Premio Racconti nella Rete 2016 “Diario di una donna vedova e nonna” di Nella Ginatempo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016IN PRINCIPIO ERA IL MARE
In principio era il mare. Calmo come solo il mare sa esserlo quando è totalmente completamente calmo. Il grande specchio celeste cattura anche le nuvole, le riflette in una luce bianca fosforescente.
Ma quella mattina neanche una nuvola. L’azzurro lancinante del cielo era totale. Totale come l’abbraccio dell’uomo che le sorrideva. Lei lo guardava felice e rideva a quel gesto un po’ scherzoso un po’ appassionato che lui faceva allargando le braccia a 180 gradi.
“ Mi ami tanto ? “ “ No tanto, tutto !” rispondeva con la luce dei bianchi denti e dei verdi occhi, aprendo le braccia come per abbracciare il mondo. Il mondo era lui. Là sull’isola spariva anche il ricordo della città con le sue macchine.
La donna felice entrava in acqua, dimenticava le considerazioni dello specchio, la cellulite, la pelle stanca, i segni della mezza età. L’acqua come una coperta di sorriso la ricopriva fino agli occhi e lei guardava, guardava. Come un bambino lui faceva le capriole e i tuffi nell’acqua venendole vicino e rubandole baci e carezze. Aveva imparato a nuotare grazie a lei, dopo molti anni di diffidenza verso il mare, ma aveva poi scoperto la sua vera dimensione acquatica e adesso l’acqua era il suo elemento.
Nel celeste del mare i suoi spruzzi di schiuma sembravano i salti di un delfino.
Tutto attorno a loro era immoto. Al mattino presto quella baia era solitaria, completamente immersa nei suoni della natura. Lo stridìo dei gabbiani, lo sciaquìo dell’acqua sulla riva, ogni tanto un leggero refolo di vento che muoveva le canne sulla linea di sabbia. Alle loro voci rispondeva un’eco leggera, la baia fatta a conca rifletteva alcuni suoni. E il sole era clemente, ancora mite e tiepido a quell’ora di settembre.
Buttiamo via i costumi, fammi sentire la tua pelle. Si avvicinava con gli occhi ridenti. Ecco faceva il gesto, quella carezza lunga dai capelli ai fianchi che significava intimità. Il contatto pelle a pelle dentro l’acqua le dava una vertigine di gioia. La donna felice chiudeva gli occhi per sentire intera quell’emozione, per non distrarsi neanche con la bellezza che beveva con lo sguardo.
Si, entro dentro di te, tu entri dentro di me, siamo aderenti. No, è troppo poco dire aderenti, siamo un’unica pelle. La donna non avverte il confine con cui finisce la sua pelle e inizia quella di lui.
Amore, la parola tante volte pronunciata e spesso abusata e logora, improvvisamente si riempie di acqua, di profumo marino, di pelle calda e morbida , di muscoli intrecciati, di vertigine di gioia.
Poi nuotano insieme allacciati, lui a pancia sotto rema con le braccia, lei aggrappata alla schiena di lui, si fa spazio tra le sue gambe, appoggia il viso sulle sue natiche, stringe le braccia alla sua pancia e poi rema con le gambe. Una strana creatura marina fa schiuma nell’acqua, solca il mare calmo con la sua scìa : sono la donna felice e il suo uomo, nuotano come un unico corpo, non sanno più di essere due.
“Mi ami tanto ?’” “ No tanto, tutto !!”. Quando escono dall’acqua con un pò di brividi di piacere e di freddo, il sole è già alto nel cielo. Lui scuote i suoi capelli neri come ali di corvo. Lui sorride al mondo, al tempo, a lei. Sembra l’eternità.
BLACK OUT
Invece no. Improvvisamente l’uomo è volato via. L’isola scompare.
Quanto tempo è passato ?
Lo scenario della donna felice e del suo uomo nel mare celeste è una pellicola improvvisamente bruciata dentro il proiettore. Adesso il cielo è nero, è morto anche il mare. La morte ha divorato ogni suono, ogni colore. Tutto è buio e silenzio.
LA PICCOLA LUCE CHE TRAPELA DOPO LE ALTE TENEBRE DI BUIO
E’ il titolo di un grande quadro che mi hai lasciato, tra le tue tante care cose. Si vede un grande buio con un uomo nudo che protende le mani verso una fonte di luce e accanto a lui una donna incinta sdraiata con una macchia di capelli rossi e la pancia illuminata. Un quadro profetico, rivelatore. Quando mi soffermo a guardarlo mi commuovo e piango.
Adesso sono qui, su questo scuro pianeta, in questa città rumorosa, piena di folla e di cose, incombenze, pressioni, “le torme delle cure”, direbbe Foscolo. Sono qui perchè ho deciso di vivere. Qualcuno ha riacceso la luce in cima al pozzo in cui ero caduta. Era il vagito di una bambina, erano pianti e carezze dei figli , ero io che mi sono arrampicata piano piano sulle pareti del pozzo.
