Premio Racconti nella Rete 2016 “La vita in quella notte” di Valeria Vergnano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Sole alto, le 23, una forte stanchezza e tanta gente in movimento, le gambe pesanti che avanzano a fatica, dei piatti pieni di cibo, ai miei piedi le ciabatte mentre salgo le scale e mi dirigo al colloquio. La scala mobile arriva al piano dei treni, due valigioni enormi per le vacanze, il mare scuro, la sensazione di aver vissuto 2 settimane senza essermene accorta, i saluti prima del rientro, dei piatti pieni di cibo, la stanchezza, una figura scura che sembra essere armata, il tentativo di scappare in ciabatte, la scrivania del colloquio in un edificio alto e pieno di vetri che si frantumano e uno squillo … Un altro squillo.
Mi sono svegliata di soprassalto, 4.30 del mattino. Nella mente un garbuglio di pensieri, il battito accelerato. Sono corsa alla porta e dallo spioncino l’ho vista, fradicia. Mi sono resa conto di aver chiuso la porta con il gancio interno pensando che fosse già in casa.
Le ho chiesto cosa fosse successo e ho chiuso la porta. Guardandola bene ho visto che non era fradicia, ma il suo volto era rigato dalle lacrime e i suoi capelli schiacciati dall’umidità. Aveva un berretto, credo fosse arrivata correndo.
In casa sembrava incapace di compiere qualsiasi movimento, i suoi muscoli erano tesi, tanto da vibrare, il respiro corto, gli occhi fissi. Io era sconvolta e terrorizzata ma non volevo agitarla ulteriormente. Non ho fatto più domande, le ho tolto la giacca, ho preso una coperta e mi sono seduta con lei sul divano. Iniziava a diventare chiaro. Piano piano sembrava recuperare tranquillità.
Rimaneva però in silenzio e io non sapevo se forzarla o assecondare. Ho iniziato a ipotizzare cosa potesse essere successo ma non sapevo molto di lei. Diversamente da me, conduceva una vita frenetica. I nostri discorsi venivano sempre lasciati a metà la mattina a colazione. Mi rispondeva correndo da una stanza all’altra per poi lanciare nell’aria un “ ciao, buona giornata”.
Un giorno uscendo mi aveva detto: “ Scusa, vado di corsa, devo entrare in ufficio un po’ prima per una riunione importante! Sai, la stagista deve preparare la sala.” Poi aveva aggiunto: “Non hai idea di quanto queste riunioni siano assolutamente inutili, sono solo una gara tra frustrati che cercano di far prevalere il proprio progetto sul quale gli assistenti avranno passato le loro notti. Esco ogni volta con un senso di impotenza e di tristezza”. “La vita va difesa”, le avevo detto. Avrei voluto approfondire il concetto ma non me ne aveva dato il tempo.
Credo si sentisse poco considerata sul lavoro, investiva un sacco di energie e non aveva un ritorno. Non mi aveva mai parlato della sua vita sentimentale ma avevo la sensazione che fosse innamorata di un collega.
Pochi minuti dopo essere uscita rientrò dicendo di aver dimenticato una cosa. Non avevo avuto quasi il tempo di risponderle, ero in camera da letto che mi vestivo. L’ho vista poi dalla finestra, saliva su una moto che la stava aspettando e in mano aveva una busta grande, come quelle in cui si infilano gli esiti di esami ospedalieri.
Per tutta la giornata non l’avevo più vista e, tornata a casa la sera tardi, ero convinta fosse già in camera. Mai avrei pensato di vivere una notte simile.
Volevo prepararle un té ma appena cercavo di allontanarmi lei mi tratteneva. Era terrorizzata ma non parlava, cercava qualcuno che le facesse da scudo, ma da cosa?
Ad un certo punto, nel silenzio dell’alba, abbiamo sentito il rombo di una moto che arrivava a gran velocità, e poi una frenata, proprio sotto casa. Lei si è sollevata di scatto, le ho chiesto cosa la spaventasse così tanto ma non rispondeva e fissava la porta, come se stesse aspettando qualcuno. Non ho avuto il tempo di realizzare e d’un tratto ho sentito che qualcuno stava inserendo la chiave nella serratura. Mi sono buttata verso la porta per inserire il gancio interno che avevo dimenticato di mettere al suo arrivo.
Purtroppo non sono riuscita ad arrivare in tempo e la persona che aveva inserito la chiave era entrata.
Era un uomo alto, vestito di scuro.
Ho fatto un balzo indietro, se aveva le chiavi probabilmente si conoscevano. Per un attimo che mi è sembrato eterno, nessuno parlava, si fissavano.
Dopo qualche istante però, qualcosa si è sbloccato, forse lui aveva superato quella linea che la faceva ancora sentire protetta…
“Vattene, io non voglio, non voglio!”. Lei urlava in continuazione “Non voglio”. E lui ripeteva “Lo farai, lo farai”. Sembravano entrambi un disco rotto. L’aveva ormai presa per i polsi e cercava di trascinarla via. Li osservavo come fossi stata davanti alla tv, impietrita, incapace di ragionare e agire.
