Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Piedi nella tormenta” di Luca Dettori

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

«Ciao sono Franco e sono il piede sinistro di un maratoneta.»

«Ciao Franco.»

Il mio primo giorno al gruppo di mutuo ascolto per piedi in difficoltà mi sentivo compresso come dentro una Air Jordan quarantuno e mezzo. Il tallone paonazzo e una sudata peggio della Roma-Ostia l’undici di agosto. Mi ci aveva portato un mio amico, Enrico, un piede celtico con l’ossessione per le verruche. Le altre fette mi osservavano intenerite. Ancora non sapevo che quelle colorite estremità disposte in cerchio sarebbero divenute col tempo una piccola famiglia.

«Allora Franco. Vuoi dirci qualcosa in più su di te?»

Dario, piede greco laureato in filosofia con un master in coaching e mindfulness, era il terapista del gruppo. Il suo armonico arco infondeva tranquillità e sicurezza.

«Ecco,» arrancai «non me la sento più di muovere un passo». Scalpitii di stupore. Era la cosa peggiore che potesse capitare a un piede.

«Ti va di parlarcene?» Dario era accomodante come un tappeto di moquette profumata.

Vinsi subito ogni imbarazzo. «Non è stato sempre così, anzi, all’inizio il fatto di appartenere a Milo mi piaceva. Essere il piede di un maratoneta ha dei vantaggi. Giravamo parecchio: New York, Parigi, Melbourne… Ho stretto amicizie fraterne con piedi di atleta di tutto il mondo. Nonostante le migliaia di chilometri e gli allenamenti estenuanti tastare il pavimento ogni mattina era sempre una gioia, fino a quella rovinosa sera a Regent Street in cui tutto è precipitato.» Avevo catturato la loro l’attenzione. In sala non si muoveva un mignolo. «Ammetto che la colpa fu mia. Milo lo sbecco del marciapiede l’aveva pure visto, ma io ero incantato a guardare un paio di TODS camminarmi a fianco e così mi puntai sul cemento mentre la caviglia si torceva. Micro frattura della tibia con interessamento del metatarso. Due giorni dopo a Londra si sarebbe disputata l’ultima tappa della WMM, la Word Maraton Majors.»

«Oh no…» Ettore, piede alpino di uno scalatore svizzero, si contrasse come colto da un crampo improvviso. Era un veterano del gruppo. Soffriva il terrore del vuoto a causa di un brutto trauma subito anni prima durante un’arrampicata.«E poi che è successo? Vi siete ritirati o..?» Lascio la domanda penzoloni, conscio di aver contribuito a pungolare il mio tallone d’Achille.

Feci una lunga pausa prima di scivolare sul terreno sdruccioloso dei ricordi. «Milo decise di correrla lo stesso. Quarantadue km di dolori lancinanti e sudori freddi. Arrivammo ultimi. L’altro piede, Giorgio, diede la colpa a me e da allora non mi parla. E come non bastasse la lesione finii per peggiorare. Passai i due mesi successivi appiattito dentro un brutto gesso, abbandonato a me stesso. Per Milo era come se non esistessi. Capii che nulla sarebbe più stato come prima. Mi sono sentito sprofondare in un mare di melma. Fu allora che iniziai a perdere le unghie…»

«Unghiopecia da stress. Ne ho sofferto anch’io.» Leonard, il piede di un cestista degli U.S.A che giocava in serie A, fece capolino da una ciabatta gommosa. A dispetto dell’enorme stazza dell’americano misurava trentanove scarso, e nei bramosi spogliatoi del basket se non sei un quarantaquattro pianta larga ti discriminano come niente. Oramai provava imbarazzo anche tra le fette sue compagne di squadra, tutte dal quarantacinque in su, e aveva iniziato a soffrire di invidia del piede.

Lo ringraziai con un cenno dell’alluce e ripresi. «Mi sono sentito usato, maltrattato. Ho capito che a Milo di me non fregava niente, che mi avrebbe sacrificato per i suoi tornaconti sportivi senza pensarci un attimo.»

