Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “La Casa nel Bosco” di Stefania Unida

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Dal vetro del finestrino di quel vecchio autobus osservavo le improvvise crepe di luce che si facevano spazio nel greve manto di nubi. La luce del sole scolorava il verde familiare di quella compatta distesa di alberi che odoravano di polvere come fiori secchi. Tra pini e betulle immersi in quel tetro silenzio, mi resi conto che la mia casa era ancora lontana e tremai. Mi strinsi nel mio cappotto nero e continuai ad osservare sconsolata il cigolante autobus che lento continuava il suo viaggio. Poi mi guardai intorno. Contai velocemente quei pochi che, come me, si erano affidati ai mezzi pubblici per tornare a casa. Tre file avanti stava seduto un uomo di mezza età ed un’anziana signora alla mia sinistra osservava il paesaggio dal finestrino. Dietro l’autista un ragazzo che poteva avere la mia età, leggeva un libro.
Mi soffermai sullo sguardo dell’uomo: non mi piaceva per niente. Poteva avere sessant’anni, ma non ne ero sicura. Era vestito impeccabilmente, troppo elegante per trovarsi su un autobus in aperta campagna. Il suo viso era colmo di rughe e i suoi occhi profondi erano come due piccoli punti neri in quel pallido viso così enormemente segnato dal tempo. Mi strinsi di più nella giacca e continuai ad osservarlo con la coda dell’occhio.
Era tardi, i miei occhi quasi cedevano alla stanchezza della sera, quando ad un tratto l’automezzo si fermò in una radura.

– Signori, dovete scendere – disse l’autista.
– Abbiamo un problema. Devo riportare l’autobus alla rimessa. Un collega arriverà tra circa due ore. –

Le nostre proteste non servirono a nulla. L’autista fece scendere tutti. Non c’era neanche una panchina dove sedersi. E così mi ritrovai lì, al vento, lontana da casa e da chiunque conoscessi, in quella radura poco lontana da un paesino desolato di cui non ricordavo il nome, neanche lontanamente simile ad una grande città. Strinsi di più il cellulare in mano e guardai lo schermo. Sfortunamente la batteria aveva consumato la sua carica completamente. “Maledizione!” pensai. “Dannata tecnologia!” Ero sola.
Diedi un’altra furtiva occhiata agli altri passeggeri. D’istinto mi avvicinai al ragazzo.
– Ciao! Che sventura! Starai qui ad aspettare? – chiesi.
– Penso che tornerò all’autorimessa insieme all’autista – rispose lui, sollevando leggermente le spalle.
– Capisco. Io credo che aspetterò qui. Magari cercherò una taverna nei dintorni dove chiedere informazioni. E comunque scusa! Non mi sono neanche presentata! Mi chiamo Kate, piacere di conoscerti! –
– Ciao Kate, io sono Mathias. – disse lui, tendendo la mano destra timidamente verso di me. La stretta di mano, un po’ titubante, lasciò spazio ad un sorriso.
– Mi sa proprio che aspetterò con te, se non ti dispiace – proseguì lui.
– Ah perfetto! – dissi io.
Mathias sembrava un ragazzo gentile.
Aveva una folta chioma di capelli neri, crespi, fitti e corti. Il suo viso era rotondo con regolari lineamenti, gli occhi erano neri, grandi, con ciglia lunghe. Il suo naso piccolo e un pochino all’insù rendeva il suo viso un po’ buffo. La bocca e le orecchie erano piccole e sarà stato poco più alto di me. Era di corporatura snella e agile, quasi rassicurante. Indossava una camicia a quadri larghi rossi e neri leggermente aperta sotto da cui si intravedeva una maglia grigia; i pantaloni erano stretti, neri di velluto rigato. Portava degli anfibi neri, alla moda. Mi chiedevo quanti anni potesse avere: non doveva essere molto più grande di me. Comunque poco importava: avevo trovato un compagno di sventura. Non ero più sola, se non altro…
Ci incamminammo lungo una strada sterrata che portava al villaggio. L’uomo sui sessanta era davanti a noi: s’affrettava con passi lunghi quasi come fosse seguito da qualcosa.
– Signore scusi! – gridò Mathias. – Può darci delle indicazioni? Stiamo cercando una taverna. –
L’uomo si girò a guardarci con fare minaccioso e disse: – Ci sto andando, se volete potete seguirmi. Io vivo non lontano da qui – e mentre rispose aveva uno strano ghigno sul viso. In quel momento non pioveva ed i pochi lampioni stradali fendevano un po’ l’oscurità che lentamente iniziava a gravare sulla vicina collina. Ero un po’ spaventata, devo ammetterlo.
