Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2017 “Proser Beta” di Ugo Ardini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Una domenica a casa, Dio santo, ci voleva proprio. Niente lavoro extra. Il caffè e i biscotti alla vaniglia sul tavolino da fumo, divano tutto per me e la tv col prepartita. Non è un sogno, sta capitando veramente. Gianna (fuori) sistema i vasi, con estrema indolenza pota e annaffia piantine ricoperte di fiori, mentre io (dentro) dondolo e gongolo in ammirazione di nostro figlio che si trastulla col passatempo nuovo. Ferdinando, piccolino del tuo papà, gioca, divertiti fino a quando Nostro Signore te ne concederà grazia.

“Boom – BLAM! Frrr, frrr!”

Dacchè gli abbiamo regalato quel robottino di plastica pare che Ferdinando si sia dimenticato degli altri giochi, tutti, perfino del videogame col visore 3D pagato centocinquanta testoni di prima mano.

“Consolle dell’era moderna, puah!

Rieccoli, i nervi, e m’accorgo che l’occhio destro ha ripreso a martellare in modo fastidioso mentre, in perpendicolo, un tallone scandisce il ritmo.

“Non cedere!” m’impongo con l’autorità del padrone di casa. “Non cedere allo stress, guarda il programma in tv e stai calmo, goditi in santa pace la digestione domenicale, ne hai diritto, nessuno al mondo ti disturberà.”

Attendo un minuto poi decido che è andata bene, battito cardiaco ok, palpebra a posto, sembra fatta, sorso di decaffeinato e occhi puntati sul video.

Il sottopancia scorrevole delle notizie flash mi informa come segue: [politica] il Primo Ministro è in missione diplomatica per il trattato di pace con le Antille del Sud; [cronaca] la ‘gang del rame’ ha messo a segno un nuovo colpo proprio ieri notte; [dal mondo] scoperto in Brasile uno scheletro sauroide risalente al cretaceo; [spazio] il lander Zeoos è riuscito a toccare la superficie di Giove.

“Però!” dico a voce alta mentre osservo l’angolo sinistro del televisore ingoiare l’ultimo trafiletto. “Bravi, per una volta …”

Abbiamo toccato Giove.

In quel momento, Ferdinando si gira verso di me, allarga gli occhietti e urla “Guarda Papà, il mio Proser Beta sa anche volare!” poi imita con la bocca il rombo di un jet da guerra. Guidato dalla manina sapiente di Ferdinando il robot impenna e subito ridiscende sui mostri per abbatterli con una pioggia di invisibili laser.

“Brufff!” Mio figlio fa strani versi con la bocca, poi all’improvviso tace, mentre io resto placido col caffè a godermi la tv approfittando dei pochi secondi di silenzio. Ma ecco che Proser Beta riprende quota, lanciato in una nuova spedizione intergalattica. “Wwhhooaamm!”

Lo adora, mio figlio adora quel pezzo di plastica antropomorfo. Per un robot da bancarella Ferdinando ha mollato il videogame in 3D da centocinquanta testoni. Preferisce il robot.

Sarà che c’era urgenza di tornare alla materia, gli esseri umani ne avevano bisogno dopo tanta foschia digitale: qualcosa di tangibile, oggetti reali da tenere in mano e grazie a quelli scalare divani come fossero montagne, sorvolare il tappeto in salotto come la superficie di una grande prateria. Sono stato costretto a scendere in cantina e tirare fuori i dinosauri di gomma – roba con cui giocavo da piccolo – dunque consegnare loro gradi militari eleggendoli a “nemici”. Soldati assetati di sangue, pane per i denti di Proser Beta.

Ferdinando l’ha chiamato così, il robot: Proser Beta, come gli psicofarmaci che prendo da un mese. Gli ha dato quel nome dietro mio suggerimento. Ma Gianna non deve saperlo, non glielo devo dire che sennò mi strozza, neanche Ferdinando glielo dirà. Sono riuscito a ingannarla, a farle credere che il fatto è successo per caso.