«Fai bene a voltargli la pianta!» scalpitò Amanda, il piede di una ballerina di Flamenco. «Gli sportivi sono i peggiori. Egoisti e narcisi, per non parlare dei maestri di danza. Buoni quelli, te li raccomando!» Amanda soffriva di taccofobia. Ogni volta che montava sopra il minimo rialzo si sentiva mancare, sopraffatta da nausea, allucegiro e sudorazione incontrollata.

«Si è comportato male!» incalzò Giacomo, piede piatto di un ex poliziotto. «Se fosse capitato a una mano l’avrebbe fasciata e tenuta a riposo! Ma siccome siamo piedi ci spremono fino al calcagno, ci pestano come uva, ci schiacciano come cacche!» Giacomo era un manofobo con tendenze ossessive. Sosteneva l’esistenza di una lobby delle mani tozze che voleva distruggere l’industria delle calzature obbligando i piedi a maciullarci scalzi per strada.

“Non hanno alcun rispetto per chi porta i calli e i duroni di una vita” si intromise Alfred, piede malandato di un maggiordomo inglese sul viale del tramonto. L’anziana estremità mal sopportava la pantofola calda di flanella e, con la pensione, era arrivata anche l’insonnia.

«E che cosa dovrei dire io allora?» Manola, alla piedigrafe Manuel, era nato taurino ma si era sempre sentita donna in un piede di uomo. Apparteneva a un contadino irsuto: «Un brav’uomo per carità, ma mi tiene chiusa tutto il giorno in scarponi unti e maleodoranti. Ah, cosa non darei per un sandalo di Vitton e un po di smalto».

«Uh! La solita melodrammatica» fece Alfio, piede vezzoso con una eccessiva ricrescita di peli sul collo che lo aveva portato a detestare il suo aspetto.

«Ragazzi non divaghiamo per favore» li interruppe Dario, cercando di riportare le falangi del gruppo su di me. «Vedi Franco» continuò «Non sei il solo qui a patire una situazione simile, molti di noi hanno vissuto o vivono un rapporto disfunzionale con chi li ospita. Il mio consiglio è di cercare un punto d’incontro. Non si tratta di giustificare Milo, ma di comprendere che se si comporta così è perché la società in cui vive è profondamente antipiedìta. In un certo senso non ha colpa, è cresciuto nella convinzione che i piedi siano i bassifondi del corpo umano, quelli che puzzano, quelli da nascondere sotto la sabbia e di cui ci si vergogna. E spetta a tutti noi impegnarci per rovesciare questo punto di vista, dimostrare che non è così, che c’è dell’altro».

Quella sera tornai a casa con una consapevolezza diversa. Spaparanzato sul bracciolo del divano pensai che frequentare quel gruppo mi avrebbe fatto solo bene. Poi mi sentii allungare sul polpaccio destro di Milo, il mio arco strofinarsi sulla sua carne ruvida e poi più giù fino al collo di Giorgio, il mio inseparabile compagno di viaggio che non si scostò, ma anzi accolse quel grattino inaspettato con un brivido. Ricordai le parole di Dario. Mi inarcai all’indietro verso Milo e gli feci mignolino. Ma sì, potevamo ritornare ad essere una squadra. Ci avrei lavorato. E per questo dovevo ringraziare i compagni di “Piedi nella Tormenta” che mi avevano accolto a dita aperte. Quel giorno in fondo avevo trovato nuovi amici, e questo era ciò che contava veramente.

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4 commenti »

  1. REBUS (frase: 3, 9)
    Svizzera in sigla;
    Vocale che se le cade addosso un accento si verbalizza;
    Una pera con la emme al posto della prima lettera;
    Siviglia senza l’affermazione iniziale;
    La città di questo premio letterario, che non c’entra nulla ma serve per esclamare.

  2. Bello! Divertente e scanzonato al punto giusto. Storia originale, giochi di parole e doppi sensi a volte esilaranti, come l’invidia del… piede!

  3. Originale e davvero piacevole il tuo racconto. Bravo Luca!

  4. Molto Molto spassoso, nonostante la natura fantasiosa della storia hai ottenuto egregiamente la mia sospensione di incredulità. Mi sembrava di vederli i personaggi. Veramente in gamba…anzi: in piede!

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