Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2018 “La donna col cappello” di Monica Fonti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

 

                                               Le foto in bianco e nero mi sono sempre piaciute

                                               Raccontano storie che si rincorrono nel tempo

                                               e trovano pace solo tra le mani di chi le osserva.

Anche oggi mi sveglio dopo una notte insonne, fatta di giravolte nel letto, lenzuola stropicciate e pensieri pesanti.

La mia mente però, l’unica che non patisce, è sempre vigile e scattante, non altrettanto il corpo che invece latita rivendicando il mancato riposo.

Il cuscino profuma ancora di lavanda, uno dei tanti escamotage che utilizzo la sera prima di coricarmi.

Il balsamo “Sommeil paisible bio” che avevo acquistato con tante speranze e che mi aveva conquistata con il suo fascino francese, ha deluso le mie aspettative, ma almeno ogni volta la mia biancheria profuma di campi provenzali e questo mi aiuta a rimettermi in piedi, nonostante tutto.

Non ho particolari riti mattutini ma l’unico appuntamento fisso è sicuramente la colazione.

Non potrei farne a meno e quando questo succede, in genere per via di odiosissimi prelievi del sangue a digiuno, l’intera giornata vira al peggio.

Questa mattina mi concedo più tempo, per fortuna non devo andare a lavorare, e decido di disporre sulla tavola un bicchiere di succo di frutta, una tisana, qualche fetta biscottata con la marmellata e un pugno di mandorle.

Ho bisogno di energie per affrontare questo nuovo giorno, quantomeno per arrivare fino a sera e rituffarmi nel letto.

Gli impegni di oggi sono pochi ma serrati: portare il cane giù nel bosco a fare pipì, non prima di averlo cosparso di un intruglio all’olio di Neem che lo protegga da zanzare, pappataci ed ogni altro insetto sconosciuto ai più e mai in via di estinzione, fare il bucato e contemporaneamente azionare il robottino raccogli polvere facendo attenzione che non si ostini ad incastrarsi sempre sotto lo stesso mobile del salotto, preparare le schede di grammatica per i miei quaranta alunni, giocare a tiramolla con il cane che nel frattempo si è rotto le scatole di guardarmi vorticare in giro per la casa (senza però esagerare, perché poi va in sovra eccitazione e non si sa più regolare), pensare al pranzo e possibilmente cucinare, telefonare agli anziani genitori offesi perché non li chiami mai anche se lo hai fatto la sera prima, riportare giù il cane dato che qualsiasi vescica ha un massimo di tolleranza, infine riuscire a fare una doccia e rilassarmi.

In tutto questo trambusto mi sono ricordata che nel pomeriggio vorrei andare a trovare la mia amica Liliana, una di quelle amiche con le quali giuri e spergiuri che “…ci dobbiamo vedere al più presto prima che l’ alzheimer ci colga e ci impedisca di riconoscerci”.

Siccome per quanto mi riguarda l’alzheimer è ormai dietro l’angolo, decido che questa volta nulla potrà fermarmi, nemmeno l’ansia da separazione del mio cane che, quando è solo in casa, ulula ed allena le sue mascelle impegnandole sapientemente in un rosicchiamento certosino di tutto il perimetro del tavolo e dei profili in legno della porta d’ingresso.

Nonostante integratori, omeopatia, fiori di bach, comportamentalista e istruttori cinofili, il dolore della solitudine è per lui lacerante e insopportabile.

La sfida ogni giorno, ma ce l’ha nel profondo del cuore.

Sarà questo ad avere cementato l’intimo legame con me?

Dopo aver svolto tutte le mansioni succitate ma non esattamente nell’ordine descritto, giunto il primo pomeriggio, mi infilo in auto e mi dirigo verso casa di Liliana.

Mi accoglie con gli occhioni azzurri e i capelli raccolti in una coda un po’ scompigliata, ma è bella lo stesso.

Liliana è sempre bella anche quando pensa di non esserlo affatto.

Con lei c’è la sua primogenita Bice, una goccia d’acqua con la madre e, poco più in là nella culla, la piccola Emma Margherita nata da quindici giorni.

Liliana la prende in braccio, si accomoda sul divano, sistema il cuscino ed inizia ad allattarla.

E’ radiosa come sempre, nessun segno di stanchezza, di inquietudine, di depressione post partum.

Eppure ha partorito solo due settimane fa, è in casa con due bambine piccole, noncurante del disordine che invade le stanze e che io trovo gioiosamente vitale.

Penso che la invidio, non la sua maternità, ma la calma, la serenità con cui riesce a gestire i primi capricci di gelosia di Bice verso la sorellina, il modo di cullare la piccola così attento e accudente, la capacità di farmi sentire accolta e integrata in un microclima familiare come se ne facessi parte da sempre.

