Premio Racconti nella Rete 2017 “L’aeroplano” di Giorgio Castellari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Carlo si stava godendo gli ultimi giorni di vacanza, pedalava con calma nei sentieri di campagna tanto amati, cercava di cogliere gli ultimi segni dell’estate che ormai si stava perdendo in un’altra stagione, assieme alla quale sarebbero arrivati le sveglie precoci, le mattine in un’aula, i pomeriggi riempiti dai compiti, il freddo, il buio, la nebbia.
Si rendeva conto della futilità di quelle preoccupazioni, c’era da pensare ad altro, alla guerra, ai bombardamenti, ai tedeschi con le loro batterie a difesa del ponte, ai ragazzi lontani in tutte le parti del mondo e di cui spesso non si sapeva più nulla e si potevano solo affidare alle preghiere, ma lui non ci poteva fare nulla, quelli erano i pensieri del suo cervello.
Avvertì uno strano rumore. Era quello di un motore di aereo, di quelli che si abbassavano sul paese per andare a colpire il ponte sul grande fiume, ma con qualcosa di strano, più cupo del solito, più sordo. Lo vide finalmente e capì il motivo: dalla carlinga usciva una striscia di fumo e perdeva quota a vista d’occhio dirigendosi verso il paese. Gli era già capitato altre volte di vedere cose del genere, ma sempre in lontananza e sempre in quelle occasioni si era aperto l’ombrello bianco con un uomo attaccato circondato dai traccianti delle mitragliatrici. Adesso, invece, non c’era traccia del pilota nel cielo, anzi gli parve di vederlo nella cabina quando gli passò sulla testa a pochi metri d’altezza.
Dopo pochi secondi sentì un tremendo botto e vide alzarsi grosse volute di fumo nero verso il cielo. Si diresse pigiando all’impazzata sui pedali verso il luogo dell’impatto. Secondo i suoi calcoli doveva essere senz’altro in paese, lontano, comunque, da casa sua. Arrivato sul posto, vide l’apparecchio schiantato contro il muro esterno della riseria. Gli operai avevano organizzato una catena e facevano arrivare dei secchi d’acqua per spegnere l’incendio.
Sul posto, intanto, andava radunandosi tutto il paese. Fra la folla vide suo padre, ma cercò di tenersi distante da lui per non essere mandato a casa, mentre non voleva assolutamente perdersi una seppur piccola parte di quella storia. Fu Enrico suo amico e compagno di scuola a informarlo su quanto accaduto “Qualcuno ha visto l’aereo arrivare e ha dato l’allarme. Tutti hanno fatto in tempo a uscire e disperdersi nei campi, anche se poi l’apparecchio ha buttato giù solo il muro di cinta e i macchinari e il riso sono salvi.”
Intanto le fiamme erano state spente e alcuni più coraggiosi si avvicinavano. Fra la folla radunata incominciò a correre voce che il pilota fosse stato sbalzato fuori dalla cabina e il suo corpo carbonizzato. Alcune donne si fecero il segno della croce, mentre Don Guglielmo il parroco se ne stava fermo con le mani giunte recitando a bassa voce una preghiera, incerto se fosse suo dovere avvicinarsi e impartire la benedizione a quelle povere spoglie. Poteva trattarsi di un eretico, di un anticristo, le insegne degli Stati Uniti sulla carlinga non lo rassicuravano del tutto. Alla fine la carità cristiana prevalse e si avvicinò ma fu aggredito dal Morganti, il padrone della riseria “Cosa fa, signor Parroco, benedice le spoglie di un nemico? E’ venuto qua sulla nostra terra a sganciare bombe, a uccidere donne e bambini e lei pure lo benedice? Preghi piuttosto per i nostri valorosi soldati e per il nostro amato duce, liberato dalla prigionia dove lo tenevano i traditori per continuare la lotta a fianco del nostro alleato tedesco.”
Mentre pronunciava queste parole e Don Guglielmo rimaneva in mezzo al guado senza sapere cosa fare e cosa dire, si avvicinò il capostazione “Bravo signor Morganti, lei è un vero patriota.” I due parlottarono un po’ fra loro poi si avvicinarono all’aereo, cominciarono a prendere a calci il corpo del pilota supino per terra.
La situazione fu risolta dall’arrivo dalla cittadina vicina in bicicletta del maresciallo dei carabinieri, accompagnato da due militi. Dopo aver ripreso un po’ fiato, fecero allontanare tutti dal rottame ancora fumante. Il sottoufficiale ordinò ai due sottoposti di non fare avvicinare nessuno, inforcò ancora la bicicletta e tornò dopo un po’, con l’impresa delle pompe funebri. I due addetti prelevarono il corpo del pilota, lo posero in una bara di legno grezzo, la caricarono su un carro e se ne andarono assieme ai carabinieri.
I due amici se ne stettero lì sino all’ultimo per non perdere niente di quell’avvenimento venuto a rompere la quiete del paese, finché non furono intercettati dal padre di Carlo che li invitò piuttosto energicamente a tornarsene a casa dove ormai le madri stavano preparando la cena. A malincuore dovettero ubbidire, ma fissarono un appuntamento per la mattina seguente.
Il rottame dell’aeroplano stette lì ancora per parecchi giorni, ormai nessuno ci badava più, faceva parte del paesaggio. La storia ritornò in auge per breve tempo quando si sparse la voce dell’inumazione di quella povera salma in forma anonima nel cimitero di un paese vicino, ma poi non se ne parlò più.