Adesso sono qui a fare le cotolette, a comprare vestitini poco più grandi della mia mano, a portare i pacchi della spesa, rispondere agli squilli del telefono, andare all’ufficio postale. Sono ancora viva ?
Se mi guardo allo specchio non riconosco la donna felice del mare. Le spalle sono curve, quella altera andatura di una volta non c’è più. I fianchi si sono allargati e gli occhi, soprattutto gli occhi sono diversi. “I tuoi occhi ridono” mi dicevi. Oggi non c’è quella luce, ci sono le occhiaie, le palpebre gonfie, le rughe e il fondo ineliminabile di tristezza che mi accompagna nel presente.
Ma il telefono squilla ! Muoviti, devi venire ! Io devo uscire, dice la giovane mamma, ti lascio la bambina qui a casa, vieni presto. Forse è proprio questo squillo di telefono che mi riscuote dal silenzio che ho dentro, è quella creatura di cui sono nonna che reclama i diritti della vita, che reclama il mio ritorno alla sopravvivenza, al genere umano su questa terra.
DIARIO DI UNA NONNA
Prima di tutto respirare piano. Sono così affannata quando arrivo di corsa che la bambina lo sente. Subito corruccia la fronte e la boccuccia e devo essere brava e veloce a fare un bel respiro, “ darmi una calmata”direbbe mio figlio e poi sorridere. Ma siamo alle solite: la bambina ha le antenne, un sorriso finto è un sorriso finto, non funziona, non comunica quell’emozione che lei si aspetta da me.
Secondo punto: rallentare i ritmi. Se voglio che prenda sonno devo farle capire che non ho fretta, non guardo l’orologio, non sono nervosa.
“Ma sono le undici, non faccio a tempo per l’ufficio postale !” “Anzi è quasi l’una mi chiude il supermercato “”Ah, cavolo, ho dimenticato di chiamare l’idraulico!”: ecco tutti pensieri legati al ritmo della città. Non va, non va, ho capito una cosa in questi mesi : quando entro dalla porta di casa e mi avvolge il profumo di neonata, entro in un’altra dimensione. Una dimensione in cui il tempo è scandito dai sorrisi o dagli strilletti di una creatura che rappresenta il mondo. Perciò lasciamo dietro la porta TIME IS MONEY e abbassiamo i giri. Del resto, se prima non si addormenta, è inutile pensare di farmi un caffè o di fare una telefonata o di andare in bagno. Piange disperatamente se solo la allontano dalle braccia. E quindi bisogna rilassarsi e accoglierla interamente. Devo essere come il mare calmo al mattino.
Lasciare le ansie fuori dalla porta di casa e poi cominciare a muovermi lentamente. Ieri la cullavo con fretta, con imperio e lei stava rigida nelle mie braccia. Altro che rilassarsi, pianto, pianto e pianto. Mi guardava perplessa e sembrava un fumetto “Tu non sei la mia mamma”. E’ vero sono un pallido sostituto della tetta materna. Ho solo la voce, le braccia e un misero biberon. Devo lavorare su di me, è questo il punto: devo essere il mare calmo del mattino.
Oggi ha imparato a fare i suoni gutturali: io le parlo, le spiego che la mamma torna presto, che il latte glielo do con la tettarella di gomma, le chiedo se ha freddo, se ha caldo, se è comoda nella culla per dormire. Ma sono patetica: l’unica cosa che capisce non è la parola ma il suono della mia voce. Si rassicura solo quando abbasso la voce e faccio le cantilene. Ma poi ho scoperto che funziona imitare il suo linguaggio. Così comincio a fare EGGUU oppure EGGLEE EGGLEE, oppure GHE’ GHE’. Incredibile, mi risponde ! Che magìa ! Cominciamo un duetto, sembriamo due colombine.
Adesso piange. La avvolgo nella copertina, forse ha freddo. Le ho dato un intero biberon di latte che ha succhiato avidamente, ma poi continua a piangere. Allora vieni che ti cambio, forse sei sporca e bagnata. Odori indelebili di latte, di carne neonata, di cacca e pipì con mischiato profumo di crema per neonati. Si calma, le piace essere spogliata, agitare le gambette sul fasciatoio, essere toccata, lavata e pulita. La pelle libera dai vestiti le dà una bella sensazione e momentaneamente ha l’aria soddisfatta. Eccola rivestita nella culletta, eccola pronta per il sonno.
