Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Cacciatore di incubi” di Giulia Maria Castiglioni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Correva, correva da ore ormai. Con l’arco in mano e la faretra sulla spalla.

Sentiva il fiato venirgli meno, ma doveva scappare, scappare da… neanche lui lo sapeva.

L’unico pensiero che aveva in testa era rimanere in vita. Non riusciva più a sentire i piedi e il volto era cosparso di sudore. Così rallentò il passo e regolò il respiro.
Gli pareva di essere in quel bosco da troppo tempo ormai, ma sapeva che qualcuno o qualcosa di terribile lo stava inseguendo. Si fermò pochi secondi, giusto il tempo di far riposare le gambe, quando un forte rumore dietro le spalle lo fece trasalire.
Peter si svegliò nel suo letto col fiatone e il corpo grondante di sudore. Subito tirò un sospiro di sollievo, ma il suo cuore batteva ancora fortissimo. Poi si rimproverò pensando che avrebbe fatto meglio a non leggere quel libro fino a tarda notte.
Si alzò dal letto e si diresse verso il bagno. Mentre si guardava allo specchio, asciugandosi il volto, notò un livido sopra l’occhio destro, ma non ci diede troppo peso, dopotutto era molto imbranato e cadeva dalle scale così spesso da essersi abituato a ferite del genere.
In effetti Peter non era un ragazzo particolarmente agile, anzi era parecchio goffo e impacciato. Era sempre stato molto timido e per questo a scuola non aveva molti amici, perciò la maggior parte del tempo la passava davanti alla televisione o al computer.
Dopo essersi preparato, andò in cucina, fece una veloce colazione, salutò i genitori e uscì per andare a scuola.
Non gli piaceva la scuola, in parte perché studiare non gli era mai andato particolarmente a genio; non che fosse stupido, anzi era un ragazzo molto intelligente, ma trovava lo studio solo una perdita di tempo. E, soprattutto, a scuola quasi nessuno parlava con lui e sentirsi esclusi non è affatto una bella cosa. Qualche amico in realtà Peter ce l’aveva, ma la maggior parte dei ragazzi lo prendeva in giro per la sua goffaggine o più semplicemente lo ignorava.
A scuola quella mattina egli era talmente assorto nei suoi pensieri che non si accorse che le scale che portavano all’aula erano finite e ovviamente perse l’equilibrio e cadde in avanti, rendendosi per l’ennesima volta ridicolo di fronte ai compagni, che lo stavano deridendo proprio davanti ai suoi occhi.
Quel giorno Peter in classe passò il tempo a pensare al perché lui era fatto in quel modo e non poteva essere come quei ragazzi protagonisti dei vari racconti di avventura e azione che aveva letto, i quali erano belli, forti, coraggiosi, agili e veloci e sempre pronti a combattere e aiutare gli altri, mentre lui era uno stupido ragazzino di cui non importava niente a nessuno.
Tornato a casa si chiuse subito in camera e lì aspettò fino all’ora di dormire. Si infilò nel letto e chiuse gli occhi, cercando di dimenticare tutto quello che era successo.
Un gigantesco lupo con le zanne scoperte e la bava che gli colava dalla bocca lo stava fissando in attesa della sua prossima mossa, gli artigli delle enormi zampe pronti a conficcarsi nel petto del ragazzo. Peter si trovava con la schiena contro un grande albero, il fiato corto e in mano l’arco che aveva la notte precedente. Ebbe giusto il tempo di prendere una freccia che la bestia gli era già addosso. Subito Peter cadde al suolo e rotolò lontano dall’albero un attimo prima che il lupo lo attaccasse. Non perse tempo e immediatamente Peter scoccò una freccia che raggiunse una zampa della bestia. Essa però non si lasciò intimorire e riprese l’attacco. Si avvicinò al ragazzo e si scagliò su di lui, ferendolo al braccio sinistro. A Peter lacrimavano gli occhi ma non poteva arrendersi, lui era forte e coraggioso e un lupo non lo avrebbe di certo fermato. Recuperò quindi tutte le energie che aveva ancora in corpo e scoccò quante più frecce il braccio ferito gli permise. La belva poco dopo cadde al suolo, stremata e coperta dal sangue che sgorgava dalle ferite. Peter, dopo essersi accertato che il lupo fosse morto, cominciò a correre, ma pochi passi dopo la vista gli si offuscò e cadde a terra privo di sensi.
Si risvegliò bagnato fradicio nel suo letto, in un groviglio di lenzuola, col fiatone, ma sollevato che fosse solo un sogno. Tuttavia si stupì quando sentì l’odore del sangue, e avvertendo delle fitte di dolore al braccio sinistro, spostò le lenzuola e vide la profonda ferita che la bestia gli aveva inferto.

Non era possibile. Era proprio quella che il lupo gli aveva procurato, eppure non poteva essere vero. Era come se in quella foresta avesse una seconda vita, come se vivesse in una realtà parallela. Anche il giorno prima, quando aveva notato di avere un livido sulla fronte, si era fatto qualche domanda, ma non si era preoccupato più di tanto, in fondo era solo una piccola botta. Ora invece la questione si faceva più seria. E se si fosse ferito gravemente, o se fosse morto? Cosa sarebbe successo?

Tutto ciò continuò a preoccuparlo anche le notti successive, dato che si ritrovò sempre in quel bosco tenebroso.

A scuola le cose non andavano molto meglio. Quel ragazzo grande e grosso, che faceva paura a tutti, aveva iniziato a tormentarlo. Peter veniva picchiato e preso in giro da lui, ma nessuno aveva il coraggio di difenderlo.

