Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Come non mi vuoi” di Marta Cabelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Ho appena fatto l’amore con uno sconosciuto. E’ ancora di là sotto le mie coperte. Ho il suo odore sulla pelle. Sa di vaniglia e di tabacco, mentre l’orologio sul comodino lampeggia le tre. Si è addormentato esausto a gambe larghe. Emette un timido verso con la bocca che assomiglia a una preghiera sussurrata a mezze labbra. Forse se lo conoscessi meglio, si rivelerebbe un cattolico praticante o un luterano predestinato, ma di lui non so nulla, a parte che è bello come un’opera d’arte rinascimentale ed ha un alito che assomiglia a un giardino incantato. Alle sei faranno giusto dieci ore che ci conosciamo, ed io ho deciso di andarci a letto dopo mezz’ora che lo avevo visto. Il resto è stato solo routine, meccanismi consolidati di approccio e rodati negli anni che mi porto addosso. Una recitazione che mi rende un’attrice non protagonista d’infimo ordine, se sapessero come recito nella stessa maniera qualsiasi copione mi viene proposto. Prima di addormentarsi mi ha sussurrato all’orecchio che io sono la sua donna ideale, un po’ madre e un po’ troia, poi si è girato ed ha cominciato a russare istantaneamente, senza neanche darmi il tempo di rispondere. Ma forse è meglio così. La verità in certi casi – è questo è uno di quelli – è dannatamente pericolosa.

Sono le quattro e il vento sta diventando freddo, una luna scontrosa si sta facendo largo tra le nuvole nere.

Mi sveglio di soprassalto.

Sono le otto.

Cerco di svegliarlo dandogli dei colpetti sulla schiena, ma niente. Riprovo più forte e solo allora sento un grugnito da animale stanato.  Siamo talmente vicini che non riusciamo a vederci. Il suo odore è rimasto invariato. I suoi gesti sono ancora gentili. Lo guardo negli occhi. Ha due stupende pupille color verde bottiglia, mi ricordano  il mare di Acciaroli.

– Mi dispiace ma devi andare, lui sarà qui entro le 10,  – gli dico categorica e abbasso lo sguardo.

 – Va bene, come vuoi, ai tuoi ordini. Voglio solo dirti che sono stato benissimo, sei stupenda, fammi sapere quando ci possiamo ancora vedere,  – si riveste in fretta. Mi dà due bacetti sulle guance e si infila nella porta che sbatte dietro di lui con un rumore metallico di fine corsa.

Sono di nuovo sola, esattamente come ventiquattro ore prima.

A volte basta un solo giorno per decidere di un’esistenza, e il mio è stato quello appena trascorso facendo l’amore con un uomo senza nome.

Riassetto la stanza. Alla fine regna un ordine sovrano e disumano per me, che sono una disordinata cronica.  Anche un bambino capirebbe che è successo qualcosa, ma va bene così.

Alle 10 bussa al porta, puntuale come al solito.

– Ciao amore mio,  – mi abbraccia forte. Ha un odore di aeroporto e notte insonne.

– Come è andato il viaggio, hai bisogno di andare in bagno? – respiro profondamente, inspiro ed espiro. Lui entra, posa le valige, si toglie il giubbino, si guarda attorno, per fortuna non dice niente sull’ordine sovrano, e va in bagno. Piscia con la porta aperta, e io penso che anche questa è una nefasta conseguenza dei nostri otto anni di fidanzamento. Del lento susseguirsi delle nostre solite abitudini. Della nostra consumata conoscenza che negli anni ci ha tolto anche il mistero di una porta del bagno chiusa a chiave. Piscia e parla di New York, dell’università, del dottorato, del prof Steward che vuole assolutamente esserci al nostro matrimonio, della gita a Long Island, di una casa ristrutturata, bellissima, favolosa che ha visto e che è la casa dei suoi sogni, anzi dei nostri e bla, bla, bla; ma io mi sono fermata a venti parole prima. Alla parola matrimonio, che pulsa sulle mie tempie come un martello pneumatico fuori produzione. Ma quando mai noi due abbiamo parlato di matrimonio? Forse qualcosa mi è sfuggito in queste due settimane che sei stato a New York?. Questo lo penso ma non lo dico. Sulla mia faccia credo sia stampato un sorriso ebete che chiunque riuscirebbe a decifrare, ma lui è troppo concentrato sulle sue abluzioni, e non si accorge di nulla. Continua a parlarmi dal bagno mentre ha finito di pisciare. Si lava le mani e, nel silenzio della lavata di denti, ho qualche secondo di tempo per riprendermi dal colpo e pensare a quello che devo dire.

– Sono contenta per te, tutte belle notizie, l’America ti porta fortuna, vedrai che farai carriera – potevo fare di meglio ma questo è tutto quello che riesco a dire.

