Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2018 “La festa di ferragosto” di Antonio Masini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

All’interno del grande polo ospedaliero, il padiglione N°5 era un moderno, imponente edificio in vetro e cemento. Appariva circondato da parcheggi per le auto di servizio e da un vasto prato, che il caldo e la siccità di quell’Agosto impietoso avevano trasformato in un deserto di terra battuta, segnato qua e là da crepe serpentine, scure e profonde. Una scala di sicurezza esterna, in travi di acciaio dal bel colore azzurro aviatore, si appoggiava al lato minore della grande struttura e dalle sterpaglie del prato conduceva su, fino al sesto e ultimo piano. La scala era ampia e dotata di una balaustra piatta e larga, su cui i raggi del sole creavano riflessi e bagliori.

Al quinto piano c’era il reparto di Geretria Donne ‘Rigoni’. Tutte le camere di questa unità operativa si aprivano su un lungo corridoio che terminava contro una parete esterna dell’immobile. Lì una porta d’emergenza dotata di allarme immetteva sul capace ballatoio della scala di sicurezza.

Alle 8 di sera, di quel torrido giorno di ferragosto, la presenza del personale medico e paramedico nel reparto era scarsa, così come poche erano le degenti ospitate. Quelle che avevano potuto, avevano infatti chiesto di essere dimesse, per passare con i famigliari almeno quella giornata. Solo le anziane più gravi o particolarmente sole erano rimaste.

Nell’ultima stanza a sinistra, la numero 28, erano tre le malate presenti: Ines, Argia e Giovanna.

Si conoscevano da tempo a causa delle lunghe e reiterate degenze comuni.

Ines aveva 82 anni. Un brutto tumore intestinale, al momento sotto controllo, le aveva provocato un’ occlusione risolta chirurgicamente. Da allora le faceva compagnia la sacca della stomia. Le erano comunque ricresciuti i capelli caduti durante la chemioterapia e conservava ancora una vista acutissima. Era vedova da tempo e non aveva mai avuto figli.

Argia era ottantenne. Una terribile osteoporosi l’aveva pian piano deformata. Non era stato trovato alcun vero rimedio a questa sua patologia. Così, col passare del tempo, lei diveniva sempre più curva e zoppa. Aveva due figli oramai adulti e il marito le era morto da qualche anno.

Giovanna di anni ne aveva 84 e da almeno trenta soffriva di disturbi cardiocircolatori e diabete.

Con lei la medicina aveva fatto miracoli. Aveva superato tre infarti e diverse crisi glicemiche.

Rispetto agli anni giovanili era notevolmente dimagrita. Doveva però vivere a dieta strettissima, senza fare sforzi e senza cercare troppe emozioni. Non era mai stata sposata.

Fino al giorno prima c’era con loro anche Mafalda, pure lei frequentatrice assidua del reparto.

Per il ferragosto quest’ultima aveva però scelto di tornare dai figli. Non aveva accettato e condiviso il progetto delle tre amiche.

”””””””””””’

Una testa dai capelli imbiancati sbirciò furtiva dalla porta semichiusa.

“ Ines, cosa vedi? L’inserviente col carrello pasti è ancora lì? “

“ Ecco! Ecco! Sta andandosene ora!”

Argia allora aprì in fretta l’armadietto personale e ne estrasse una tovaglia di pizzo. Con la massima velocità che i guasti dell’osteoporosi le concedevano raggiunse il tavolo e iniziò ad apparecchiare.

Giovanna intanto toglieva da una borsa due bottiglie di lambrusco di Sorbara e una fiaschetta di Nocino.

Dopo la tovaglia Argia, caracollando, recuperò il servizio in ceramica tedesca e le posate d’acciaio satinato. In poco tempo la tavola era imbandita a festa.