“…mi avrà sentito nominare ‘Proser-Beta’ e gli è piaciuto… evidentemente ha gradito il suono… PROSER BETA… e quindi ha deciso di adoperarlo. Che ci posso fare?”

Invece no, gliel’ho detto io di chiamarlo così, il suo eroe snodato del cavolo, per proprietà transitiva. Per sadica ritorsione. Se lo scopre, Gianna mi ammazza seduta stante.

“Carlo, hey, vieni fuori!” mi fa dal patio.

“Che c’è?”

E insiste “vieni fuori e lo vedrai.”

“Mmmhhh…”

Tra un po’ cominciano le partite perciò deve disturbare, umiliarmi, dimostrarmi quanto è stata brava a far riprendere le piantine dopo che quasi le ho fatte morire di sete, una settimana fa, quando era in trasferta per il corso di aggiornamento. Ma cosa volete da me!

Esco.

Gianna ha le mani sui fianchi, non guarda me ma i fiori, sembra una brocca coi manici inclinata sui fiori.

“Hai visto?” sogghigna. “Guarda come si sono ripresi i ciclamini.”

“Mh, mh.”

“Dimmi che sono brava.”

“Brava, posso rientrare adesso?”

“Va’, va’, rivattenaffanculo dentro.”

“Ecco, meno male.” Faccio due o tre passi in direzione della veranda, alzo la testa e punto il cielo e guardo il sole cedendo per un attimo a un desiderio inconsulto di retine in fiamme, poi continuo nella camminata. Dall’interno ancora arrivano suoni di battaglie. Supero la porta e scopro che Proser Beta ha fatto una nuova strage di mostri arrivati da un altro mondo; erano malvagi, giganteschi, perfino più grossi di lui eppure li ha presi a calci senza sforzo. Li ha pestati, letteralmente, e ancora ci zompa sopra coi piedoni metallici.

“Boom – BANG!”

Se solo avessero idea, se i miei amori sapessero cosa hanno dovuto vedere questi poveri occhi stanchi.

Quanto vorrei non aver accettato quel lavoro al Ministero della Difesa, essere così devoto al Paese, quanto vorrei non aver fatto la solenne promessa sotto la bandiera: segreto e salvaguardia, “Ragione di Stato”, massima fedeltà al Gruppo di Coordinamento Politiche Viperiane.

Abbiamo finito per obbligarci a capire loro per capire noi stessi, interpretare l’anima nera che batte in petto. Interpretarli, adeguare leggi e sopravvivere.

Idiota che non sono altro; se me ne fossi stato buono e zitto dietro la vecchia scrivania oggi dormirei placidamente, come un autentico cretino imbottito di sedativi, non mi alzerei quattro volte per notte tremando dalla testa ai piedi. Non avrei bisogno di prendere le gocce di Proser-Beta, quello vero, rossastro, principio attivo: capsigenediclurato, venduto sotto falso nome in comode fialette monodose. Costa un occhio ma ha poca importanza dal momento che ai funzionari del GCPV lo distribuiscono gratis.

Intere scatole, ce ne danno a fiumi, a volontà.

Proser-Beta vola alto, si aggancia al cervello e con potenti armi psiconeuriche sconfigge il nemico e lo sottomette, per qualche ora.

Potevo godermela la vita, dico sul serio, se solo non fossi stato così esigente. Invece no, lui deve buscare l’aumento, fare carriera e comprarsi la macchina grande; una gran macchina per una gran testa di legno.

“Proser Beta ha vinto!” strilla Ferdinando.

Come no, ha vinto lui, il robottone terrestre ha sbaragliato le orde aliene con i laser invisibili e i magli atomici e la pedata perforante.

“Boom – BANG!”

Se solo Ferdinando sapesse.

Se solo avesse visto splendenti cerchioni di adranite roteare fino a espandere l’antimateria, e con essa il tempo, e con questo lo spazio, e con lui il buco del culo del maledetto cosmo.