Lui si siede e mi prende la mano: – Vale, mi sei mancata moltissimo, ti ho tanto desiderato in queste settimane, ho pensato molto a noi due, voglio dire alla nostra storia e credo che sia il momento di fare delle scelte definitive, ho già pensato a tutto, sarà un matrimonio da favola.

La mano inizia a scendere tra i miei seni passando per il collo, arriva giù sotto le mie cosce e le trova istintivamente chiuse .

A questo punto, a solo a questo punto, si accorge di qualcosa. Sono riuscita a fingere per molto meno di cinque minuti.

– Cosa c’è amore, va tutto bene?,- penso adesso glielo dico, ora o mai più.

Mi esce una voce strozzata che assomiglia ad un rantolo: – no, per  niente.

Penso di avere gli occhi già gonfi. I miei occhi che credo abbiano già detto tutto, anche se ho detto solo tre parole.

Lui si fa serio.

Si tira indietro.

Mi guarda stupito. Sta per dire qualcosa, ma non fa in tempo perché io straripo dai miei argini, dalle mie sponde tenute strette per otto lunghi anni. Non ricordo più cosa esattamente ho detto. Ricordo solo di aver parlato per dieci lunghi minuti. Il mio primo monologo in otto anni e, fra tante parole quella frase: Sono appena andata a letto con un altro, qui, questa notte, nel nostro letto – credo lo abbia ferito a morte più di una mitragliata nel cuore; perché, solo in quel momento, fra tante parole già dette, solo in quel preciso momento, lui lascia cadere le mie mani come petali sfioriti, si veste senza dire una parola, prende le sue cose e, in meno di un minuto, esce di scena, in punta di piedi, come un personaggio secondario di un’immensa opera teatrale. Se ci fosse stata Vanja avrebbe detto che anche in quell’occasione si è dimostrato un gran signore. Lei mi avrebbe picchiato a sangue e lasciata morente nell’appartamento, ma Vanja e Paolo sono sempre stati molto diversi e forse per questo si odiavano.

Io sono di nuovo sola, esattamente come mezz’ora prima.

Tutto si è concluso nel giro di mezz’ora. Otto anni – per la precisione otto anni e cinque mesi – finiti nel giro di mezz’ora e, fra tutte le cose che gli ho detto, quella che lo ha fatto andar via è stata la brutale rivelazione del mio primo tradimento nel giro di otto anni e cinque mesi. Ma questo lo avevo già previsto e premeditato. In fondo l’ho fatto solo per questo. Scientemente avevo una sola intenzione: trovarmi un movente credibile e convincente e, visto il risultato, credo di averlo trovato, per quanto banale: sono andata a letto con un altro, non ti amo più, ti lascio. Ma io conosco la mia pericolosa verità e non posso sfuggirle, almeno io. A lui l’ho rivelata in parte. Piangendo, con il volto rigato dal nero del rimmel, gli ho detto che non lo amo più, che la nostra storia è finita, esaurita, che non è colpa di nessuno, che lo cose sono andate così, che siamo cresciuti diversamente e che non è colpa di nessuno per la miseria e bla, bla, bla. Non potevo dirgli che oggi smettevo di farmi scegliere da lui e finalmente sceglievo io. Che quel tradimento aveva per me solo il senso di mettere un sigillo, concreto, palpabile, reale alla fine della nostra storia che altrimenti non sarebbe mai finita, perché non vi era nessun motivo, nessun stramaledetto motivo, per farla finire; se non che un giorno di gennaio di almeno un anno prima, mi ero svegliata di buon mattino, nel tepore caldo del piumino danese, e avevo scoperto che non lo amavo più, così come si scopre di avere un molare gonfio o un brufolo sul naso, e che ci avevo messo più di un anno per lasciarlo. Lui era perfetto, buono, dolce, amorevole, rassicurante, con una immensa voglia di amarmi, e queste sue caratteristiche perfette mi facevano cadere ogni volta nella rete, che lui inconsapevolmente tesseva. Mentre le mie amiche mi ripetevano: “Uno così come fai a lasciarlo? sarebbe una pazzia”. Perché qualunque problema avessimo avuto, lui avrebbe trovato la soluzione giusta per continuare a stare insieme. L’esatto profilo. La giusta distanza. Il giusto contemperamento. Per questo non riuscivo a dirgli semplicemente “ Paolo, ti lascio perché non ti amo più, non so neanche io perché, ma so solo che non ti amo”. Era un anno che ci stavo provando ma lui, con la sua personalità onnipotente ed ipnotica, trovava sempre un modo, un sistema per riagganciarmi a lui ed io finivo per convincermi che aveva ragione, che bisognava ancora provare, che tutti i nostri problemi si sarebbero risolti, che non era che non l’amavo più ma che si trattava solo di un momento di stanchezza che capita a tutti.

