Premio Racconti nella Rete 2016 “I cacciatori” di Annamaria Albertini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016I cacciatori, quando rientravano, trovavano già pronte le bacinelle e le vaschette di zinco per pediluvi e lavaggi, dei quali erano davvero desiderosi, dopo il lungo e, spesso, faticoso camminare.
Era la solerte Adelaide che provvedeva a tutto e predisponeva con cura l’occorrente in terrazza, sotto la pergola, d’estate, e in cucina, accanto al focolare, nei mesi più rigidi. E lei rimaneva lì, pronta, con salviette, panni e spugne, a prevenire ogni richiesta. Poi sedeva, poco discosta, perché le piaceva ascoltare le considerazioni e i commenti dei due cacciatori e la divertivano, soprattutto i racconti e le descrizioni di Gaetanino, il più loquace, in quelle circostanze e, specialmente quando era giovanissimo, il più entusiasta.
La donna, a cui non erano noti che i fondaci, l’orto e la cucina, si lasciava andare all’immaginazione di quegli spazi, di quei luoghi nei quali la sua anzianità mai l’avrebbe portata. Si metteva rispettosamente discosta dai fratelli, accovacciata, più che seduta, su di una bassa sediola di paglia e legno, l’ampia veste scura fino a terra e fra le ginocchia il macinino con il quale tritava il caffè, compiendo gesti misurati e lenti.
Sulla fornacella già bollivano acqua e fondi nella cuccuma di smalto blu. Talvolta sopraggiungeva Maria di Trusulina, l’altra dei “famigli”, in bilico sulla testa le tavole con pagnottelle, focacce, taralli; la fragranza del pane si mescolava all’aroma del caffè. Adelaide non si scomponeva all’arrivo della ragazza; temeva di interrompere le chiacchere di Michele e di Gaetano, dei quali era ascoltatrice interessata. Essi lo sapevano, fingevano di non curarsi della sua presenza e insistevano sui particolari, spesso anche frutto di fantasia, che l’avrebbero fatta uscire dal silenzio, per chiedere: “Davvero? Dici davvero, Gaetanino? Il cielo era proprio nero di quaglie?” “Sì, è vero! Se te lo dico io!”, rispondeva il ragazzo. Difatti, da quando Michele le aveva detto che la caccia non doveva interessare le donne, si era sempre rifiutata di aprire qualsiasi discorso sull’attività venatoria dei due fratelli, proprio lei che riteneva di poter controllare tutto e tutti.
Completati i lavaggi e sorbito lentamente il caffè, le cure più attente di Michele erano per il fucile, che puliva e oliava scrupolosamente, con una meticolosità e una precisione particolari. Lo smontava, liberava ogni pezzo dai residui della polvere da sparo, passava l’olio nei punti che potevano essere intaccati dalla ruggine e lo rimetteva al posto, accanto al suo letto.
Quando rientravano, dovevano attraversare al primo piano una cameretta di passaggio, una specie di salottino dove, di solito, la zia Giuseppina cuciva a macchina. Si sentiva, da basso, il rumore ritmato del pedale di ferro che lei muoveva con uno spostamento del piede destro, misurato e preciso. Si interrompeva all’arrivo dei fratelli. Allora, con la testa piegata appena da un lato, ella si fingeva intenta ad infilare nell’ago una guglia di cotone che ogni tanto inumidiva, passandola fra le labbra, e con il quale doveva cucire i teli di iuta per i sacchi destinati a contenere granaglie. Di sottecchi e senza parlare guardava gli scarponi infangati, i pantaloni di velluto impolverati, il carniere gonfio, un uccellino penzoloni.
La sera, poi, specialmente quando l’afa estiva invogliava ad attardarsi all’aperto, i fratelli e qualche amico, seduti in circolo davanti alla farmacia dello zio Cesare, indugiavano nel racconto delle loro imprese venatorie, soffermandosi compiaciuti su episodi che esaltavano la loro bravura. Piaceva molto anche all’anziano farmacista inserirsi nei loro discorsi e ricordava la giovinezza, la sua abilità come cacciatore, compagno ardimentoso del cugino, Giovanni De Angelis, oppure interveniva con le sue osservazioni, testimonianza di una competenza sulla quale nessuno osava discutere, pur nutrendo in cuor proprio qualche perplessità.
Diceva spesso, dimenticando di aver offerto altre volte lo stesso racconto, che fin da piccolo aveva imparato a distinguere il richiamo delle starne e che, talvolta, nonostante il divieto dei suoi genitori, aveva portato a casa quelle che cacciava con un vecchio archibugio trovato, rovistando in soffitta e appartenuto a qualcuno della famiglia e usato all’epoca delle cospirazioni e delle battaglie per l’indipendenza.
Adulto era diventato espertissimo nella caccia di questi volatili che, una volta fermati dal cane, si levavano in volo, quasi contemporaneamente, e con forte rumore di ali andavano ad acquattarsi sulle sponde dei fossati, ricche di vegetazione, per nascondersi.
L’anziano farmacista, abile e divertente narratore, si lasciava andare volentieri ai ricordi tenendo fra le labbra un mezzo sigaro che mordicchiava e assaporava nelle brevi pause che si concedeva.
Un tipo di caccia che lo aveva appassionato era stato quello ai fringuelli che, all’imbrunire, emettendo il loro particolare verso di richiamo, si rifugiavano sui rami più alti degli alberi, sotto i quali lui e i compagni stavano appostati. Appena cominciavano a sparare, gli uccelletti svolazzavano impauriti, nel tentativo di nascondersi tra i rami più bassi.
Il vecchio cacciatore ricordava e si vantava come, mentre era in attesa di fringuelli, aveva fatto spesso anche buona caccia di gazze e di ghiandaie.
Una volta si accese una accanita discussione fra lui e Michele sulla natura caratteristica della poiana. Uccello utile o dannoso?
Michele, infatti sosteneva, al contrario di altri, che i vantaggi di questo volatile per l’agricoltura erano maggiori dei danni, perché vorace di insetti nocivi e di topi.
I cacciatori rivivevano ogni volta la gradevole sensazione di sentirsi asciugare dall’aria fresca la pelle madida di sudore e il piacere di gustare, all’ombra accogliente degli alberi, raggiunti dopo lunghe marce, le grosse fette di pane fresco intrise degli umori e dell’odore delle frittate alla menta o alle zucchine: un pasto sobrio e sempre uguale, ma assai gradito per i suoi semplici sapori. Mentre gli adulti disponevano a terra vivande e bottiglie, estraendole con mosse accorte dal cesto, Luigino, il fratello minore, quando era con loro, finalmente libero dagli impegni impostigli e che avevano troppo a lungo frenato i suoi impulsi, cominciava a correre fra gli alberi, si abbracciava ai tronchi, si chinava a raccogliere sassi e funghi, poi, all’improvviso, si stendeva per terra, esausto, mentre Fido impazzito per i suoi giochi, correva, gli saltava addosso, gli leccava il viso, abbaiava quando lo vedeva sostare.
Il silenzio, odoroso di terra e di foglie, era rotto dai richiami del ragazzo e dall’abbaiare del cane.
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