Sento che in questo momento le voglio un bene dell’anima.

Le avvolgerei tutte e tre in un unico abbraccio forte e caloroso.

Sono balsamo per le mie ferite.

Intanto Bice diventa sempre più richiedente nei confronti di Liliana, così decido di attirare la sua attenzione chiedendole di farmi vedere la casetta delle bambole che ha costruito con uno scatolone dell’ Ikea.

Dentro c’è di tutto, le bambole, i disegni, un sacchetto appeso che funge da armadio, piattini di plastica, straccetti e oggetti “ciapa puer” cioè prendi polvere, come si dice dalle mie parti e, in un angolino semi coperto da una figurina della Barbie, il dorso di una fotografia.

Le foto mi incuriosiscono da sempre così la raccolgo, la giro e scopro il ritratto in bianco e nero di una donna dall’aria elegante, con un cappello a pois a larghe tese che ne nasconde quasi completamente il viso, lasciando scoperte solo le labbra carnose, un collo sottile e un ciuffo di capelli a contornarlo.

Liliana deve essersi accorta del mio stupore così mi dice che quella foto ritrae sua nonna Elide, una gran bella femmina, che rimase vedova molto giovane di un uomo speciale, pilota di aerei e conosciuto durante una festa nella piazza del paese dove era nata.

Non si dissero nulla, si guardarono e decisero subito di sposarsi perché, come le ricorda sempre sua mamma “Non c’è bisogno di parole se senti che chi hai davanti è la persona giusta per te”.

Questa è la frase che si tramandano, di generazione in generazione, le donne della sua famiglia ed è presumibile che anche Liliana, che fa solo figlie femmine, farà altrettanto.

Il tempo vola in un lampo ed è ora di tornare a casa, mi congedo dalle tre piccole grandi donne e mi rimetto in cammino.

In auto non posso fare altro che godermi il senso di benessere che mi ha accompagnato per tutto il tempo della visita al punto da farmi dimenticare “le tristi ambasce”, come spesso ama declamare mia madre.

Al rientro però, mi coglie inaspettatamente uno stato di agitazione, un’ apprensione improvvisa, come se qualcosa mi si fosse appiccicato addosso, come una seconda veste incollata a caldo e che fatica a staccarsi.

Non riesco bene a definirla né a controllarla, sento solo il bisogno forte di lavarmi, di lasciarmi scivolare questa cosa di dosso sotto un getto d’ acqua.

Corro nella doccia, la pelle comincia a bruciare, sembra acido che divora la pelle.

Sollevo la manopola e finalmente l’acqua scorre sul mio corpo che si placa e ritorna quieto.

Il vapore riempie immediatamente la piccola stanza da bagno e, complice l’umidità e la calura, la mia mente comincia a vaneggiare.

Mi accovaccio perché ho paura di perdere i sensi o forse li ho già persi.

Non so più dove sono, intorno a me è tutto bianco e nero, non ci sono altri colori né suoni.

Vedo persone vestite in modo elegante, le loro labbra si muovono ma non riesco a percepirne le parole.

Scorgo avanzare dallo sfondo un alone chiaro che non incute timore anzi, induce in me una sensazione di beatitudine.

Man mano che si avvicina, la familiarità aumenta.

Si tratta di una donna, con un cappello in testa, morbida e sinuosa nell’incedere.

E’ la donna della foto di Liliana che mi viene incontro con decisione e sicurezza.

Il suo volto è semicoperto come nella foto, si intravede solo la sua bocca sensuale, il collo magro e delicato, il ciuffo di capelli che vezzosamente accarezza la pelle vellutata.

Intorno a lei non c’è più nulla, cose o persone, tutto è sparito misteriosamente, solo un’unica immagine quasi divina, che si compiace di sé e della propria bellezza.

D’un tratto la donna avvicina alle sue labbra l’indice della mano destra invitandomi al silenzio.

Il mio corpo è caldo e fluttua all’ unisono con l’immagine luminosa.

Continua a mantenere l’indice premuto sulle labbra, ma non sembra minacciosa, questa volta abbozza anche un sorriso rassicurante.

Mi sento bene, come non sono mai stata, mi sciolgo dentro, i pezzi di me si mescolano e si ricompongono in una nuova amorevole forma. Ancora mi esorta al silenzio ma sento che c’è dell’altro, intuisco che nel suo gesto si nasconde qualcosa di antico, lontano seppure mi appartenga molto da vicino, forse un segreto da mantenere.

Lentamente inizia ad abbandonarmi, a confondersi con lo sfondo di un film visionario che mi ha vista spettatrice appassionata.