Mentre partorisco questo pensiero, in modo simultaneo, inizio a partorire anche un piccolo, nascente senso di colpa per il mio comportamento. Forse avrei potuto non farlo. Avrei potuto inventarmi tutto una storia di sesso mai avvenuta e creata apposta per lasciarlo o, ancora meglio, avrei potuto dirgli semplicemente la verità. Forse, questa volta, avrebbe finalmente capito e mi avrebbe lasciata andare, forse.

Mi vesto in fretta. Raggiungo la chiesa di S. Maria Apparente sul corso Vittorio Emanuele. Due rampe di scale di pietra per una vista stupefacente del mare di Napoli, abitato dalle vele dei laser in regata. Accendo una sigaretta. Una musica dolce nelle orecchie.  Ad un tratto sento toccarmi la spalla, una, due, tre volte con insistenza. Mi volto e vedo una vecchia piccola e curva, che cammina ad angolo retto aiutata da un bastone. I capelli tirati in un miserabile chignon. Mi mostra una manina aperta piena di calli. Al dito una fede che col tempo è diventata marrone. Stacco l’ ipod e sento che mi sta dicendo, da chissà quanto tempo:

– Signurì ci hai qualcosa di soldi? Ma che sì sorda?

– No, signora, stavo ascoltando musica.

-Musica ? E dov’è il giradischi ?

– E’ questo, signora – e le mostro l’ipod nano che ho tra le mani. Lei mi guarda con una faccia disgustata, come se le avesse mostrato il peccato originale. Afferra voracemente l’euro che nel frattempo ho preso dal portafogli. Lo mette in tasca e riprende la sua vita ad angolo retto, scendendo cautamente le scale di pietra con il bastone. La seguo con lo sguardo. Giunta all’ ultimo gradino, si aggiusta la gonna, si sistema lo chignon e si volta. Alza lo sguardo su fino alla cima verso di me e mi sorride, a bocca larga. Una bocca solcata da un fiume di rughe e canali. E’ un attimo, poi si rigira e prosegue, non voltandosi più ed io penso che qualche volta, per fortuna, siamo fatti di attimi, di guizzi improvvisi, di decisioni immediate che ci cambiano la vita e ce la liberano per sempre.

 

 

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12 commenti »

  1. Una buona penna, non c’è che dire

  2. Complimenti Marta. Un racconto che si fa leggere tutto d’un fiato. Il tuo stile è fluido e molto scorrevole. Sì, hai ragione, le scelte immediate sono quelle migliori.
    In bocca al lupo. Se ti va, passa dalla mia pagina.

  3. Le storie d’amore, chiamiamole così,non mi appassionano, generalmente le evito forse perché sono consapevole di non essere capace a scriverne. Il tuo racconto, invece, è fatto così bene, scritto in modo così spontaneo, fluido, senza tentennamenti nè aggettivi ridondanti, senza nessuna concessione alla retorica mielosa, che mi ha catturato sin da subito. Davvero brava, complimentoni

  4. Brava. Anche se io avrei chiuso il racconto su quel “Ma che, sì sorda?”. Comunque fatti sentire
    Andrea Iannamorelli

  5. Bellissima, complimenti

  6. Premetto che io adoro le storie d’amore,quando poi sono ben scritte è il massimo.Ne avrei letto volentieri ancora cara Marta.tanti complimenti e in bocca al lupo.

  7. Sei stata bravissima! La tua storia è potente, il tuo modo di scrivere è preciso e affascinante, mentre quello che scrivi ci ricorda che spesso, in molte situazioni, il perché non c’è davvero, e la cosa più difficile è ammettere la sua assenza. In bocca al lupo!

  8. Brava! Racconti del coraggio che si dovrebbe avere per non vivere nella falsità quotidiana che affligge molte coppie. E’ difficile chiudere un legame affettivo ma bisognerebbe capire che l’onestà verso se stessi e verso gli altri è la cosa più importante che esiste. I miei complimenti.

  9. Parola d’ordine: consapevolezza! Prepotentemente presente nel tuo racconto. Complimenti!!!

  10. Grazie per i vostri commenti. Avete colto ciò che volevo dire. E questo mi rende davvero felice.

  11. Questa storia è onesta, senza romanticismi e buonismi inutili, è semplicemente vera e autentica. Scritta benissimo.
    Mi è piaciuta molto.

    Orsola

  12. Buongiorno.
    Ho apprezzato il chiaro realismo col quale lei spiega una verità comune a molti ma accettata da pochi: qualche volta serve un guizzo(… alle volte no).
    Il racconto è limpido e veloce: l’ho letto con piacere.
    Complimenti e Auguri,
    Alberto Pesi (il ritorno)

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