Ma niente ! Piange e piange. Faccio ricorso ai miei ricordi di mamma, in fondo certe emozioni non si appannano mai. Chiedo mentalmente aiuto alla mamma che ero, s.o.s., forse non sono brava come nonna. Niente da fare, si fa tutta rossa, bisogna sempre tenerla in braccio. La prendo e la stringo sulla mia spalla. Ecco che avvicina la faccina alla mia guancia. Ecco un miracoloso contatto pelle a pelle ! Ecco, ecco cosa cercava per calmarsi. E’ questo il sostituto della tetta. La stringo al mio volto e finalmente si addormenta guancia a guancia con me.
Ma succede qualcosa. Mentre dorme sulla mia spalla due lacrime mi rigano il volto. Si, la commozione, il ricordo… Quanto tempo è che non ricevo una carezza ?
Quanto tempo è passato dal contatto pelle a pelle così intimo totale profondo che avevo con te. Era un contatto totale, tu dicevi “una fusione”. Sento ancora il tuo odore, direi il tuo aroma, a distanza di anni. E quella carezza totale dalla cima dei capelli alle dita dei piedi, sentivo tutto il tuo corpo, la tua pelle così calda, solida e avvolgente, eri aderente, a volte non distinguevo più la mia pelle dalla tua.
Il contatto pelle a pelle ! L’ho avuto si questo dono. Forse tutti lo riceviamo dalla madre, dal primo seno, dal primo latte. Ma io l’ho avuto moltiplicato da te, ho avuto il paradiso degli umani!
Quel contatto miracoloso che è forse frutto della nostalgìa del ventre materno, quel contatto senza parole che ci fa fondere con un’altra creatura. Forse trasmigra questa sensazione dalla madre all’amore adulto.
E io disperatamente lo cercavo ancora, quando non c’eri già più. Lo cercavo nel buio, nel letto, nella casa, lo pensavo ormai per sempre perduto.
Poi è venuta una creatura, nata da mio figlio, mi ha riportato sensazioni antiche, il ricordo della pelle, della carezza.
L’amore può trasmigrare ancora ? Può trasformarsi in tenerezza che ti scioglie ? Posso ancora sentirlo e darlo questo amore sotto forma di nenìe e carezze ?
Come un’eco che viene da lontano, da un corpo oggi vecchio e stanco ma che è stato amato.
RITORNO AL MARE
Sono scappata via dalla città., dalle sue spire, dai suoi rumori.
Avevo un gran desiderio di mare, di mare, del nostro mare. Ed ora sono qui, davanti alla distesa celeste, di nuovo qui dopo tanto tempo, di nuovo seduta sulla spiaggia a guardare.
E’ incredibile, tutto è come allora. Il mare è fedele a se stesso come sempre, calmo al mattino presto, profumato di vita, accogliente. E’ incredibile, mi sembra di avere abitato qui sempre, sempre. Mi sembra di essere rimasta sempre qui su questa spiaggia con te accanto
Ma tu non ci sei, abbraccio solo l’aria con dentro il tuo ricordo. Ma ora, sai, non c’è più dentro di me quell’urlo nero di dolore che mi straziava. Ora che la vita è rinata nel mio mondo, ora che ho tra le braccia una creatura, mi sembra di sentire dentro altri suoni, una dolcezza nuova. Forse per questo ho avuto ancora voglia di tornare qui sull’isola, dove è più vivo il tuo ricordo, il cui dolore oggi mi è caro.
Sto accarezzando la visione di te come se fossi qui e sto accrezzando la bambina e me stessa e il mare. Mi guardo attorno e la spiaggia è piena di cespugli di violacciocche selvatiche. Una macchia viola grandissima che sorride sulla linea di spiaggia. Mi avvicino attratta dal colore che ti piaceva tanto. Raccolgo un fiore, solo uno per non sciupare la pianta. Immergermi no, non posso ancora, è ancora inverno. Ma ti lancio un fiore, un fiore sull’acqua come per dirti addio. Lo vedo galleggiare lontano, portato dalla corrente.
NELLA GINATEMPO, Roma
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Un bellissimo racconto di una donna durante diverse fasi della propria vita, che seppur costituito da singoli e puntuali episodi, anche molto distanti nel tempo, riesce ad essere fluido e naturalmente consecutivo. Un racconto pieno di gioia di vivere, nonostante il dolore e la profonda tristezza provocati dal lutto della persona amata. In questa storia vengono raccontati e trasmessi in modo estremamente efficace l’amore nelle sue varie forme, l’importanza dell’amare e dell’essere amati.
Ho letto con partecipazione e tenerezza. Complimnti Nella!
Brava Nella, hai costruito un racconto dove galleggiano e puoi toccare le emozioni che di solito stanno nascoste sui fondali.
Bel racconto…mi ha fatto pensare a quante cose evolvono nelle fasi di vita ma a quanto rimane sempre forte il bisogno di sentire l’emozione intensa di una carezza. Ogni giorno tante emozioni le riviviamo nitide solo nei ricordi. Complimenti!