Ines abbandonò la postazione di vedetta poi, attenta a non fare sobbalzare la sacca della stomia, raggiunse il suo comodino. Poco dopo posò sulla tovaglia tre robusti contenitori e li aprì. Nell’aria iniziarono a spandersi alcuni profumi dimenticati e deliziosi. Ritornò al comodino e fu la volta di tre vasetti di sottoli e sottaceti fatti in casa.

In capo a pochi minuti le tre anziane si erano sedute a tavola e alzavano i calici per il primo brindisi

“Alla nostra cena di Ferragosto e alla faccia di chi ci vuole male” proclamò a bassa voce Giovanna. “E’ da tanto che a causa di cuore e diabete non bevo più un goccio di vino.” Così dicendo fece sparire in bocca il contenuto del bicchiere: “Questo è il lambrusco dolce delle mie parti, il migliore!”

“ Io non ho quasi mai bevuto” puntualizzò Argia .“ Ci pensava il mio povero marito a tenere alta la media. Diceva che l’acqua fa arrugginire. Chissà! Visto come si sono ridotte le mie ossa, forse aveva ragione.” Poi anche lei si impegnò e mandò giù il contenuto del suo bicchiere: “Certo che così abboccato è proprio piacevole, non sembra neppure vino!”

Ines si unì al brindisi: “Neanch’io bevo più da tanto tempo. Dopo l’operazione i medici me l’hanno vietato. Ma le cose non sono migliorate granché!” Smise di parlare e anche il lambrusco del suo bicchiere trovò nuovo rifugio. “Buono si! Mi ricorda un nettare o un bel succo zuccheroso.”

“E adesso diamoci dentro.” incalzò Giovanna servendosi, da uno dei tre contenitori, una robusta porzione del vietatissimo vitello tonnato.

Dopo fu la volta dell’affettato di culatello con le tigelle e sottaceti vari.

Infine l’insalata di pollo con fettine di arancio e chicchi di melograno.

Erano tre pietanze preparate dal migliore negozio di gastronomia della città.

Poi, mentre veniva inaugurata la seconda bottiglia di lambrusco, le tre degenti affrontarono il discorso desserts: Zuppa Inglese, Mont Blanc e Millefoglie.

“Alla faccia dell’insulina e del diabete” puntualizzò Giovanna, prima di dedicarsi a una porzione cospicua di ciascuno dei tre.

Ines bevve un nuovo bicchiere abbondante di lambrusco, poi , mentre dalla sacca delle stomia giungevano dei sordi borbottii, si servì il dolce: “A me la zuppa inglese è sempre piaciuta. Ricordo quando ero bambina e mia madre me la preparava. Se avessi avuto dei figli l’avrei fatta volentieri per loro. ”

“Oh, io ho fatto dolci ai miei figli per tanti anni. Li ho preparati fino a che ho potuto. Ora faccio fatica a camminare e a usare bene le mani. Così ho smesso, come ho smesso di fare tante altre cose. Ma non voglio essere inutile e di peso.” ciò dicendo Argia vuotò il suo bicchiere e si dedicò al millefoglie. “Questo lo facevo leggerissimo. Piaceva a tutti.”

Alla fine fecero un brindisi col Nocino.

“ Alla nostra amica Mafalda e al suo ferragosto in famiglia” invitò Giovanna.

Poi si guardarono in silenzio negli occhi: il momento stava avvicinandosi.

Poco dopo Ines tornò di vedetta.

“Eccolo che arriva. Tenetevi pronte!”

///////////////////////////////

Come di consueto verso le 21 l’infermiere del turno di notte, dopo avere disattivato l’allarme della porta di sicurezza, raggiunse il fondo del corridoio e l’aprì. Poi scomparve sul ballatoio. Era il momento della sigaretta.

Dopo qualche minuto rientrò. Prima di tornare alla guardiola e reinserire l’allarme, fece l’usuale capatina in bagno.

Dalla camera 28 uscirono allora alla chetichella le nostre tre degenti. Ciascuna trasportava, con maggiore o minore affanno, la propria sedia. Riuscirono comunque a evitare qualsiasi rumore.

