Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Lo scolapasta rosso e l’immagine di sé” di Fiorella Malchiodi Albedi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Lo scolapasta rosso di dimensioni eccessive, che entra sempre con difficoltà negli armadi della cucina, mi ricorda che tendiamo a essere troppo indulgenti verso noi stessi, e che nel guardarci nel nostro specchio interiore dovremmo essere più obiettivi. Ad esempio, se mi chiedessero se penso di essere generosa, direi di sì, che sono generosa, come tutti. Mentirei: in realtà penso di essere parecchio generosa, comunque più della media, ma questo ovviamente è una cosa che non si dice. E in fondo, non è neanche tanto vera, come lo scolapasta rosso, con la sua rotonda invadenza, non smette di dimostrare. Ma questi oggetti di plastica non si rompono mai? Avrà ormai più di trent’anni, per quanto tempo ancora dovrà ricordarmi il mio peccato? Certo un peccato veniale, ma quanto mi disturba ripensarci!

L’ho comprato a Parigi, in un mercatino, durante un soggiorno di studio. Perché l’abbia cercato di quelle dimensioni veramente insolite, del tutto irragionevoli anche considerando le ristrettezze del mio alloggio, è un mistero che non si chiarirà mai. Alla fine di quel periodo, mentre preparavo i bagagli per tornarmene a Roma, una mia amica, che invece doveva rimanere ancora per qualche mese, lo notò sul tavolo, difficile non notarlo, in attesa del suo turno di impacchettamento. Mi disse:

– Non è che potresti lasciarmelo? Mi farebbe proprio comodo.

– Ma certo, – avrei dovuto dirle – anzi, mi fai un favore, è così ingombrante, e con tutte le cose che devo riportare indietro…

E invece, senza neanche un attimo di esitazione, le ho risposto:

– Guarda, mi dispiace, ma non posso: ne ho proprio bisogno a Roma.

“Ne ho proprio bisogno a Roma”… e per fare cosa? Per cucinare due chili di pasta per volta? Programmavo cene per trenta persone? E neanche quando poi ho davvero dovuto faticare per infilarlo nella valigia ho avuto un ripensamento. Tranquilla, io e il mio inutile scolapasta extralarge. E così l’oggetto è arrivato a casa, e poi mi ha seguito nei vari traslochi, indistruttibile, a perpetua memoria del fatto che poi, d’istinto, così generosa non è proprio che sia.

 

Essere generosi a volte è impegnativo, ed uno dovrebbe averlo ben chiaro in mente, prima di imbarcarsi in imprese di cui non è all’altezza.

Diana era un’amica conosciuta in Caritas. Non raccontava molto della sua vita, ma sapevamo che aveva avuto diverse disavventure, compreso un periodo in carcere. Lavorava in una frutteria gestita da una specie di aguzzino, che le imponeva un orario impossibile, dalle 6 del mattino alle 9 di sera, e l’unico giorno libero veniva a cucinare alla mensa della Caritas. Era di una vitalità e un’allegria inesauribili, sopravvissute chissà come a tutte le sue peripezie. Arrivava con le sue mise di maglina sintetica, aderenti e scollatissime, e si metteva a preparare succulenti ragù per gli ospiti, con la suora che le stava dietro passo passo, controllando che non usasse troppo condimento, o che eccedesse con il parmigiano sulla pasta. Lei diceva

– Solo quello che ce vo’, sorè, – e come quella si girava, rovesciava l’intera formaggera sugli spaghetti. Il giorno in cui cucinava Diana c’era sempre una coda più lunga, a ponte Casilino.

A un certo punto ci annunciò che con i soldi messi da parte sarebbe riuscita a dare l’anticipo per una casa. Era entusiasta, avrebbe cominciato subito a cercarla, ma dai suoi non voleva proprio rimanere, qualcuno di noi poteva ospitarla, nel frattempo? Io subito mi offrii. Che problema c’era?

– Sarà per un periodo brevissimo. – disse lei.

– Resta quanto vuoi, – rispose la donna generosa, cioè io.

E così cominciò la nostra convivenza. Era veramente un tipo singolare, con modi di fare così diretti da rasentare la sgarberia, e un romanesco crudo, che ti buttava in faccia con ostentazione, e pareva volesse dire: “Siccome non parli in dialetto, pensi d’essere migliore di me?”

Erano buffe le reazioni dei miei amici di fronte a quel personaggio così insolito, che non lesinava sfottò a quel gruppo di laureati con il posto fisso, che avevano avuto una vita tanto più facile della sua. Ma nonostante le asperità del carattere, e i comportamenti sfrontati, risultò simpatica a tutti, per via dell’allegria contagiosa e dell’umorismo amaro. E’ rimasta storica una sua frase, di commento ad una delle lamentazioni di un mio amico, che si lagnava non so più se dei colleghi, o del lavoro.

– A’ Marco, – gli aveva detto con il suo accento colorito – ma c’hai la salute, c’hai ‘na casa, ch’hai ‘n lavoro, ch’hai pure ‘na donna: ma quanto vòi sta’ bbene?

Tutti tacemmo: la saggezza di quella domanda e la consapevolezza di quanto spesso ci dimenticassimo di essere dei privilegiati ci aveva raggelato.

