Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Il nero vuoto della morte” di Erica Marafon

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Per la prima volta da tempo si sentiva sereno. Davanti all’oscurità turbata solo dal lontano baluginare delle stelle e al silenzio quasi totale anche le voci nella sua testa si attutirono. Era bello avere finalmente la mente libera da quei pensieri che lo tormentavano incessantemente dall’anno prima. Si lasció andare osservando il cielo, in confronto al quale tutto sembrava stupido e poco importante

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. La pace e la tranquillità che lo pervadevano stavano pian piano svanendo, lasciando spazio a una sensazione di vuoto, come se mancasse qualcosa. Si concentrò, tentando di tendere l’orecchio il più possibile. Non sentiva niente, se non il rombo lontano delle auto nella città. Per la prima volta da tempo sorrise, era finalmente solo con i suoi pensieri. Le voci che gli avevano sussurrato, parlato, addirittura urlato nelle orecchie erano improvvisamente svanite, con la stessa rapidità con cui erano giunte circa un anno prima, subito dopo l’incendio. Rabbrividì al solo pensiero di quel momento, non era ancora riuscito a superare il trauma. Rivedeva ciascun istante nella sua mente ogni volta che tentava di dormire, divertirsi o semplicemente di rilassarsi. Tornò con la mente all’evento che aveva scatenato tutto. Era pomeriggio inoltrato e fuori pioveva. Il freddo pungente entrava fin nelle ossa, perciò i suoi genitori avevano deciso di accendere il camino. Ne avevano uno molto grande ed imponente, che era in grado da solo di riscaldare i piani superiori della villetta in cui vivevano e davanti al quale amavano stare per leggere, parlare o guardare la televisione. Suo padre aveva approfittato del brutto tempo per rimodernare la casa e in quel momento si trovava al piano di sopra con la madre per montare un grazioso mobile di legno appena acquistato. Il ragazzo non era mai stato particolarmente abile dal punto di vista della manualità, quindi aveva deciso di non aiutarlo e di restare in camera sua a riposarsi. Questo suo intento era difficile da perseguire a causa del rumore fastidioso e persistente del martello del padre, quindi decise di chiudere a chiave la porta e indossare le cuffie per ascoltare la musica, isolandosi completamente dal mondo esterno. Stava per addormentarsi quando iniziò a sentire un odore strano, ma non si preoccupò molto: non era la prima volta che suo padre alzando il vetro che copriva l’imboccatura del camino per mettere la legna riempiva la casa di un lieve sentore di bruciato. Si rigirò tra le coperte e tentò di riaddormentarsi, ma non ci riusciva per il troppo caldo. Neanche questo lo stupì, perché era sempre stato molto caloroso, specialmente mentre era sul punto di dormire. Si alzò dal letto leggermente intontito per cambiare la coperta pesante con una più leggera, quando l’odore lo colpì più forte e fastidioso di  prima. Iniziò a venirgli una leggera ansia, ma  si ripeté che non poteva essere successo nulla di grave, altrimenti lo avrebbero certamente chiamato. Si ricordò allora in quel momento delle cuffie che aveva sulle orecchie. Preso da un brutto presentimento le abbassò. Passi, tonfi, grida. Pugni sbattuti sulla porta, pianti, altre grida. Corse ad aprire la porta. Un muro invalicabile di fuoco lo sovrastava, facendolo soffocare per il fumo e ustionandogli la pelle. Dall’altra parte, i suoi genitori, che  tentavano di raggiungerlo. Poi, più niente. Dei giorni seguenti aveva ricordi molto confusi. Scoprì più avanti di essere svenuto e di esser stato portato fuori da dei pompieri, mentre i genitori, purtroppo, non ce l’avevano fatta, lasciandolo orfano con un dolore incolmabile. Poco dopo, erano iniziate. Le voci. Le sentiva ovunque, qualunque cosa facesse. Gli parlavano, lo chiamavano, piangevano sommessamente, urlavano. La cosa peggiore non era tanto l’insistenza, ma a chi appartenevano: sembravano proprio quelle della madre e del padre che aveva perso. Pensò di essere pazzo, tentò in tutti i modi di liberarsene, ma non ci riusciva. Erano perennemente lì a confonderlo, spaventarlo e ricordargli la sua perdita. Il suo fu un lutto tremendo, acuito dalla presenza delle voci dei morti, che lo illudevano di poter avere ancora qualche contatto con loro. A volte li sognava e per brevissimi istanti gli sembrava di averli intorno a sé o avvertiva la loro presenza, ma non era mai vero. Apriva gli occhi e si trovava davanti solamente il buio più assoluto, vuoto come la sua vita senza di loro.

