Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Oltre la percezione assoluta” di Giovanna Coraggio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Il rumore incessante della grandine sui i vetri della control room, riporta improvvisamente Greta alla realtà; la giovane donna ormai da ore tenta inesorabilmente di dare un senso a ciò che dalla mattina rapiva prepotentemente i suoi pensieri

Greta è una donna sulla trentina, piccola di statura, sempre molto curata, con grandi occhi vivaci di un verde intenso, un naso poco regolare, labbra sottili mascherate da un rossetto color porpora capace di esaltare una dentatura perfetta e bianchissima e con una folta chioma color rame, riversata spesso dietro la nuca da dita sottili e unghie curatissime. Greta è sicuramente una bella ragazza dalla personalità forte e da uno spiccato senso del dovere e rappresenta per chi le sta intorno e per se stessa, una fonte fantasiosa inesauribile, condita e alimenta costantemente da piccoli scorci di realtà quotidiana.

Il fracasso dirompente di un tuono fa sobbalzare la donna, il cuore sembra scoppiarle nel petto:      “E adesso” pronuncia in preda al terrore, “cosa devo fare”. Erano giunte le 19.00 di sera, e si era fatto tardi, soprattutto per una persona che come Greta non si era mai trattenuta in ufficio oltre il normale orario di lavoro; era tardi e sarebbe dovuta di certo rincasare per l’ora cena.

La stanza usualmente in penombra in cui era solita svolgere il proprio lavoro si trovava al pian terreno di un enorme edificio il cui ingresso era situato sul corso principale di una piccola città di provincia. Un lavoro dignitoso e ben retribuito che pur attribuendo a Greta una grande responsabilità non la impegnava più del dovuto. Ordinare materiali per il funzionamento di una grande centro di sperimentazione non era certo la sua più grande aspirazione e per cercare di evadere da una realtà diventata ormai statica e noiosa provava di tanto in tanto a scrivere brevi racconti fantastici e misteriosi da far pubblicare su diversi rotocalchi per appassionati del genere; la sua fantasia sicuramente glielo permetteva, anche se a breve la dote da lei tanto decantata sarebbe diventata teatro di numerosi incubi e apprensioni alimentati da quel suo ambiente antisettico e privo di emozioni positive, dove era solito passare gran parte della giornata.

Con le chiavi della Chrysler in una mano e quelle della control room nell’altra, la donna, che già da pochi minuti aveva indossato i guanti color cammello, il comodo cappotto di cachemire color beige e afferrato frettolosamente l’ampia borsa di pelle scura, spegne le ultime luci e si avvia con passo deciso verso il portone d’ingresso.

Una luce fioca ma ben visibile richiama d’un tratto la sua attenzione. Dall’altro capo dell’enorme salone che avrebbe dovuto attraversare per arrivare all’uscita dello stabile, Greta nota che la porta semi chiusa della stanza del direttore di laboratorio, Karl Crazy, lascia trapelare un piccolo fascio di luce arancione.

Uno strano ticchettio rimbomba nel salone ormai vuoto e poco illuminato, le ombre sui muri sembravano preludere un qualcosa di altrettanto oscuro e terrificante; “Chi è là” riuscì a pronunciare con un sibilo di voce Greta; a quell’ora tutte le stanze di palazzo Sunset sarebbero dovute essere state chiuse già da un pezzo.

A Greta pareva che il cuore avesse smesso di battere, l’unico rumore che riusciva a percepire in quel silenzio assordante era proprio quel ticchettio metallico che non aveva certo alcuna intenzione di cessare e che sempre più prepotentemente sembrava volerle entrare nelle orecchie. In quel frammento di tempo le venne in mente quando da bambina di fronte ad una porta che dava accesso ad un luogo buio e pieno di piccoli rumori al suo interno rimaneva quasi paralizzata da una paura attanagliante e capace di toglierle completamente il respiro. Ora ricordava “un fascio di luce arancione”.

Da cosa nel corso degli anni Greta aveva tentato di fuggire, cosa in realtà aveva cercato di archiviare definitivamente nella sua mente.

Oggi come allora il terrore riempiva il suo viso, il sudore gelido sulla fronte corrucciata scendeva rapidamente verso un volto impietrito e incredulo al tempo stesso; gli occhi sgranati e atterriti erano pronti a cogliere da un momento all’altro immagini reali di incubi che si sarebbero una volta per tutti materializzati, cambiando per sempre il corso della sua vita.

“Tic Tic Tic” sono le ore 08.00….ripete la sveglia alternando l’annuncio orario ad un ticchettio sempre più forte……“Ahhhhh”, Greta si sveglia di soprassalto in preda al terrore, si sente quasi pietrificata per la paura ”Cosa…cosa è successo…..è stato solo un sogno…..possibile?”; la donna era abbastanza incredula; “eppure sembrava così reale…”, questo era ciò che si ripeteva da almeno cinque minuti, sdraiata sul suo letto con gli occhi spalancati e rivolti verso il soffitto.

Con fare lento ma risoluto, la giovane tentò faticosamente di alzarsi, erano circa le nove e quella mattina sarebbe sicuramente arrivata tardi a lavoro. Suo zio, il direttore Karl Crazy, le avrebbe di certo fatto il terzo grado, come era suo solito quando percepiva un qualcosa di differente dal normale svolgersi della routine.

