Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Walkthrough” di Stefano Felici

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Venerdì. Sveglia alle sette e un quarto. Erica dorme ancora. Vado subito in cucina a fare colazione. Mi tocca finire due articoli entro l’ora di pranzo.

Quasi le nove. Mi arriva un’e-mail da parte della PaperBoxFactory – una piccola software house con sede a Napoli. Si tratta di una proposta di collaborazione.
Mi
chiedono la stesura di una guida accurata – un walkthroughper un gioco che hanno intenzione di lanciare entro dicembre: si chiama Videogoblin.
Il walkthrough d
ovrà essere redattocosì è scritto nell’e-mail – con uno stile coinvolgente e che ricalchi l’atmosfera suggerita dal gioco stesso. Nel caso accettassi la collaborazioneprosegue l’e-mail – mi verrebbe immediatamente girato il link da dove scaricarlo, oltre a un file di testo con le istruzioni per superare ogni singolo punto, e il contatto Skype di un loro programmatore con cui poter parlare in ogni momento della giornata – persino di notte. La collaborazione mi frutterebbe, al netto delle tasse, circa duecentocinquanta euro. Mi viene offerto anche un acconto. In allegato c’è un file .pdf con il contratto di collaborazione occasionale da stampare, riempire, firmare, scansionare e rispedire.

Scrivere un walkthrough è impegnativo. Di solito si fa per giochi lunghi e difficili. Ma, se il gioco vale, può anche essere divertente. Con la PaperBoxFactory ho già collaborato. I loro giochi non sono il massimo, ma non mi importa: il compenso è buono.

Stampo il contratto, lo riempio, lo scansiono e lo allego all’e-mail in cui comunico che sono disposto a cominciare anche il giorno stesso, con una prima consegna entro quattro giorni.
Mi rimetto a lavoro sugli articoli.

Alle nove e cinquanta mi arriva un’altra e-mail dalla PaperBoxFactory con il link per scaricare Videogoblin, il contatto Skype di tale Luca C., un file di testo nominato semplicemente istruzioni_videogoblin.txt e, neanche due minuti più tardi, una notifica di accredito di cinquanta euro.

Dopo pranzo, alle due e un quarto, porto il caffè alla scrivania e mi siedo davanti al pc. Erica arriva all’improvviso e mi abbraccia da dietro, mi dà un bacio sul collo, mi dice che starà via per un paio d’ore. Inarco la schiena e tiro indietro la testa per ridarle il bacio. Mi risistemo sulla sedia e infilo le cuffie.

Apro istruzioni_videogoblin.txt e do un’occhiata veloce: centiaia di righe fitte e perfettamente incolonnate. “A cura di Luca C. – PBF”.
Stampo tutto – vengono fuori ventisei pagine –, installo Videogoblin e lo faccio partire. Il gioco è molto leggero, e in due minuti sono già alla schermata iniziale: porto il cursore su Nuova Partita e comincio.

Si tratta di un gioco in soggettiva: ci si muove in un ambiente tridimensionale come se ci trovassimo lì di persona, in carne ossa, osservando tutto coi nostri occhi.
Non ci sono introduzioni. Nemmeno dei messaggi che spieghino i controlli. È dalla guida che apprendo i tasti per muoversi (quelli direzionali, ovviamente), quello per il salto (A), quello per ispezionare gli oggetti (S) e, se previsto dal gioco, quello per usarli (D). Con (Q) si accede all’inventario degli oggetti. Con (ESC) si torna al menù.