Gli unici a non volere dimenticare erano i due ragazzi. Passavano gran parte del loro tempo nei pressi di quelle lamiere contorte e non volevano staccarsene. Erano tenuti lontano dai cartelli con le gravi sanzioni previste per chi si fosse avvicinato e soprattutto dalle minacce dei loro genitori, indispettiti per quella fissazione, nel caso si fossero messi nei guai.
Dopo alcuni giorni arrivò un camion dell’aeronautica miliare, per recuperare i resti dell’apparecchio e trasportarli chissà dove. Uno degli addetti durante una pausa si recò al bar, dove fra una consumazione e l’altra confessò ai pochi avventori, impegnati nella solita partita di scopa, come quei rottami interessassero moltissimo i servizi segreti impegnati nello studio di sistemi contraerei più efficaci. Nonostante l’enfasi del militare gli ascoltatori, dopo che lui si fu allontanato, commentarono piuttosto ironicamente le sue parole vista la cronica inefficienza della contraerea, piuttosto bisognosa di una regolata Infatti, con le centinaia di aerei arrivati a colpire il ponte in quegli ultimi mesi quelli abbattuti si potevano contare sulle dita di una mano. I due ragazzi presenti fra gli uditori non sapevano a chi credere e se la versione del militare solleticava la loro fantasia, lo scetticismo dei loro compaesani li convinceva di più per l’evidente desiderio del giovane di attirare l’attenzione dell’ avvenente barista.
Una volta allontanatosi il mezzo militare con il suo carico, si recarono sul luogo dove era rimasta a lungo la carlinga dell’aeroplano sospirando per la delusione quasi fosse finita un’eccitante e irripetibile avventura. Stavano per salutarsi quando Enrico proruppe “Saranno state anche interessanti queste lamiere, ma se ne sono dimenticate una parte, ” indicando un frammento nascosto dietro un cespuglio.
I due ragazzi si guardarono e senza parlarsi concepirono lo stesso pensiero. Mentre Enrico si guardava intorno per accertarsi che nessuno li vedesse, Carlo afferrò quel pezzo di metallo, per fortuna non pesante, inforcò la bicicletta e si diresse a tutta velocità verso la campagna, seguito dall’amico. Arrivati ai boschi, lasciarono le biciclette e si diressero verso un punto dove la vegetazione era particolarmente folta. Con una pietra spaccarono senza troppa difficoltà il reperto in due parti e le seppellirono in maniera affrettata. Due sere dopo, approfittando del buio, vennero a recuperare quei cimeli e se li portarono a casa cercando un posto dove i loro genitori non potessero scoprirli.
Due anni dopo la fine della guerra Carlo se ne stava al bar del paese, impegnato con gli amici nella solita partita a biliardo della sera, dopo aver finito i compiti e prima della cena, quando entrò nel locale un avventore nuovo per lui, evidentemente, però, ben conosciuto dai titolari e da qualcuno dei clienti, con la pronuncia italiana tipica di un anglosassone. Incuriosito, si avvicinò alla barista, sempre bella e avvenente, ma con una lucente vera all’anulare della mano sinistra “Chi è quel tipo, cosa ci fa da queste parti?”
La donna gli rispose immediatamente “ Ma come non lo sai, è un giornalista americano, venuto a fare una ricerca su quell’aereo caduto nel settembre del 44, quello che è andato a sbattere contro il muro della riseria, te lo ricordi? Sembra che voglia scrivere un articolo su quell’accaduto.”
Carlo quell’episodio se lo ricordava, eccome. Si avvicinò, perciò, al nuovo venuto. Si presentò come ben informato su quegli avvenimenti, convinto di poter dare un contributo significativo alla loro ricostruzione, ma la risposta fu piuttosto scoraggiante “La ringrazio, ma ormai so tutto quello che c’era da sapere, ho intervistato tanta gente fra i quali il maresciallo dei carabinieri, che mi ha indicato la tomba del pilota ormai vuota perché i nostri dopo la fine della guerra hanno recuperato il corpo. Ho sentito il proprietario della riseria, che” e qui gli scappò un sorrisino sarcastico “ prese a calci quel povero corpo per nascondere agli occhi della gente le sue simpatie antifasciste, pericolose a quell’epoca. Il capostazione, invece, è stato trasferito e non ho potuto ascoltarlo ma non credo possa aggiungere altri elementi interessanti alla storia.”
Carlo rimase deluso, ma gli balenò un’idea “Capisco, ma forse posso aggiungere qualche cosa, ho un pezzo della carlinga di quell’aereo ben custodito nella cascina a casa mia, forse vuole vederla o scattare una fotografia da pubblicare. ”
L’americano lo guardò scuotendo la testa “No, non m’interessa, in questi giorni ho visto un centinaio di quei pezzi, sembra che ogni abitante di questo paese ne abbia uno.”
Quella sera Carlo, contrariamente alle sue abitudini, non mangiò quasi nulla e la madre gli chiese se stesse poco bene.
![]()
Ho letto con piacere questo racconto. La storia scorre con un linguaggio fluido che appassiona il lettore.
Descrizione puntuale dei giorni di guerra. Bravo
Ho molto apprzzato questo commento.
Giorgio,
con una penna scorrevole e fluida mi hai portato tra i vicoli di un paesino stuprato dalla guerra, ad ascoltare le voci dei suoi abitanti imbevute di paura.
In tutto questo, due bambini, spinti dal candore dell’età, riescono più di ogni altro, come spesso capita, a tingere di umanità anche gli avvenimenti più crudi.
E grazie a loro, il pilota, al momento di morire, non è forse rimasto così solo.
Bravissimo.
Grazie per questo bellissimo commento.