Mentre ancora assaporo questa dimensione, sento in lontananza un suono che mi irrita, mi distoglie dal piacere che sto provando, mi costringe a rientrare in ciò che sono. Qui, adesso.

Il telefono sta squillando. Esco dalla doccia ancora frastornata e mi precipito a rispondere. E’ mia madre che si lamenta perché è da un po’ che mi sta chiamando e si è preoccupata non sentendomi rispondere.

Ero sotto la doccia” la rassicuro

Va bene, va bene. Volevo solo sapere come stai”

Sto bene grazie, perché non dovrei?”

Lo sai il perché. Da quando lui se n’è andato, mi si spezza il cuore saperti sola in quella casa. Se avessi saputo, non mi sarei trasferita lontano da te”

Come potevi immaginarlo? Nemmeno io me lo sarei mai aspettato”

Lo so tesoro, ma non andava bene per te”

Come lo sai mamma?”

Perché è così”

Ma noi parlavamo tanto, ci dicevamo tutto. Non doveva succedere”

No, non doveva succedere e soprattutto non me lo meritavo.

Tutti quei discorsi sulla correttezza e il rispetto, sulla libertà da ogni condizionamento esterno.

Eravamo convinti che nulla ci avrebbe separato, che nessuno sarebbe mai riuscito ad intaccare la nostra integrità, il nostro essere Noi.

Guardavamo il cielo e giocavamo alle forme delle nuvole, come fanno i bambini.

Adesso le nuvole sono il mio rifugio, le uniche cose che mi separano da una realtà che non mi piace.

Il tempo cura le ferite” mi dice

Mia madre ama chiosare, ogni sua affermazione diventa un salmo, un versetto, spesso una metafora che solo lei comprende.

Sono infastidita, non ho voglia di ascoltarla, vorrei interrompere questa telefonata indesiderata e urlarle tutta la mia rabbia.

Tesoro, lo so che sei arrabbiata con me”

Non sono arrabbiata con te”

Sì che lo sei”

E va bene, se preferisci lo sono. Contenta adesso?”

Piccola mia, c’ è un unico grande segreto nella vita”

No ti prego mamma, adesso no. Non farmi la morale, non la sopporterei”

Mi viene in mente la fotografia di nonna Elide con tutto il mistero che l’avvolge, il suo bel cappello, le labbra sode che tutto dicono ma che mi invitano al silenzio.

E se accettasi il suo consiglio? Se fosse un segno?

Scusa mamma, non volevo essere scortese, sono solo molto stanca. Dimmi il tuo segreto, forse troverò un po’ di pace”

Figlia mia, dal silenzio si possono imparare tante cose, il tuo amore si è rotto per le troppe parole ma non c’è bisogno di parole se senti che chi hai davanti è la persona giusta per te”.

 

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4 commenti »

  1. Ciao Monica e grazie per il tuo commento! Nel ricambiare la visita ho trovato questo bel viaggio fra tempo e sogno, fra colore e bianco e nero, fra madri e figlie, piccole e grandi, al termine del quale la protagonista arriva a riposizionarsi con armonia e serenità. Belle le immagini, e mi è piaciuta molto la chiusura con quelle parole che (per dirla in maniera rubatissima) “fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Bello non solo il viaggio ma anche il messaggio.

  2. Monica, un racconto delicato e femminile, secondo me ben scritto e di facile immedesimazione… Tutti abbiamo avuto una nonna, tanti avviamo un cane, tanti siamo stati lasciati da qualcuno. Ma pochi sanno scrivere così, come se fosse scritto proprio per chi lo legge. Complimenti. “Non servono tante parole, quando davanti si ha il racconto giusto”. CIT.

  3. Monica cara, intanto ti ringrazio del tuo commento al mio racconto, pure io, come Marco, ho avuto la curiosità di cercarti. E ho fatto bene, perché questo racconto è delizioso, leggero e profondo al tempo stesso. Tratta un tema doloroso, con una scrittura che scivola come fosse sull’acqua, dando proprio l’impressione di quanto è vero che tutto scorre.

  4. Buon pomeriggio Monica. Ti ringrazio tanto per le belle parole. Effettivamente ci sono delle similitudini fra i due testi. Il tuo racconto però mi appare più vivo del mio, abitato da più personaggi reali che interagiscono con la protagonista, e il passato riemerge con toni molto delicati e speranzosi. Da me ci sono quasi solo fantasmi,ombre, proiezioni mentali, visioni, assurdità, simbologie criptiche, la nebbia sarebbe l’unico elemento reale; il finale è un pò posticcio, ho detto tutto 😉

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