Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Ultima estate” di Enza Parisi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Nina, finiva col riapparire,come da un baule magico,più di altri. Forse proprio perché una delle ultime a sparire, inghiottita da qualche mostro maligno, anche lei, come tanti,finiva per ritornare per prima.

Era là, semplice e affettuosa, con il suo sguardo dolce e melanconico, la sua voce leggera e le sue piccole manie. Cosi cara, ad invitarla, ancora una volta a sedersi a tavola, che subito il pranzo era pronto. Come da un racconto arcaico o una fiction moderna, si riannodava alla volta precedente, ma era sempre immediato, come solo accade con le situazioni pure.

Era chiara, Nina, anche se non di nome,come una fonte, una nuova Heidi, quasi, a volte, pensava, ridendo, di soppiatto, sua cugina Enzina, con le sue piccole divagazioni e i suoi interminabili sproloqui familiari.

Sembrava, a volte, un Natale in casa Cupiello, in diretta, pur essendo gli anni 80-90.

Beautiful o il Segreto,di oggi,forse era l’unico che poteva fare concorrenza.

Rideva a volte, forte, la cugina Gio.

Era là, anche quella volta, che era tornata, Emma, dai suoi cari cugini,una terribile, primavera, col cuore a pezzi, gli occhi sprofondati e neri, che Nina, tentava di consolarla, in tutti i modi.

Lei,Nina, che non era una donna di viaggi, grandi esperienze di vita, con una sensibilità quasi unica, quasi una sorella, più che una cugina.

Così in quei giorni tempestosi di marzo, l’aveva portata nei luoghi che meglio conosceva per distrarla.

Com’era bella, la  Reggia di Caserta, con tutti i cugini, come una specie di grande gita scolastica, forse, in ritardo, dove si erano ritrovati propri tutti. Anche le cugine, che abitavano a Roma, e altrove, erano là, quasi come anni, prima, nelle loro interminabili estati colorate e chiassose, da quindicenni, figlie degli anni 70 e 80. E poi l’aveva portata al monastero di  Cassino, con anche le inossidabili zie, le sorelle di Nonna Maria, che non uscivano dal paese, forse, da dopo la guerra.

Si erano portate, i viveri, le zie, come in una scampagnata, di quelle pasquali, di una volta.

E senza tante cerimonie, s’erano messe là, come in una vignetta, sul cofano della Alfetta  di zio Franco, detto Ciccio, il professore, a preparare i panini, proprio come se fosse un tavolino da picnic.

E la Pasqua, era in,effetti, alle porte, quel terribile marzo,1988.

Ah, che mito, zia Fonzie, come l’aveva, ormai, battezzata, negli ultimi anni, per la sua grinta e spassosa simpatia. Impossibile non amarla o non odiarla.

Non c’erano mezzi termini con lei. Come con il Toro. Pensò.

Tutto scivolava, ormai, dopo i fatidici 40, come in un grande calderone, una sorta di archivio Nasa, tantissimi dati, immagini, come pezzi di un puzzle da ricomporre ogni volta. Sorrideva, Gio, quando si trattava, di paragoni, inverosimili, lei  era una maestra, e in tutti i sensi, visto che insegnava in una scuola elementare, da quando aveva finito il diploma, brava, subito a prendere il posto.

Come Angelina,minuta, lentigginosa, una cascata di capelli neri ricci, col nasino alla francese, l’apostrava, cugino Toni, sempre un po’ imbronciata, come se avesse un diavolo per capello, proprio come era sua madre, la grande zia Irma, anche se  di dolce, almeno, all’apparenza, aveva ben poco.

Anche Angelina, aveva subito messo la testa a posto, e si era trasferita a Roma, pur, tra qualche lacrimuccia,di tutti. Come se Roma fosse in capo al mondo.

E lei, zia Irma, uguale, minuta, arrabbiata, ma più torva.

Ricordava, ancora quella volta,che, ai sedici anni e poco più, una delle tanti estati lampo delle sue vacanze campane,l’aveva guardata come se volesse farle una radiografia istantanea, e aveva sentenziato,con voce roca e brusca, che non doveva essere così malinconica, che c’era tempo per esserlo… E poi si era voltata,come faceva lei,e aveva ripreso il filo dei suoi pensieri misteriosi.

Era, da sempre, una sorta di sergente di ferro, per tutti i cugini, la zia Irma, coi suoi ricci scomposti, i suoi occhi seri, la sua voce roca, il suo sguardo interrogativo, quasi sempre, con un che di minaccioso, eppure, poi quando, si sedeva,per la merenda, si trasformava, in un angelo custode, dolce, gentile e comprensivo.

Ma era un’estate di colori, di vento, di lagune, di mare, di pinete, di compleanni, di attese del futuro. Quel 1987, non sembrava cosi speciale, o forse si.

Era anche tempo di, crisi, di grandi interrogativi, post maturità.

Con tutti i se e i chissà, che galleggiavano nella mente, alti, alti nel cielo come nuvolette.

Erano là e non se ne volevano proprio andare, ripeteva, una vocina, nascosta, che tentava,di scacciarli, come mosche appiccicose, là, nel bel mezzo del futuro che sembrava un’autostrada della Salerno-Reggio Calabria.