Quella sera Peter era nel suo letto e con il ghiaccio in mano si massaggiava il livido sullo zigomo, procuratogli da quel ragazzaccio che lo perseguitava. Era l’ennesimo pugno che riceveva in quella settimana. Jack era un ragazzo strano, nessuno sapeva niente né della sua famiglia né del suo passato, tutti avevano il terrore di parlargli. Peter non aveva idea del perché ce l’avesse con lui, ma erano ormai quasi due settimane che lo tormentava.

E i suoi sogni, o meglio la sua altra vita, continuavano ancora tutte le notti e non riusciva a farli smettere. Aveva anche provato a rimanere sveglio di notte, ma tutte le volte la stanchezza aveva avuto la meglio.

Si era ritrovato a dover sconfiggere diverse belve feroci e per fortuna quasi sempre se l’era cavata solo con qualche graffio.

Dopo aver riposto il ghiaccio in freezer, Peter si mise a letto e, come tutte le notti, aspettò con ansia e paura di addormentarsi.

Quella notte era tutto tranquillo nella foresta. Tutto troppo tranquillo. Di solito si sentivano diversi rumori provenire dagli alberi, ma in quel momento tutto sembrava congelato.

Improvvisamente un rumore lo fece sussultare. Si sentiva un leggero fruscio di foglie e, qualunque cosa fosse, si stava avvicinando.

Peter aveva il cuore in gola e sperava che chiunque stesse arrivando non fosse troppo grosso e terrificante. Appena vide la figura che piano si stava delineando tra i rami rimase sconvolto.

Come poteva essere anche lì, nel suo bosco? Voleva tormentarlo anche la notte?

E fu proprio quest’ultima domanda che rivolse al ragazzaccio che gli stava davanti.

“Senti, non ho la più pallida idea di che cosa tu ci faccia qui, né che cosa sia questo posto, ma non ho intenzione di farti del male, per il momento…” disse Jack, appoggiandosi al tronco di un albero. “Sentivo però di dover parlare con te”. Peter non aveva idea di che cosa dire. Non capiva se fosse realmente Jack in carne ed ossa, oppure se fosse soltanto un’allucinazione.

Fatto sta che il ragazzo che tutti i giorni lo maltrattava gli aveva appena detto che voleva parlargli. E infatti, senza aspettare una risposta, Jack cominciò a parlare e parlare, e piano piano, incoraggiato anche da Peter, fece crollare quel muro che lo faceva apparire un duro e un arrogante. Aveva raccontato tutto: i suoi problemi con la famiglia – i suoi genitori infatti erano separati e suo padre la maggior parte del tempo lo picchiava e lo trattava malissimo -, la sua difficoltà nel parlare con le persone e nel farsi nuovi amici e che in realtà l’unica cosa che avrebbe voluto, invece di venire temuto da tutti, era avere un amico.

I due ragazzi parlarono tutta la notte e tutte le notti seguenti. Peter si rese conto che Jack in realtà era un ragazzo molto simpatico e che il suo comportamento a scuola era dovuto al fatto che aveva paura di non venire accettato. Ciò che però Peter non capiva era perché a scuola egli continuasse a tormentarlo e ciò non faceva altro che aumentare le sue perplessità. Non era possibile che il ragazzo che si trovava davanti a lui in quel momento, giochicchiando distrattamente con un rametto, e che si comportava così amichevolmente con lui fosse lo stesso che a scuola lo maltrattava.

Improvvisamente si sentì un forte tonfo e un enorme ruggito si levò nell’aria. Peter subito recuperò il suo fidato arco e si preparò ad attaccare, ma quando vide la creatura che gli stava di fronte tutte le forze gli vennero meno.

Era gigantesca, coperta da una folta e rigida peluria, con zampe grosse quanto la sua faccia e artigli e zanne non meno spaventosi. Era parecchio alta e aveva due occhi che sprizzavano sangue e nessuno l’aveva mai vista prima.

Subito cominciò a sferrare colpi, cercando di ferire Peter, che però, ripresosi dallo shock iniziale, continuava a lanciare frecce verso la belva, le cui forze sembravano non esaurirsi mai.

Ormai Peter era agli sgoccioli, le frecce stavano per finire ed egli non riusciva più a stare in piedi, ma continuava a resistere. La bestia, però, all’improvviso, si girò verso Jack e si preparò per assestargli un colpo che lo avrebbe certamente ucciso. Peter in quel momento neanche pensò se quel ragazzo fosse vero o frutto della sua immaginazione, si gettò davanti a lui e in una frazione di secondo giaceva a terra, morto.

La sua camera non gli era mai parsa più accogliente come in quel momento. Peter era nel suo letto, ancora incredulo di ciò che era successo. Era morto in quel bosco, ne era certo, eppure ora era vivo, senza neanche un graffio, neanche la cicatrice che il lupo gli aveva lasciato era rimasta. Un milione di domande gli si affollarono nella testa, una in particolare: che fosse quello il modo per riuscire a sfuggire a quella realtà parallela? Morire? L’unico modo per scoprirlo era provare ad addormentarsi, cosa che fece immediatamente.

La mattina dopo Peter non era mai stato più felice. Non aveva avuto incubi da quando si era riaddormentato quella notte e finalmente era libero dalla sua doppia vita.

Ma c’era ancora una cosa che doveva fare.

Arrivato a scuola, Jack gli venne incontro, lo spinse contro il muro e si preparò a sferrargli un pugno. Peter lo fermò, lo guardò fisso negli occhi e gli disse che non doveva avere paura di chi era e che gli altri non lo avrebbero giudicato per il suo carattere, che non era poi così male, o per la sua storia famigliare; e, cosa più importante, gli disse che se avesse avuto bisogno di un amico, lui ci sarebbe sempre stato.

Poi se ne andò, lasciando Jack a bocca aperta e con il pugno ancora sospeso in aria.

E in quell’istante entrambi capirono tutto.

 

 

 

 

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