Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Lontano da casa” di Adam Melanenko

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Oggi era il primo giorno nella nuova scuola in questo paese dal cielo sempre coperto, che mi getta addosso continuamente una pioggia fredda.

Sono arrivato in ritardo e bagnato fradicio. Non sapevo dove andare, ho incontrato una donna, che stava asciugando l’atrio con uno straccio. L’ho fissata per un po’, sperando che mi aiutasse. Mi parlava in questa lingua stonata che non comprendo e il pensiero che ancora lungo tempo dovrò udire la gente balbettare senza capire mi ha fatto traboccare di rabbia.

Mi hanno accompagnato al di là di una porta, dove era la mia classe. Una classe? Con le pareti colorate, i cartelloni appesi sui muri, un enorme lampadario, che buttava la luce su strani tavoli, staccati dalle sedie? Non è così un’aula di scuola: deve essere seria, senza distrazioni, con i muri bianchi e vuoti, grosse finestre, scaffali riempiti di libri, lavagne nere… un posto dove lavorare. Come dice la mia maestra, nel mio paese, anche se fuori cominciano a bombardare, i nostri occhi non devono mai lasciare la lavagna.

Mi hanno fatto sedere a quel banco e a quella sedia, a cui sono stato assegnato e dove vivrò per tutte queste buie mattine, finché non potrò ritornare a casa mia.

L’insegnante ha fatto un discorso, il cui senso doveva essere più o meno questo: c’è un alunno nuovo, non parla la lingua, siate comprensivi nei suoi confronti. Hanno cominciato a farmi domande in inglese, per essere gentili e coinvolgermi nella lezione. Ho pensato: “Fico, ora dirò qualcosa”. Appena ho provato ad aprire bocca, si è bloccato tutto dentro, nella lingua. Se avessi detto anche una sola parola, sarei scoppiato a piangere. Serrare le labbra era l’unico modo di trattenere le lacrime e non fare questa brutta figura, mostrando agli altri quanto ero debole in quel momento.

Quando hanno visto che non parlavo, dopo un po’ per fortuna si sono dimenticati di me. Sentivo dei ragazzi dietro le mie spalle che ridevano. Di che cosa ridevano? Magari proprio di me, di questo straniero sbarcato nella loro terra e incapace di legare due frasi nella lingua per loro così elementare.

Quando è suonata la campana, ho capito che era ricreazione, perché tutti correvano fuori, fuggendo dalla classe e lasciandomi solo con il mio panino. Non mi andava di mangiare, non so perché, quindi l’ho rimesso dentro. Mi sono appoggiato con la testa sulle braccia incrociate sul banco gelato e ho finalmente fatto uscire tutte le lacrime che erano rimaste imprigionate prima. Avevo il terrore che sarebbero state assai di più, un vero diluvio. In realtà mi bagnavano appena gli occhi, ma avevano un sapore diverso da tutte le lacrime della mia vita: erano amare e per ogni goccia che scendeva mi sembrava di perdere per sempre una parte dell’anima.

Non mi ricordo il resto della giornata: sono entrati e usciti dalla classe molti insegnanti, che hanno cercato di interagire con me per un po’ e poi hanno rinunciato. Suppongo che abbiano fatto varie materie, forse storia, sicuramente matematica, ma per me non cambiava niente: non capivo, nessuna materia.

Sono arrivato a casa, ho pranzato, mia madre mi ha chiesto com’era andata e ho detto che tutto era andato a meraviglia, anche se non era vero.

Non mi andava di discutere proprio con lei, che ha scelto questo posto per me, non il primo giorno. Avevo voglia di stare da solo e di dormire, andare in letargo per un lungo periodo e risvegliarmi sul mio letto morbido, tiepido, che conosce le forme del mio corpo anche meglio di me.

Penso che almeno una volta nella vita abbiate compiuto un viaggio, un viaggio lontano dalla vostra terra, dalla vostra casa, lasciando alle spalle tutto ciò che vi circonda, tutto ciò che ormai è diventato una parte di voi: dall’altalena sulla collina al di là del fiume alla riva del mare fino dove tramonta il sole, dalle calde spiagge alle gelide montagne, dalle persone familiari alla gente sconosciuta, ma comunque sempre vicina. Vi siete mai chiesti come sarebbe la vita senza queste piccole cose che messe insieme costituiscono la vostra identità? Quando sei lontano dalla tua patria, ogni cosa, anche la più scontata, ti può spaventare: dalla lingua ignota ai taglienti sguardi circostanti, dall’aria estranea al clima differente. Tuttavia, se viaggi per un breve tempo, dentro di te sai perfettamente che questo incubo non durerà in eterno, che questo è solo un periodo di esplorazione. Il pensiero di poter tornare, che sarà sempre con te, dovunque tu vada, anche nei momenti più brutti, a volte ti aiuta a continuare ad andare avanti. Ma se un giorno dovessi restare qui, in questo mondo sconosciuto, cosa sentiresti? Quando l’ignoto resta ignoto? Credo che è proprio questa la domanda che si pongono le persone che fuggono dal proprio paese per motivi non dipendenti dalla propria volontà.  Vorrei lasciare a voi la risposta: sareste mai disposti ad abbandonare così tanto di voi stessi?

 

Loading

2 commenti »

  1. Inizio dalla fine e rispondo alla tua domanda, caro Adam: ” certo che no!…lo farei solo se ne fossi costretta “…e mi vengono i brividi al solo pensiero. Bravo, e’ un bellissimo, commovente, racconto che, purtroppo, per molti è vita reale e la ” vita reale ” di cui tu parli potrebbe essere quella di tutti noi. Un racconto molto ” toccante” aggiungerei, quindi. [ p.s. proprio perché mi piace moltissimo il tuo racconto e non certo per fare la maestrina, ti segnalo un congiuntivo che ti è sfuggito di mano ( “…Penso che almeno una volta nella vita avete..”) e che credo tu possa correggere inviando una semplice mail agli autori del concorso,come menzionato nel regolamento]. In bocca al lupo Adam!

  2. La ringrazio di cuore per il suo commento. Avevo pensato di mettere l’indicativo per riprodurre il linguaggio comune, come in un dialogo tra amici, in questo caso un dialogo col lettore, ma terrò senz’altro conto del suo consiglio. Grazie ancora della sua attenzione.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.