Lentamente mi riconsegno al divano e punto la tv con espressione svagata, la tazza del caffè ancora tra le mani.

“Aggiornamento ANSA” recita lo scroll news “la sonda spaziale Zeoos Five è andata distrutta nell’impatto.” E te pareva. Cinque missioni in tre anni e anche stavolta abbiamo fatto fiasco: troppo denso il mantello del Dio degli Dèi, Sovrano dell’Olimpo. Su quel pallone a strisce non siamo capaci di atterrare e volevamo perfino colonizzarne il nucleo, sistemarci estrattori e cantieri, succhiarlo come un ghiacciolo al gusto di idrogeno. Giove! Eppure sta lì a un tiro di fionda. Non è cosa, non ce la facciamo, lo spazio è tabù e tale resterà per molti anni ancora; il mare cosmico non è per noi, scimmie di terra.

E loro ci spiano da cinquantamila anni.

Riesco a figurarmi facce d’iguana ridacchianti mentre da casa si godono lo spettacolo di Zeoos in rotta di collisione che prima va a fuoco e poi precipita e alla fine si sfragna e schioppa in una nuvola; si staranno cacando addosso dalle troppe risate.

Se volessero, e ancora non si sa cosa bolle in quelle teste, saremmo ridotti in cenere nel tempo che impiega Baldo Ladini a tirare un calcio di rigore.

Studi, conferenze, progetti arcaici di propulsori a nucleo, mentre quelli hanno astronavi senzienti che s’allargano e stringono come l’impasto della pizza e allora via, a destra, a manca, su e giù per le galassie infinite. Navi spaziali provviste di vita propria. Le armi, poi… meglio non pensarci.

Da lassù ci osservano e ghignano, ghignano, ghignano.

E noi quaggiù all’inferno a sognare l’onnipotenza, un robot gigante pilotato da un bambino di otto anni.

E a guardare partite la domenica pomeriggio.

E a far morire i ciclamini.

E a tremare dalla testa ai piedi.

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8 commenti »

  1. Lo trovo un racconto straordinario, Ugo. Il ritmo della narrazione è, cosa chiaramente voluta, lo stesso dall’ inizio alla fine ed offre davvero l’ immagine dell’ uomo ” in cura “, che vede e sente tutto ciò che accade attorno a lui ma è ” rallentato ” dalle medicine. cosi’ il lettore si abitua, si adagia, si rilassa nella lettura. Ma ecco che il tuo Ferdinando lo risveglia, con le sue grida di bimbo e lo fa quasi sussultare! LA voce narrante, , così lucida e cinica, lascia trasparire la rabbia repressa e controllata dall’ uomo e sconfina in un senso d’ impotenza e di empatica pietà verso se stesso e gli ex colleghi. Complimenti

  2. Molto lusinghiero il tuo commento, grazie Gloria Fontanive.
    Ugo

  3. Mi colpisce il contrasto fra la tranquilla ma incrinata quotidianità della domenica casalinga e la violenza di tutto il resto, potrebbe essere anche la rappresentazione metaforica di quanto ci costino stress, competizione e ambizione. Ma anche gustandolo come un bel racconto di fantascienza ( o fantapsicofarmaci ) è estremamente godibile. Complimenti !

  4. Fantastico! Leggerlo è stata una vera goduria, un’escalation tra pathos, ironia e mistero.

  5. Hai centrato il bersaglio, Ugo Mauthe, l’intero racconto pretende di essere un contenitore di metafore (un paio, forse tre). Grazie per il feedback 🙂

  6. Consuelo Consoli, grazie sei davvero molto gentile! Forse troppo 😀

  7. Molto bello, trasgressivo dissacrante “svaccato” incazzato e disincantato quanto basta a raccontare il mondo.

  8. Paola Dalla Valle, non avresti potuto trovare aggettivi più azzeccati XD grazie 😀

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