Si parte da una stanza semibuia: ci sono sagome di mobili leggermente più chiare rispetto al nero delle pareti. Nessun rumore tranne quello dei propri passi. (Prendo di nuovo il primo foglio delle istruzioni. C’è scritto: “accendere l’interruttore vicino alla porta. tornare indietro fino al tavolo. ispezionare il cassetto. prelevare la torcia elettrica e uscire dalla stanza.” Fin troppo didascaliche. Decido di farne a meno, di usarle solo in caso di situazioni irrisolvibili.)
Il livello iniziale è modellato come un dedalo di stanze identiche, tanto nelle dimensioni quanto nell’arredamento: semibuie; una cassapanca, lo scheletro di un letto e un tavolo; nessuna finestra; cambia solo ciò che si troverà in ogni cassetto: in quello della prima stanza una torcia, in quello della seconda la boccetta di un medicinale – per ripristinare i punti ferita, credo, anche se di punti ferita non c’è traccia –, poi una radio, delle pile elettriche, un blocchetto di legno.
Da una stanza all’altra bisogna percorrere, per almeno quaranta secondi, un lungo corridoio illuminato soltanto dalla luce fioca e traballante della torcia. Poi, regolarmente, sulla destra, una porta si materializza dal nulla, sulla parete, come generata al contatto con il cono di luce giallognolo e poligonale che proviene dal mio personaggio.

Videogoblin sembra uno dei tanti indie horror creati dai soliti programmatori autodidatti. Speravo in qualcosa di meglio.
Prendo per l’ennesima volta i fogli delle istuzioni, per capire se sto seguendo la strada giusta. Impossibile sia così noioso e ripetitivo. Qualcosa non quadra.

Mi sforzo di leggere. Non ci riesco. Mi guardo intorno: non c’è più luce. Giro di scatto verso l’orologio digitale appeso alla parete: i led, rosso elettrici, segnano le sette e un quarto. In quel momento Erica entra in camera, con addosso l’accappatoio e un asciugamano avvolto in testa, e mi chiede se va tutto bene. Non le rispondo. Continuo a fissare l’orologio.

Di nuovo, Erica mi chiede se è tutto ok, mentre si siede sul letto e si strofina la testa con l’asciugamano. Annuisco velocemente. Ma più che una risposta affermativa, il mio è uno scatto nervoso.

Mi è successo più di una volta di perdere la cognizione del tempo davanti ai videogiochi – ma mai per quelli così brutti, e mai al punto da sovrapporre cinque minuti a cinque ore.

So che casi di perdita di coscienza o di ipnosi durante una sessione di gioco non sono così rari. Succede perché la ripetitività di suoni e immagini genera stimoli sensoriali che possono sovraccaricare un sistema nervoso debole o sotto sforzo continuo. So anche dell’esistenza di casi più gravi, dove sopraggiungono crisi epilettiche, e possono manifestarsi i sintomi del sonnambulismo. (Questo mi ha sempre spaventato. Ma non credo di esserne soggetto.)

Erica torna in camera da letto e si infila sotto le lenzuola. La sento mentre mi dà un bacio su una guancia e mi augura la buonanotte. Farnetico qualcosa, per ricambiare; sono in dormiveglia. Appena me ne accorgo – appena comincio a gustare la fase iniziale del sonno – una scossa e un formicolio improvvisi mi attraversano dalla nuca fino fino alla bocca dello stomaco, facendomi sobbalzare sul materasso, a bocca aperta, senza fiato; spalanco gli occhi ed emetto un gemito strozzato, mentre una vertigine pesante mi dà l’impressione che tutto, intorno a me, stia ruotando; man mano, nel tentativo di respirare regolarmente, la vertigine si ridimensiona; e quando torno in equilibrio – e quando anche il respiro torna regolare –, mi accorgo di essere seduto alla scrivania, col pc acceso, con Videogoblin in esecuzione, ed è giorno, è primo pomeriggio, e ho in mano la guida di Luca C. della PaperBoxFactory.