Ines, la prima della fila, spalancò la porta d’emergenza. Le tre anziane uscirono all’aperto e vennero avvolte dall’oscurità afosa della sera.

Sempre Ines si avvicinò alla ringhiera, si piego sulla larga balaustra e guardo giù, cinque piani più sotto, dove i lampioni illuminavano il prato e i parcheggi.

“Questa è la posizione.” sentenziò.

Le tre collocarono allora le sedie una di fianco all’altra vicino alla ringhiera. Dopo avere aiutato Argia a salire sulla propria , anche le altre due vi montarono sopra.

Da lì, con relativa facilità, salirono sulla balaustra. Ora erano lassù, in piedi, affiancate e vicine.

Rimasero così qualche istante, guardando sotto di loro la grande città illuminata. Poi i loro sguardi vagarono verso ovest, dove ancora un lieve rosseggiare del cielo disegnava il profilo dei colli e scolpiva la grossa cupola di San Luca.

Parevano cariatidi stanche e sfiorite, oltraggiate dal tempo e dalla fortuna.

Istintivamente si avvicinarono e ciascuna cercò con le braccia le spalle dell’altra.

Allora Ines cominciò a contare: “ Uno! Due! Tre!”

Così, in quell’aria calda, umida e densa d’Agosto, in quella notte che ancora lasciava intuire tenui stelle cadenti e lontane, le tre anziane presero il volo.

E volarono con la speranza nel cuore. Volarono al di là dei troppi malanni, delle dignità ferite, della solitudine e dei tristi bisogni. Volarono verso la liberazione e la pace.

Volarono proprio sino a quel prato, cinque piani e 20 metri più sotto, attente ancora una volta a non disturbare nessuno, neppure le auto e i passanti che il grande parcheggio ospitava.

Loading

8 commenti »

  1. One, two, three: wonderful, wonderful , wonderful ! Una grand bouffe spettacolare, bella ,dolce (moltoooo,) poetica. e poi anche a me piace la zuppa Inglese ,la mi’nonna me la faceva sempre. Delicious !

  2. Complimenti Antonio, un bellissimo racconto, ben scritto, pieno di delicatezza e affetto verso le tre protagoniste. Sarebbe anche un fantastico corto, e piacerebbe a Mario Monicelli.

  3. Si, complimenti Antonio, non posso che confermare in pieno il giudizio di Marco…piacerebbe a Mario Monicelli!

  4. Sono amiche anche nostre e ci commuovono, la loro leggerezza è la forza di questa scrittura e questa è solo la fine di un bellissimo e lungo racconto di vita. Antonio grazie, consegnaci anche l’inizio.

  5. Bravo Antonio, delicato disperato forte. Impeccabile nei dialoghi e nella descrizione dell’ambiente e nei personaggi. Inevitabilmente il pensiero va a Monicelli.

  6. Mi è piaciuto molto e mi ha travolto di dolcezza e malinconia. Ma fa anche sorridere, perché le tre, in un qual modo, hanno voluto scegliere il loro lieto fine, non permettendo alle patologie di decidere, come troppo spesso accade. Complimenti Antonio!

  7. Non so, mi sembra una storia che avrebbe potuto scrivere Cesare Zavattini. Un progetto per un corto, certo. Molto bello, eppure.
    Eppure mi fa un’immane tristezza questo volo a tre verso l’ignoto, attente a non disturbare nessuno. Ma certo, lo scopo era questo. Complimenti veri! Anche per i nomi.

  8. Scegliere di accomiatarsi dalla propria esistenza che ormai non è più accetabile, farlo nel modo che più ci piace, sarebbe la cosa giusta. Ines, Argia e Giovanna scelgono di farlo con il volo. Tremendo, duro, commovente e…poetico. Bravo Antonio, molto bello.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.