Il vuoto era ciò che aveva caratterizzato la sua esistenza fino a quel momento. Niente riusciva a suscitargli alcuna emozione, ogni sforzo di rallegrarsi veniva inghiottito in quell’abisso aperto dall’incendio e reso sempre più profondo dalle parole che gli rimbombavano in testa. Ogni giorno si accorgeva che stava perdendo un pezzetto di sé, che stava diventando sempre più diverso dalla persona che era e sempre più simile a un automa. Ogni emozione era intorpidita e gli pareva falsa, come se lui non la stesse provando veramente. L’unico barlume di carattere che gli restava era ciò che lo spingeva a lottare contro le voci, sperando in questo modo di poter ritornare qual era. Purtroppo, col passare del tempo, il bisbiglio nella sua testa  che continuava a chiedergli di raggiungere i genitori diventava più difficile da sopportare. Quante volte si era ritrovato a guardare la strada sotto di sé cercando la forza di lasciarsi andare e mettere fine alla propria sofferenza, senza mai riuscirci. Per questo, stava sprofondando sempre di più, allontanandosi progressivamente da ogni possibilità di riacquistare la gioia che aveva perduto. Eppure, quella sera, lui si sentiva bene. La pace che lo pervadeva riusciva a far riaffiorare la speranza di poter un  giorno riprendere a trascorrere una vita normale, libero dal torpore che si era impossessato di lui e dal tormento delle voci. Sorrise di nuovo e provò a testare la sua rinnovata fiducia avvicinandosi al balcone e guardando sotto si sé. La strada, lunga, nera e vuota che si estendeva vicino alla casa non lo attraeva più. Sollevato e felice, tornò in casa. Si rilassò sul divano, godendosi ogni attimo della ritrovata libertà. Pian piano, però, iniziò a pensare al motivo della scomparsa dei richiami. Non riusciva a capacitarsi della novità, così come non comprendeva che cosa avesse potuto cancellare i suoi problemi. Aveva tentato così a lungo di ottenere questo risultato senza riuscirci, per poi ritrovare tutto risolto improvvisamente, senza alcun motivo comprensibile. Magari era riuscito a superare definitivamente il trauma e non avrebbe più dovuto temere la sua mente.  Iniziò a diventare leggermente ansioso. Temeva che la sua tranquillità non sarebbe durata molto e, soprattutto, che a questo momento di silenzio sarebbe potuto seguire qualcosa di ancora peggiore. Tentò di tranquillizzarsi dicendosi che le sue paure, oltre a essere infondate, erano anche senza senso: dopotutto non c’era alcun motivo per cui sarebbero dovute tornare o aggravarsi. In questo modo, riuscì ad autoconvincersi che sarebbe andato tutto bene. Si mise più comodo e prese un libro da leggere. Pian piano iniziò a sentire le sue forze venir meno, come se fosse particolarmente stanco. Faticava a muoversi, si sentiva intorpidito e tutti i pensieri che formulava erano confusi. La testa iniziò a girargli, la vista ad annebbiarsi, il respiro divenne lento e poco stabile. Si appoggiò ai cuscini e chiuse gli occhi.

Sul monitor una linea continua. Un rumore continuo e terribile attraversò la fredda stanza 4 del reparto di terapia intensiva. Un pianto straziante si alzò e si diffuse per tutto il terzo piano del silenzioso ospedale. Accanto al monitor, di fronte a un medico impassibile, una coppia sulla cinquantina singhiozzava disperata. Le loro mani, sfregiate da cicatrici di vecchie bruciature, erano avvolte intorno a quelle affusolate e pallide di un ragazzo, disteso sul lettino. Le preghiere, le parole dell’uomo e della donna, che avevano tentato di risvegliare il proprio unico figlio dal coma in cui si trovava, erano state inutili. Con il volto rigato di lacrime, guardarono per l’ultima volta il loro bambino, che dopo un anno di lotta per svegliarsi, aveva deciso di arrendersi, abbandonandosi al nero vuoto della morte.

 

 

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1 commento »

  1. Racconto emozionante e struggente. Una lettura che ti coinvolge da sembrare di vivere questa situazione. Si legge tutto d’un fiato. Complimenti e continua a scrivere magari anche racconti una po’ più ottimistici.

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