Accendo l’interruttore. È una stanza diversa dalle altre.
Lungo tutta la parete di fronte sono ammassati fino al soffitto dei monitor spenti. Mi avvicino, rimango a guardarli; rumore della porta che si chiude – dovevo usare subito il blocchetto di legno; mi giro: la porta è scomparsa. Torno di nuovo verso la parete dei monitor. Mi avvicino e premo (S) – “È il monitor di un vecchio computer. Spento.” Premo (D). Il monitor lampeggia; si accende; uno a uno, si qccendono anche tutti gli altri.
L’immagine che compare, dopo una serie di flash, su tutti i monitor della parete, è uno strano viso triangolare, emaciato, rugoso; pelle verde; una fessura frastagliata come bocca; due occhi sporgenti, sproporzionati, gialli, con un’iride nera cerchiata di rosso; all’altezza del naso puntuto e raggrinzito, lampeggia una scritta bianca e dalle linee scalettate, VIDEOGOBLIN – VIDEOGOBLIN – VIDEOGOBLIN, e poi, improvvisamente, la fessura si apre sulla crosta di pelle verde, gli occhi puntano in alto, poi in basso, da un lato all’altro, VIDEOGOBLIN VIDEOGOBLIN VIDEOGOBLIN, la scritta lampeggia sempre più veloce, VIDEOGOBLINVIDEOGOBLINVIDEOGOBLIN, la bocca si spalanca e un rumore acuto e metallico mi trafigge le orecchie, costringendomi a lanciar via le cuffie, ad allontanarmi dalla scrivania.
Sento una voce ovattata che mi chiede se sto dormendo. È la voce di Erica. Ma quello che vedo davanti a me è lo schermo del pc, la a scrivania, il muro della camera; mi alzo in piedi – sento le gambe molli e la testa pesante: ricado subito sulla sedia.

Mi sveglia Erica. La sento che mi strattona per un braccio. Singhiozza e dice di aver visto la sagoma di un uomo, un nano, un pupazzo ricurvo nell’angolo della scrivania. Mi appoggio sui gomiti. Guardo l’orolgio della stanza: sono le quattro e trenta del mattino.
Ho un po’ di mal di testa. Mi alzo, senza dire nulla a Erica. Ho lo stomaco che brucia mi sento confuso, angosciato.
Arrivo barcollando alla scrivania. Il pc è in standby. Premo un pulsante: un lampo di luce bianca in pieno volto. Inserisco la password, strizzando gli occhi. Sullo schermo appare un viso verde e raccapricciante, lo stesso del sogno, e la scritta VIDEOGOBLIN che lampeggia veloce, io rimango a bocca aperta col respiro che quasi viene meno, dietro di me Erica caccia un urlo che mi fa vibrare i timpani, non faccio in tempo a girarmi che la vedo in piedi, sul letto, con una sagoma scura che le arriva alla vita e che allunga quelle che sembrano due braccia verso il suo seno, mentre lei caccia di nuovo un urlo disperato, poi chiama il mio nome, si schiaccia addosso alla parete, e all’improvviso cade sul letto, svenuta, e io lancio la prima cosa che mi capita sotto mano verso quella sagoma scura che ora è immobile, e che mi fissa, o almeno questa è la mia impressione.

Messaggio su Skype da Luca C.: «ehi. novità? è passata una settimana. ti scrivo per sapere se c’è qualche problema.»
Risposta: «sono nella stanza dei monitor, non riesco a uscire, le tue istruzioni non dicono nulla su come fare a venirne fuori, dammi una mano,
ti prego»
Luca C.: «
non le hai seguite le istruzioni? non hai letto cosa dovevi fare appena entrato?»
Risposta: «no, non le ho seguite, ma ora mi devi aiutare, non riesco a uscire, non ne vengo fuori, è un incubo, dico sul serio, vieni di persona, abito in via Cartesio 28, sulla Nomentana, a Roma, puoi venire?»
Luca C.: «no che non posso. dovevi seguire le istruzioni. mi spiace. mandaci quello che sei riuscito a scrivere finora. poi per il resto del pagamento ti faccio sapere io. ci sentiamo.»

Loading

2 commenti »

  1. Il tuo è un racconto molto inquietante, per chi come me fa un limitato uso di tecnologie addirittura spaventoso, soprattutto l’indifferenza di Luca C. che non afferra il disagio del protagonista. E’ scritto bene, e la tensione cresce per tutto il racconto, Bravo Stefano.

  2. Bravo, il tuo racconto è un crescendo di adrenalina e angoscia… Il finale però non mi sembra tanto in sintonia con il resto della storia, mi sembra frettoloso…

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.