Sentivo ora su di me lo sguardo di quell’uomo che stava fermo ad attendere un nostro cenno. Solo dopo poco mi resi conto che l’anziana donna, di cui mi ero quasi scordata, aveva anche lei cominciato ad arrancare per quella stradina deserta. Non si era vista nemmeno una macchina da quando l’autobus ci aveva scaricati lì, in quella radura in mezzo al niente. Quell’uomo non mi ispirava proprio alcuna fiducia. Non mi ci volle molto tempo per prendere una decisione. Chiesi a Mathias di fermarci un secondo prima di procedere con l’uomo.
– Mathias, perché non chiediamo alla signora dove si sta recando? –
Lui mi guardò un attimo e poi mi disse: – Okay, chiedere non costa nulla! –
Con passo deciso, mi avvicinai all’anziana che avanzava piano, curva sotto il peso dell’età. I suoi capelli erano grigi e così perfettamente pettinati. Aveva con sé una grossa borsa che trascinava a stento. Pensai potessi offrirle il mio aiuto per chiederle delle informazioni. Lei, forse, abitava lì vicino. La donna notò che le andavo incontro, mi rivolse uno sguardo benevolo e mi sorrise.
– Signora, scusi, posso aiutarla? – chiesi con dolcezza. Intanto Mathias stava fermo lì più avanti dove lo avevo lasciato. L’uomo sbuffando urlò: – Se volete potete raggiungermi alla taverna quando vi pare. Al prossimo incrocio girate a sinistra e proseguite fino all’insegna: Fox and flowerpot. Vi saluto – e si mise in cammino. Registrai quell’informazione e mi voltai verso l’anziana donna.
– Oh, non preoccuparti cara. Non è pesante come sembra. Che tipo quello! –
La sua voce era un po’ tremante.
– La prego signora, insisto – e tesi la mano. Lei invece della borsa, mi prese il braccio senza fare pressione e sorridendo mi disse: – Se non ti dispiace, mi accompagneresti a casa? Preferirei un po’ di sostegno lungo questa breve camminata. La mia casa non è distante e se mi concedi questo piccolo aiuto, ricambierò la tua gentilezza offrendoti del cibo. –
Io la guardai imbarazzata. Lei continuò: – Preferisci qualcosa da bere? – Io continuavo a guardarla. – Oh scusa, non avevo visto che c’è anche un tuo amico. Bè anche lui è invitato. –
Okay, mi ero imbattuta nella classica nonna delle favole per bambini.
Mathias stava fermo ad osservare cosa accadeva tra me e la signora.
Poi le sorrisi.
– Mi accontenterei di qualche informazione se non le dispiace. Per caso avrebbe un elenco dei servizi vicini? Un numero radio taxi ad esempio? –
Intanto le ombre sul terreno si erano allungate tremendamente.
– Certo cara, a casa dovrei avere le informazioni che cerchi su qualche quaderno. –

Si incamminò e io la seguii, poi si aggiunse anche Mathias. Stavamo tutti in silenzio. La sua andatura non era di quelle spedite, anzi. Il suo passo da lumaca cominciò a logorare i nervi di Mathias che si abbandonò a qualche cenno di sdegno. A destra e a sinistra di quella desolata stradina gli alberi si facevano sempre più fitti. Poi un fulmine squarciò il cielo, e poi un altro e un altro ancora: iniziarono a susseguirsi gli uni agli altri con maggiore frequenza. Quel poco di cielo che riuscivo a vedere fra gli alberi era sempre di più illuminato a giorno. Anche i tuoni erano più frequenti e mi chiedevo quanto fosse lontana la casa della donna. Mi ricordai dello sconosciuto che avevamo lasciato vicino alla fermata. Poi sentii dei passi lenti, non troppo lontani da me. Istintivamente mi voltai. Un brivido pervase il mio corpo: quell’uomo era lì!

Ero sicura che quell’uomo stava sorridendo mentre avanzava piano su quella strada deserta, come se ci seguisse a distanza. Rimasi in silenzio, terrorizzata. Non dissi nulla all’anziana donna, ma approfittando del suo passo lento, diedi un colpetto sulla spalla di Mathias per attirare la sua attenzione. Lui si voltò di scatto ed io gli feci un cenno come per guardare alle sue spalle. Quando Mathias notò l’uomo sobbalzò per un istante sgranando gli occhi.
– Casa mia è ora veramente vicina. Per fortuna siamo quasi arrivati. Sta per piovere, avete visto? – disse la donna.