 

La ricerca e l’acquisto della casa, naturalmente, impiegarono molto più tempo del previsto e cominciai a rimpiangere di aver dimostrato tanta disponibilità, perché la coabitazione cominciava a pesarmi. Mi immedesimavo in Henry Miller in Paradiso perduto, ma il precedente letterario non mi era di grande consolazione. Avevo sopravvalutato la mia generosità, giudicandola senza limiti, che invece esistevano, e si stavano rapidamente raggiungendo. Alla fine la casa fu comprata, ma c’era da arredarla, e certo lei di soldi, dopo la grossa spesa, non ne aveva. E così mi offrii di prestarle la somma necessaria per gli acquisti indispensabili, e di farle da garante presso una fiduciaria che le permettesse di prendere a rate il resto del mobilio. Ma era generosità o desiderio di riprendermi la mia solitudine? La risposta era abbastanza ovvia. Così alla fine traslocò, ma nemmeno questo mi affrancò dalla dipendenza da lei: non pagava le rate dei mobili, e neanche mi avvertiva, così quando alla fine ricevevo i solleciti, erano gravati dagli interessi per la mora. La cosa mi mandava in bestia.

– Almeno avvisami se non paghi la rata!

Ma non c’erano proteste, per quanto animose, che le facessero cambiare atteggiamento. Si giustificava dicendo che ogni volta era sicura di farcela, e invece, all’ultimo, i soldi se ne erano andati per qualche spesa urgente, e sempre presa da problemi di ogni tipo si era dimenticata di avvertirmi.

Ben presto fui talmente esasperata, che decisi di saldare il resto del debito con la finanziaria, tanto comunque avrei finito per pagarle tutte io, le rate, almeno avrei evitato le spese di mora e l’arrabbiatura a scadenza mensile!

Alla fine fui molto dura con lei, le dissi che aveva dato fondo a tutta la mia pazienza, che si era approfittata di me, e altre spiacevolezze del genere. Non ci siamo più sentite per anni. Poi qualche tempo fa mi ha richiamato. E’ stata una grande gioia. Entrambe avevamo ormai cancellato il ricordo dei torti o delle cattiverie che ci eravamo inflitte reciprocamente. Io ricordavo l’amica con cui avevo condiviso tante serate allegre e alla quale darò eterna riconoscenza per aver salvato il mio ficus benjamin, tuttora in ottima salute, e lei l’amica che le aveva dato la possibilità di comprarsi e arredarsi la casa. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata, ci siamo salutate promettendoci di rimanere in contatto, ma nessuna delle due ha più chiamato l’altra. Se della conclusione di un’amicizia si è trattato, però, almeno è finita bene. E quel sottile fastidio di non essere stata all’altezza dello standard di generosità che mi attribuivo si è molto attenuato, anche se non è scomparso del tutto.

 

Ma non c’è niente da fare, la nostra abilità nel taroccare le carte è ormai sperimentata. E anche tutte queste chiacchiere sono proprio la dimostrazione che verso di me, anche in questo caso, ho avuto un occhio di particolare riguardo. Cosa ho tirato fuori, per dimostrare i miei torti, il mancato regalo di uno scolapasta e l’irritazione per un’amica davvero troppo invadente? Sono sciocchezze, alla fin fine, possibile che siano queste tutte le mie colpe? Certo che no; ma i peccati reali, quelli bruciano troppo, e li tengo ben nascosti, agli occhi degli altri, come ai miei.

 

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8 commenti »

  1. Un bel racconto, ironico e leggero nonostante tratti di un tema che tanto leggero potrebbe non essere. Trovare un equilibrio nell’autovalutazione di noi stessi: se da un lato la protagonista si sopravvaluta nella propria capacità di generosità, alla fine pare in realtà sottovalutarsi non essendo riuscita a raggiungere lo standard di generosità assoluta, sinceramente, almeno a mia opinione, non umanamente raggiungibile. È stato un piacere leggere questo racconto. Lo scolapasta rosso non potrò scordarlo mai 🙂

  2. Confermo l’eleganza e la scioltezza della scrittura. Ho letto i tre racconti pubblicati e non saprei dire quale tra questi preferisco. Sono tutti così belli che rasentano la perfezione.

  3. Io al contrario di Renzo invece, credo che in questo racconto succeda qualcosa di molto speciale. E’ un’autoanalisi, un guardarsi dentro, nessuno può sfuggire a sé stesso. Lo scolapasta? Geniale! Infatti facciamo acqua da tutte le parti e non ce ne accorgiamo o non vogliamo accorgercene : ‘ i peccati reali quelli bruciano troppo’ .
    Una cosa potremmo imparare da questo utensile, trattenere solo le cose buone di noi e lasciare andare ciò che non serve.

    Bravissima Fiorella!!!!!

  4. Quanta Verità e quanta onestà in questo racconto! Molto divertente l’ uso dello scolapasta come metafora.Mi è piaciuto anche il sottile velo di amarezza nel finale. Complimenti

  5. Ragazzi, che dirvi, vi ringrazio davvero di cuore. Per inciso, lo scolapasta rosso è vivo e lotta insieme a noi (non me ne libererò mai!)

  6. È un reale, tangibile, frammento di vita.

  7. Ho letto i tuoi tre racconti: sei molto originale e soprattutto riesci a trattare temi molto diversi tra loro in maniera quasi perfetta, sei un camaleonte insomma!
    Complimenti davvero!

  8. Mi è piaciuto. Un racconto lineare e denso di significati. Ti sei analizzata in modo piuttosto profondo e lo scolapasta, stratagemma simpaticissimo e metafora “azzecatissima”, rappresenta il focus di tutto il racconto. In modo circolare lo utilizzi per aprire e chiudere la tua storia. Complimenti, Fiorella.
    Se ti va, passa da me.
    In bocca al lupo, mia cara.

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