Lei si dimenava e cercava di colpirlo. “Lo farai, viva o morta”. In quel momento un silenzio di 5 secondi ha cristallizzato la scena, mi sono sentita svenire. Poi un rumore fortissimo di vetro che si infrange, frammenti dappertutto e sangue … vicino alla testa di lui e tra le gambe di lei.
Ho perso conoscenza, forse per 5 minuti.
Al mio risveglio lei era sdraiata su una barella, la stavano sollevando per portarla di corsa in ambulanza e al primo ospedale. Intanto un poliziotto e un medico cercavano di rianimarmi, io vedevo tanta gente, sangue, e credevo di svenire di nuovo. L’uomo a terra già non c’era più.
Avevano portato anche me in ospedale; ero frastornata e facevo fatica a rispondere alla lunga serie di domande che mi facevano. Intanto avevo realizzato quante cose non sapessi di lei … di certo non avrei mai potuto immaginare che fosse incinta. Sono state ore terribili, nessuno mi dava notizie e io credevo di impazzire. Anche l’uomo che avevo visto a terra rischiava la vita.
Non ricordavo molto di quella notte, un serie sconnessa di scene, facevo fatica a ricostruire la sequenza di ciò che era avvenuto.
Ancora adesso, dopo dieci anni, cerco di ricordare quei momenti, eppure non ci riesco …
– Mamma, sei stata così coraggiosa!
– Avrei potuto ucciderlo.
– Non sai più nulla di lui?
– Si è ripreso quasi subito, la ferita era superficiale … L’ho incontrato più volte in tribunale, ma dopo la morte di Simona è sparito e non ho più avuto sue notizie.
– Chi è Simona?
– La ragazza che ho salvato quella notte.
– Ma se l’hai salvata perché dici che è morta?
– Perché la vita a volte gioca sporco. La gravidanza è stata per lei molto dura e al momento del parto si è verificata una nuova emorragia. I medici sono riusciti a salvare il bambino ma per lei non c’è stato nulla da fare.
E’ stato terribile, mi sono sentita nuovamente responsabile, della sua morte e di quella nuova vita … la vita va difesa.
– Non mi hai mai parlato di lui, l’hai conosciuto? Sai dov’è adesso? Se sta bene o se si sente solo?
– … ti senti solo Simone?
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Sei stata brava a dire ” quel tanto che basta ” per far capire al lettore il finale, senza aggiungere altro. Bello il richiamo alla frase ” la vita va difesa ” che è, poi, il ” succo ” del tuo racconto. Il racconto spasmodico di ” quella notte ” , cosi’ ben descritto, alza la carica emotiva per bloccarla, lasciandola sospesa nel finale inaspettato.
Grazi mille per il commento. Da quello che scrivi mi sembra di aver ottenuto l’effetto desiderato! Sono contenta e anche un po’ sorpresa visto che scrivo per la prima volta.
Scusa Valeria: mi spieghi il significato dell’inizio? “Sole alto, le 23…”, non lo capisco proprio. Non è una polemica, sia ben chiaro, volevo mi aiutassi a capire un racconto che non ho compreso. Sono rimasto di stucco, non so che dire. Ti chiedo scusa per questo.
Anch’io trovo molto bella la frase “la vita va difesa “: è un messaggio forte.
Ottima la narrazione della notte che crea suspense e lentamente “scende di intensità “, per condurre ad un finale per nulla scontato!
Tutto il racconto è costruito bene ma l’acme della storia è forse un po’ troppo confuso e non si capisce bene cosa succeda…
Il finale è molto bello, il dialogo con il bambino, che poi si scopre essere il bambino nato da Simona, è il colpo di scena ed è collocato nel punto giusto.
Cerco di essere critica ma in fondo sono solo una delle tante lettrici e il mio parere è solo personale.
A parte quel piccolo appunto la trovo comunque una bella storia!
Orsola
Bello e scritto bene. Mi è piaciuto molto il finale a sorpresa! Complimenti.
Grazie peri vostr commenti. La parte iniziale è un sogno/ incubo, ammetto che, per come ho sviluppato il racconto (che ha preso molte strade prima di arrivare al testo che avete letto) avrei potuto eliminarlo… non è utile al racconto. È la prima volta che scrivo, quindi devo prendere un po’ le misure! Posso chiedere a Costantino di chiarire il “sono rimasto d stucco”? Lo dici rispetto all’introduzione o all’intero racconto?
Rispetto a quanto dice Orsola, è stata una scelta quella di non raccontare molto… Il tentativo era quello di lasciare nel dubbio ma anche di non scendere in dettagli visto che si tratta di un dialogo con un bambino. Tuttavia , se al lettore risulta confuso, forse ho esagerato nel ridurre al minimo le spiegazioni. Grazie a tutti per il contributo!
Si, mi riferivo all’introduzione. Non capivo se si trattasse di una persona che vive al polo nord d’estate, se fosse un sogno, se stesse guardando la luce di una sala operatoria che le sembrava un sole nonostante fossero le 23. Hai detto che è un sogno e quindi ok, ora ho capito meglio. Grazie.