Premio Racconti nella Rete 2017 “Nel nome di Agenore” di Pietro Garavoglia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Un fagiolo che si chiamava Agenore decise che sarebbe stato meglio per tutti se si fosse chiamato diversamente, poiché non veniva preso sul serio da nessuno e non aveva amici. Cercò una anagrafe, vi entrò e chiese di poter cambiare nome alla persona seduta dietro il bancone allo sportello.
L’impiegata, un tipo corpulento, senza grandi speranze, lasciata dal marito da vent’anni e per vent’anni chiusasi in un cupo rancore nei confronti del mondo, non sollevò lo sguardo dalla tastiera del computer. Restò in silenzio.
Agenore si schiarì la voce.
– Scusi?
Non ci fu risposta.
Agenore appoggiò una mano al bancone, una mano nodosa e striminzita, all’estremità di un braccio di legno, fece tamburellare le dita sperando così di attirare l’attenzione. Poi si schiarì la voce, costringendosi ad un tono stridulo, tossicchiò, mentre la gola gli si stringeva dolorosamente. Respirò.
– Scusi.
La donna sollevò il volto. Aveva gli occhi grigi, la pelle bianca e borse bluastre di pelle gonfia e vecchia sotto le iridi invecchiate.
– Si?
– Vorrei cambiare il nome.
La donna mantenne il silenzio per qualche secondo. Inclinò il capo, soppesando il profilo di quella cosa lunga e giallastra che le stava innanzi.
Un fagiolo.
Decisamente un fagiolo. Con la bocca, gli occhi, una giacchetta elegante.
Stirò il collo nel tentativo di guardare oltre il bancone, al di sotto: in fondo quella cosa avrebbe dovuto avere un paio di gambe almeno.
Sennò come è arrivata fino a qui? Si domandò.
– Perché? – Chiese.
Agenore ridacchiò.
– Il mio nome non mi piace.
– Lei è un fagiolo?
– Si. Ma non di quelli da fare nella minestra o in insalata. Sono un fagiolo “senziente”.
– Come si chiama?
– Agenore.
Silenzio. Gli occhi annebbiati della donna si abbassarono sulla tastiera del computer. Le labbra accennarono ad un sorrisetto di sufficienza. Appoggiò la mano destra sulla sinistra, come avesse voluto prendere una pausa. Poi, così, fissando il vuoto che le stava innanzi, lei disse:
– Non mi sembra un brutto nome per un fagiolo.
– E’ insolito.
– Come vorrebbe chiamarsi?
– Luigi.
– Ma Luigi è un nome normale, da uomo, non da fagiolo.
Agenore fu sul punto di prorompere in una risposta stizzita, ma si trattenne. Poi, molto lentamente, quasi riflettendo ad alta voce,
– Quali sono i nomi da fagiolo? – chiese.
– Non esistono nomi da fagiolo. Anzi. Le dirò. Non ho mai visto un fagiolo che parlasse prima di oggi.
– Io sono raro.
– Unico. Direi che lei è unico. E un nome come Agenore, antico, severo, raro come lei, trovo le stia a pennello.
Agenore non aveva mai pensato a questo. Pensava che un nome diffuso lo avrebbe reso più simpatico, più amichevole. In realtà non si era mai chiesto perché chi gli passava accanto lo guardava con una faccia mista di curiosità e sorpresa.
Come qualcosa di speciale.
Poi comprese.
Un fagiolo è qualcosa di speciale.
– Lei come si chiama? – Agenore chiese.
– Io? Marta. E’ un nome molto comune.
– Non l’aiuta a trovarsi meglio con gli altri?
– Io sono sempre sola.
– Perché?
– Perché non mi vuole nessuno. E il nome non mi serve a nulla.
– No? E non le pesa? Dico, il fatto che non la voglia nessuno.
– Sto bene da sola.
Marta lo guardò. Il fagiolo che le stava innanzi dondolava avanti e indietro oltre il bancone. Sembrava annuire, ma più probabilmente stentava soltanto a mantenere una posizione di equilibrio. Pensò che doveva essere ben ingenuo a pensare che soltanto cambiando nome sarebbe stato capace di cambiare la reazione delle persone intorno a sé.
Poi improvvisamente pensò a se stessa. Non aveva cambiato nome, ma le persone intorno a sé erano scomparse. Eppure si ricordava di avere avuto amiche in passato, che non la chiamavano Marta.
Mati.
La chiamavano Mati.
Che stupida era stata a lasciare che tutte queste relazioni sfuggissero solo perché era stata abbandonata. Non da loro. Da uno stronzo. Lui aveva abbandonato lei. E lei si era punita abbandonando tutti. Sorrise al fagiolo.
– Non cambi nome.
– No?
– Cerchi un soprannome. Breve. Simpatico. Vedrà che gli amici useranno quello.
– Lei cosa userebbe?
– Io la chiamerei…
– …si?
– Gerry
Silenzio.
– Mi piace. – Disse Agenore.
– Anche a me.
– E lei ha un soprannome.
– Alcune mie amiche mi chiamavano Mati.
– Chiamavano? Non la chiamano più?
– E’ tanto tempo che non le vedo.
– Le chiami lei! E’ bello sentirsi chiamare con il nome che si ama di più. Gerry, eh? Gerry…
– Vedo che le piace.
– Sì. Grazie!
Agenore si allontanò dal bancone ripetendo il proprio soprannome come un ritornello. Lo disse forte. Un ragazzino rise. Un signore, passandogli accanto, annuì compiaciuto e gli fece una battuta. Rispose alla battuta. Sghignazzarono entrambi. Marta lo seguì allontanarsi, con lo sguardo pensoso.
Era come se tutti quelli che gli passavano vicino, da estranei indistinti e lontani, improvvisamente gli fossero diventati familiari.
E’ bello sentirsi chiamare con il proprio soprannome.
Esitò un momento. Cercò il cellulare. I numeri erano ancora tutti li, scritti in agenda. Sospirò.
Poi compose il primo numero.
![]()
Delizioso, complimenti! 🙂
Pietro
ho apprezzato il tuo racconto, è simpatico e divertente.
Complimenti!
Molto molto carino. Una bellissima idea molto ben raccontata. Bravissimo!
Pietro,
questo racconto racchiude un’originalità ed una profondità incredibili.
Il dialogo tra Marta e Gerry affronta la solituidine da un punto di vista affascinante ed innovativo, nascondendo tra la (apparente) leggerezza dei discorsi il peso di una vita solitaria, che, spesso, rimane la stessa nonostante il tentativo di cambiare meri aspetti formali della propria esistenza.
E poi, un fagiolo con una giacchetta elegante è una delle immagini più belle a cui abbia mai pensato! 🙂
Bravissimo.
Che strano racconto…non è per bambini, non è per adulti, è per tutti! Si legge facilmente, si ricorda e ha un bella morale. Originale, complimenti!
Che bel racconto sorridente, fantasioso e lieto.
Bravo, Pietro.
E… viva l’amicizia!
Pietro, mi piace proprio. Originale e fresco. Bravo.
Pietro come sempre le tue narrazioni mi sembrano allo stesso tempo strane e belle, folli e divertenti.
Bravo.
Bello spunto , mi è piaciuto sono tornata a leggerlo dopo un po’ dalla prima volta.