Tutto il tragitto fino a lì mi aveva innervosito e non so se quella fosse una mia impressione o la vecchia lo facesse di proposito, ma mi parve che il suo passo stesse rallentando ulteriormente mentre quel losco individuo guadagnava terreno. Cercai di convincermi che erano solo paure, che avevo frainteso e che magari quell’uomo era innocuo. Eppure non riuscivo a smettere di pensare a quello strano ghigno nel suo viso.
Il vento continuava a sibilare ed i tuoni erano sempre più vicini. La camminata proseguiva lenta in uno spettrale silenzio, come una processione oscura al di là dell’alone di luce dei pochi lampioni. Ad un tratto i passi cadenzati dell’uomo interruppero il silenzio. Erano più vicini, sempre più vicini. Non osai voltarmi. I battiti del mio cuore erano come i tamburi di una danza sciamanica: veloci, regolari, profondi. Ogni muscolo del mio corpo era teso e stringevo forte il braccio della signora.
Il fragore di un tuono illuminò le fronde e poi non udii più nulla se non il rumore delle prime gocce di pioggia cadere lente sulle foglie secche e sui rami spogli. A quel punto mi voltai e… nessuno. Non c’era più nessuno! Quella desolata strada sterrata che avevo percorso colma di paura, adesso era vuota. Dov’era finito l’uomo? Mi guardai intorno e notai che non c’erano strade o diramazioni che intersecassero quella su cui stavamo camminando lente, eppure quell’uomo era sparito. Mathias non si era più voltato e pareva terrorizzato e stranito.
Poi l’anziana donna ci chiamò:
– Eccoci ragazzi siamo arrivati. –
Io mi guardai intorno. Non riuscivo a distinguere bene la casa. Inizialmente vedevo solo un’ombra più scura in quel cielo nero, poi un altro fulmine la illuminò e riuscii a distinguerla. Era bella, abbastanza grande, con un muro di cinta basso, un cancelletto di mattoni, un bel giardino, il tetto era in laminato. La porta si trovava sul lato sinistro e c’era una finestra sulla destra.
Avvicinandomi, gli ulteriori lampi di luce mi permisero di osservare meglio. Mi resi conto che la casa forse un tempo elegante, era ormai parzialmente diroccata: il tempo aveva infatti fatto un lavoro impietoso su quelle mura.
Mi sorpresi quando la donna semplicemente abbassò la maniglia per entrare.
– Signora, tiene sempre la porta di casa aperta? – chiesi.
L’anziana signora scosse le spalle in una risata.
– Oh cara, sapessi! Non c’è proprio nulla in questa vecchia casa da rubare e poi tutti mi conoscono qui. – disse la donna, guardandomi con difficoltà, quasi con stranezza, come se lo facesse attraverso una cortina di nebbia. Poi non disse nulla. Si limitò a osservarmi per alcuni interminabili istanti.
Quando aprì la porta e fece un passo io e Mathias la seguimmo un po’ perplessi. La casa era avvolta nella completa oscurità. Un odore di umido e muffa mi avvolse. La temperatura non era molto più calda di quella esterna, anzi era fredda, non mi tolsi neppure la giacca. Almeno non sarei stata sotto la pioggia, sempre che non ci fossero crepe nel tetto!
L’anziana accese una luce ed io potei vedere meglio la casa. A destra e a sinistra c’erano delle stanze: tre in tutto. La seguimmo in un corridoio, osservando i suoi lunghi capelli bianchi che le scendevano sulla schiena. Poi la donna avanzò di qualche passo in direzione della contigua cucina. Aprì un armadio sgangherato, tirò lentamente fuori un coltello e un piatto con alcuni sottili biscotti al malto. Afferrò un contenitore di marmellata e lo aprì. Ci invitò a sederci sulle due uniche sedie che parevano lì apposta per noi e nel mentre cominciò a mordere un biscotto che gocciolava marmellata.
– Signora, vive sola? – chiesi senza pensarci. Mathias stava in silenzio.
– Si, mia cara. Mio marito è morto 8 anni orsono. –
– Scusi, tanto signora credevo che…- La signora mi interruppe.
– Non ti scusare! – disse lei e mi porse un piatto colmo di biscotti.
Io allungai la mano destra ed afferrai uno di quei biscotti. In effetti mi era venuta un po’ di fame. Poi la donna posò il piatto sul tavolo e sorridendo fece un cenno con la mano a Mathias. Lui afferrò un biscotto e lo immerse nel vicino barattolo di marmellata. Mentre assoporavo quel biscotto zuccheroso, mi guardai furtivamente intorno e non notai alcuna foto. “Strano” pensai. “La signora non sembra avere molto parenti!”. Non mi ci soffermai troppo.
Mathias pareva impaziente. – Signora, scusi, avrebbe per caso un elenco telefonico? – chiese.
