino che Giulio non perdonerà facilmente questa faccenda.”

I due si salutarono e Marco tornò a sdraiarsi sul letto a leggere i fumetti.

“Ah, i supereroi. Come può cambiare in meglio la vita grazie a una puntura di ragno”, pensò.

Era entrato a scuola da appena cinque minuti quando Giulio gli si mise di fronte.

“Dammi subito il mio quaderno. Se adesso non sei più buono neanche per farmi i compiti, la vedo veramente dura per te”, disse in modo così minaccioso che Marco per la prima volta ebbe davvero paura.

Non tardò ad arrivare la ricreazione.

“Spostatevi moscerini!” Giulio si fece spazio a spintoni fino ad arrivare di fronte a Marco.

“Sei fortunato, hai un’ultima opportunità.” Gli sbatté sulla testa il suo quaderno. “Non farmi altri scherzetti. Ti conviene venire a scuola anche con la febbre a quaranta.” Tirò un calcio a uno zaino per terra e se ne andò. Il gruppo di amici si sciolse rapidamente senza che nessuno dicesse niente.

“Potrei cambiare scuola. Vorrebbe dire lasciare tutti i miei amici ma potremmo vederci lo stesso nel pomeriggio e durante il fine settimana. Potrei parlarne con i miei genitori.” Marco parlava tra sé lungo la strada verso casa cercando possibili soluzioni.

Il racconto di suo padre sulla pianta e sugli alberi lo aveva colpito. Gli sembrò di avere un’idea. All’inizio la scartò, gli sembrò una pazzia.

“Se è la luce quello che cerca, gli accenderò un bel riflettore.”

Tornò a casa a passi rapidi. Entrò nella sua camera e si mise a frugare nei cassetti. Non trovò subito quello che stava cercando. Il suo entusiasmo già fragile stava per spegnersi quando aprì il terzo cassetto. Era lì. Lo prese e lo mise subito nella tasca del suo giacchetto. In serata avrebbe chiamato Roberto per parlargli dell’idea che aveva avuto.

La mattina seguente si presentò a scuola con il quaderno di Giulio tra le mani, già pronto per la consegna.

“Vedo che hai già quello che voglio, così facciamo prima.” Gli prese il quaderno senza aspettare. Lo aprì e lo sfogliò sorridendo in attesa di vedere i compiti fatti. Sì fermò d’improvviso tenendo il quaderno aperto. Le mani gli tremavano dalla rabbia.

“Sei impazzito? Non hai fatto niente! Lo sai cosa vuol dire, vero?” Il ragazzo gli dette una spinta e si avvicinò chiudendo le mani a pugno.

Marco fece un sospiro profondo. Tirò fuori la mano che aveva in tasca, la portò alla bocca e soffiò con tutto il fiato che aveva in corpo nel fischietto. Il suono rimbalzò nella scuola. Tutti si girarono.

“Volevi la popolarità? Eccola!” pensò Marco.

“Cosa ti è saltato in mente?” chiese Giulio sorpreso da quella trovata. Vide che tutti lo stavano guardando. Un bidello uscì dalla stanza per vedere chi fosse la causa di tutta quella confusione. Quando si voltò Marco non c’era più. Quella mattina decise che durante la ricreazione non si sarebbe nascosto. Quando Giulio lo trovò, stava parlando con Roberto.

“Vuoi fare l’arbitro adesso? Guarda che quel fischietto te lo faccio ingoiare. I compiti mi servono per l’ultima ora, usa tutto il tempo che ti rimane.”

Gli stampò con tutta la forza il quaderno sul petto. Marco lo lasciò cadere.

“Che fai?” riuscì appena a dire Giulio prima di sentire ancora il suono del fischio. Anche Roberto ne tirò fuori uno, lo usò con tutto il fiato un paio di volte. Giulio non sapeva come reagire. Tutti lo guardavano. Nessuno era girato dall’altra parte.

Fischiarono così forte che il suono fece uscire anche i professori dalla sala insegnanti.

“Che succede? Siamo in una scuola.”

I fischietti erano tornati nelle tasche dei ragazzi e i professori non riuscirono a capire chi fosse stato.

“Ci sarà sempre qualcuno con un fischietto. Ricordatelo.” Marco guardava Giulio dritto negli occhi. Respirava con affanno. “Non ti conviene che i professori si accorgano di questi tuoi sistemi.”

Giulio riprese il quaderno e se ne andò.

“Chi avrebbe mai pensato che sarebbero bastati dei fischietti per dare una sveglia a tutti qua dentro, ragazzi, insegnanti e noi stessi per primi”, pensò Marco quasi sorpreso della riuscita della sua idea.

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7 commenti »

  1. Che bel racconto! Convincente nel parlare della situazione di Marco, delle relazioni di sopraffazione, e bella la soluzione che trova.

  2. Grazie, mi fa piacere che “arrivi” al lettore. Tengo molto a questo racconto.

  3. Bello e coinvolgente. Arriva davvero al lettore e anche tutti i sentimenti che attraversano i protagonisti. Complimenti

  4. È piaciuto molto anche a me: mi piace il coraggio e il riscatto del ragazzino. Bravo!

  5. Bella trovata e bel racconto.

  6. Molto bello! A mio parere Potrebbe anche essere una soluzione da proporre nelle scuole per davvero! Bella idea.

    Mi permetto di segnalarti un refuso, per aiutarti in caso dovessi revisionare il racconto in futuro
    – “La mia vita sarebbe tranquilla, non mi manca niente”, pensava Giulio, “perché si è fissato proprio con me?” – questo credo lo pensasse Marco 😉

  7. Mi farebbe davvero molto piacere se fosse letto nelle scuole, sarebbe un modo per parlare di questo problema e, magari, per dare la forza a qualcuno di reagire.
    Grazie per la segnalazione del refuso (non sai quante volte l’ho riletto senza accorgermene).

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