Il dottor Crazy era un tipo sulla sessantina, alto e longilineo, capelli brizzolati, occhi verdi che lasciavano trapelare di tanto in tanto uno strano guizzo di luce tale da far rabbrividire, in quel frangente, chi per qualsiasi ragione si trovava a scambiare con lui qualche parola. L’uomo aveva passato gran parte della sua vita a fare esperimenti su persone affette da gravi patologie psichiche. Laureato ad Harvard in medicina con il massimo dei voti, continuò subito con la specializzazione in psichiatria.

Greta era molto grata a suo zio Karl, che dopo la morte di sua madre, si prese cura di lei da subito, e già dall’età di tre anni, la condusse a vivere nella sua enorme villa fuori città. La casa era molto grande e accogliente, le stanze avevano un arredamento moderno, sovente di un colore bianco lucido che poco contrastava con ampi muri di colore altrettanto chiaro; l’arredamento dell’ampia casa pur essendo molto curato nei particolari, in certi momenti era tale da far sembrare l’intera dimora quasi una grande clinica.

Vivere con suo zio non era stato per Greta affettivamente gratificante; è pur vero che il dott. Crazy non avendole mai fatto mancare nulla da un punto di vista materiale, aveva alimentato in lei, nel corso degli anni, un gran senso di gratitudine e di riconoscenza.

In ultimo, Karl, una decina di anni prima, dopo il conseguimento del diploma da parte di sua nipote, offrì a lei la possibilità di far parte del team di lavoro del laboratorio Scary di cui lui stesso si apprestava a prenderne la direzione. Gli incarichi affidati a Greta, nel grande centro di sperimentazione, sarebbero stati comunque soltanto di tipo amministrativo.

Si erano fatte ormai le dieci della mattina e la donna al volante della sua Chrysler cerca di fare mente locale sulle possibili scorciatoie da prendere per tentare di arrivare in ufficio in brevissimo tempo. Dopo una serie di peripezie messe in atto per evitare strade trafficate e ricolme di semafori, Greta finalmente si trova davanti al garage dove tutti i giorni era solita lasciare la macchina; l’ampio parcheggio era situato poco distante da Palazzo Sunset. Ciò che colpisce immediatamente la giovane donna, è la presenza di un gran numero di macchine con lampeggianti. Arrivata davanti alla porta di ingresso del grande laboratorio, Greta vede un poliziotto venirle incontro e chiederle “Buongiorno, è lei la signora Greta L., nipote del dottor Karl Crazy?”

Accompagnata da due uomini in divisa, la donna si appresta ad attraversare l’enorme salone che l’avrebbe condotta nella stanza di suo zio Karl. In quel momento Greta ebbe la sensazione di dover continuare l’incubo della mattina, esattamente da dove l’aveva interrotto grazie alla sveglia che occupava parte del comodino posto vicino al suo letto.

Entrata nell’enorme stanza d’ufficio riservata alla direzione, la giovane vede con stupore il corpo di suo zio riverso sul pavimento e con il viso rivolto verso il basso, immerso in un lago si sangue.

Il corpo di Karl Crazy era stato rinvenuto alle prime ore dell’alba dal portiere dello stabile, il Sig. Paul S., che recatosi in quell’ala del palazzo per fare il consueto giro di routine, come era solito ormai da dieci anni, aveva notato stranamente la porta della direzione socchiusa; da lì la tragica scoperta. Secondo la polizia scientifica, la morte risaliva quasi sicuramente alla sera prima.

Nel periodo in cui al dottor Crazy venne affidata la direzione del grande laboratorio, questo fu caratterizzato da una serie di sparizioni misteriose. Alcuni soggetti psicopatici ricoverati a Palazzo Sunset per essere sottoposti a cure sperimentali, dopo una loro breve permanenza si dissolvevano come nel nulla. Alle pressanti domande degli inquirenti, Karl rispondeva sempre di non saperne nulla e che con molta probabilità la mente instabile di quelle persone poteva essere stata la causa di possibili evasioni. È inutile dire che la fama dello psichiatra sulla sua ossessione di tentare nuove scoperte riguardanti la mente umana, portò nel corso degli anni alcuni suoi collaboratori a sospettare che il dottore avesse tentato di eseguire sui malati psicotici più pericolosi, in un ambiente privato quale poteva essere la sua stessa villa, sperimentazioni al di fuori di ciascun protocollo.

Pochi giorni prima della morte di suo zio, Greta si era recata nella sua ampia stanza di ufficio per prendere alcune carte di lavoro da lui firmate qualche tempo prima. Considerando la precisione metodica del folle dottore, la donna fu irrimediabilmente attratta da un vecchio quaderno messo sullo scaffale in modo scomposto, quasi fosse stato riposto lì con molta fretta; sicuramente si trattava di una sistemazione di fortuna, dal momento che lo scaffale ospitava soltanto grandi e piccoli libri riguardanti la medicina ed in particolare la psichiatria. La prima pagina del grande quaderno, dalla copertina arancione e usurata dal tempo, portava il titolo “Procedimento di ipnosi per annullamento della volontà e della memoria”; la seconda pagina iniziava la spiegazione del procedimento, facendo riferimento alla presenza indispensabile di una fonte di luce di colore arancione; nell’ultima pagina la frase “auto-procedimento sperimentale per il ripristino della volontà e della memoria”.

… davanti ai vetri della control room, martoriati oramai da alcune ore da una grandine incessante, con il quaderno tra le mani ed il volto bagnato dalle lacrime, Greta comprende finalmente che grazie a quella inesorabile scoperta, per lei e per tanti altri innocenti sarebbe finalmente terminato un periodo di grande sofferenza…

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