C’erano ancora i juke-boxe, al chioschetto del bar sul lungo mare di quel tratto di statale, a due passi dalla città, ma che lì come una cattedrale nel deserto, troneggiava,maestoso, coi suoi stornelli ripetitivi e allegri di fine anni 80.

Aspettava Nina, e lei arrivava, puntuale, con la sorella Francesca, a bordo della 126, che sembrava una berlina,quando si andava a fare spese, insieme, come in un remake di Thelma e Louise.

Francesca,tranquilla, rispettosa, quasi mai indisponente, tranne forse, quella volta, che rispose male a un suo presunto spasimante, un certo Cecco, alto e lungo, come un cipresso, dallo sguardo un po’ anemico, biondo,misterioso, con un sorrisino beffardo, che spuntava, di tanto in tanto dalla sua fila di denti bianchissimi.

Era dolce, Cecco, come un babà, quando poi usciva dal suo guscio, ironico,gentile,premuroso.

Insomma, un vero cavaliere, un gentlman, nel buco del mondo.

Ancora, dopo anni, si chiedeva, perché mai sua cugina Francesca l’aveva fatto scappare.

Ma non si parlò più di quei giorni, se non una volta, forse, che lei, accennò a quei giorni, lontani, brutti, ma anche rischiarati da quella presenza leggera.

Forse, solo zia Mag, aveva risposto, al suo dubbio.

Era andato via, forse perché Francesca aveva avuto paura di lui,della sua infinita dolcezza.

Forse non ci credeva. Come la canzone che era in voga, in quegli anni…

L’angelo azzurro,era lui e se n’era andato.

Sembrava il luna park, quel bar tinto di giallo e di rosso, come due macchie felici di papaveri, con le sue canzoncine che si sfilavano una dietro all’altra,come un rosario di perle di zia Fonzie o zia Guendalina, sua sorella, invalida di guerra.

Lei, detta zia Lina,per i più, l’ombra fedele di zia Fonzie  e  la bocca più grande e pericolosa del west, aveva detto qualcuno. Ma non ricordava più chi.

E che altro, si poteva, fare, nel bel mezzo del nulla, di un lungo mare quasi, statale, fra casette diroccate e case in costruzione,molte abusive o forse quasi tutte, dove c’erano solo le tenute dei ricconi con le bufale, con cui a volte, diventava, quasi, necessario scambiare due parole e i cani randagi, come Ciccio,che aveva chiamato così, quel meticcio bianco e marrone, tutto a chiazze, che le veniva incontro, allegro,quando vagava nella campagna vicina, nel pomeriggio interminabile di agosto.

E quando il pomeriggio delle domeniche d’agosto, fra il nulla, Ciccio, a volte,introvabile, nascosto in qualche casolare o in qualche anfratto, le bufale chiuse nella stalla e il chiosco troppo lontano da raggiungere, da soli, diventava più che  azzurro,  infernale,come una giornata sull’autostrada, a metà tra il prossimo autogrill e il benzinaio.

E i dubbi del futuro diventavano giganti,eroi di fumetti,cattivi cattivi, sicuramente nemici quasi invincibili.

E l’aveva portata, Nina, anche alla messa nella nuova chiesa, della parrocchia di Briano, che sembrava il  nome di un panettone, là, nuova, nuova, con le vetrate colorate, vestita a festa.

Lei, Emma, si lasciava portare, come un cane al guinzaglio, con gli occhi spenti,senza quasi volontà. E finì anche quella lunghissima estate.

E si ritrovarono, come  in un flashback, tutti,cinque estati dopo.

Il lungo mare del chiosco colorato era sparito, come tante case.

Alcune erano diventate ville a tre piani, anche la casa estiva di zio Vic, era finita, o almeno non più tutta da fare,come prima.

Ciccio era finito chissà dove, le bufale, vendute, l’opprimente calura si era addolcita, tanti se erano andati via.

Poi, si erano visti, ancora una volta, tutti ormai grandi, con rispettivi compagni e mariti, mogli, figli. Tutti o quasi sistemati. Sorrideva, pensando a quella parola, che non aveva mai digerito, come uno di quei polpettoni di zia Angie, cosi pieni di tutto.

Sorrideva, alzando gli occhi al cielo, ascoltando magari una canzone alla radio che riproponeva i fantastici anni 80, magari, mentre scriveva una e-mail, che ormai le lettere, non le scriveva più nessuno, come le cartoline.

E vedeva tutti, in una specie di foto di gruppo, gigantesca, stretti,volteggiare nell’aria, mentre girava lo sguardo, vedeva, lei, cara Nina,sempre sorridente, anche al telefono,forse quella volta, che non era più quella di prima.

Sorrideva, un’ultima volta, mentre, probabilmente, le stava dicendo addio.

 

 

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2 commenti »

  1. Un racconto pieno di suggestioni, scritto con una frammentazione particolare e un uso delle virgole altrettanto originale. Nostalgico verso il passato e pacioso verso il presente.

  2. Grazie mille Laura Monteleone per il commento assolutamente indovinato!! Si, il racconto, pur scritto velocemente, è carico di suggestioni intenzionalmente e di ricordi, in una sorta di viaggio temporale parallelo….

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