La vecchia fissava il pavimento con occhio stanco. Poi si alzò e disse: – Che sbadata! Ecco cosa dovevo fare! Ora cercherò tra questi scaffali. – ed indicò un vecchio mobile polveroso.
Mentre si muoveva lentamente, un tuono fortissimo scosse la casa talmente forte che sobbalzammo tutti. Una forte scintilla illuminò la stanza e poi il buio: un corto circuito disattivò la corrente. Mathias si alzò in piedi di scatto. Io sobbalzai sulla sedia, allungai la mano e toccai la pelle ruvida dell’anziana per un attimo. Poi mi alzai, provai a fare un passo ed inciampai.
I miei occhi intanto cominciavano ad abituarsi all’oscurità e riuscivo lentamente a vedere un insieme di varie ombre. Riuscivo a vedere Mathias che stava ancora in piedi. Fortunatamente fuori vi era un po’ di luminosità.
– Mathias! Le finestre! Dobbiamo aprire le finestre! –
Mathias inciampando riuscì a raggiungere una finestra, scostò la pesante tenda scura che la copriva e disse: – Kate, c’è qualcuno fuori! –
Mi avvicinai scorgendomi e vidi le folte fronde degli alberi scossi dalla tempesta. Riuscivo ad intravedere in lontananza i lampioni da cui la luce proveniva, ma non vidi nient’altro. Entrambi stavamo lì alla finestra osservando attentamente il movimento delle fronde degli alberi. Poi io mi voltai. La donna era sparita. Non c’era più, almeno non si trovava più in quella stanza.
– Mathias! Dov’è la signora? –
Mathias si voltò verso di me ed incredulo si guardò attorno. Con la poca luce che entrava nella stanza, si diresse verso una polverosa credenza ed iniziò a cercare ovunque. – Ci saranno delle candele in questa casa! –
“Bella idea” pensai e mi misi a cercare ovunque anche io. Nel cassetto del tavolo trovai un vecchio pacchetto di fiammiferi e quattro candele bianche.
– Che fortuna! – sorrisi a Mathias mostrando quel piccolo tesoro. Accesi le candele trovate e ne posizionai due sul tavolo e due sulla credenza.
Il temporale intanto non accennava a calmarsi. Nel cielo crepato dai fulmini scorsi la sagoma di una casa. La donna, quindi, aveva dei vicini.
Presi una delle candele sul tavolo e ne porsi una a Mathias.
– Dobbiamo cercare la signora! –
Ci dirigemmo nel corridoio. Ad un tratto netti cigolii richiamarono la mia attenzione. Provenivano dal piano di sopra. Durarono qualche attimo e poi si esaurirono. Rimasi immobile fissando Mathias.
– Credevo non ci fosse nessuno in casa! – dissi.
– Lo credevo anche io. – bisbigliò Mathias.
Entrambi eravamo pallidi in viso.
– Vieni – disse Mathias. Si fece strada nel salottino e passammo davanti alle scale. Entrambi ci affacciammo al piano superiore, ma di esso non si intravedeva nulla. La mia attenzione ritornò al salotto e poi al corridoio. L’arredamento era vecchio e ammuffito: vi era una credenza di vetro praticamente vuota, due poltrone sdrucite, un tavolino basso ed un vecchio divano. Decidemmo di salire al piano superiore e ci facemmo strada con le nostre candele. I cigolii si facevano sempre più vicini mentre lentamente salivamo gradino per gradino quella rampa di scale. Entrambi stringevamo il corrimano con forza. Giunti al primo piano notammo due stanze: una a destra e una sinistra. Entrambe le porte erano chiuse. Mathias indicà la stanza alla sua destra. Io mi avvicinai piano. Giunti alla porta, ci guardammo intorno. Mathias diede un colpo deciso all’uscio, guardando l’interno scuro con non poca apprensione. La porta cigolò sui suoi cardini. Non vi era nulla all’interno, a parte un arredamento ancora più decadente. Mi voltai per uscire dalla stanza e davanti a me in quell’angusto spazio notai una sagoma grossolana. Non sembrava la sagoma dell’anziana signora. Sollevai verso il mio viso la candela per mettere a fuoco meglio: NO! Non poteva essere lui. Mi avvicinai. E anche la sagoma si avvicinò. Era lui, lo stesso uomo che avevamo visto nella radura, lo stesso uomo che ci aveva detto di andare alla taverna, lo stesso uomo che aveva uno strano ghigno sul viso. Era lì davanti a me. Mathias era dietro di me. Mi voltai, gli diedi un colpo sulla sua spalla destra, indicando quel losco individuo. Mathias impietrito, si parò al mio fianco e restò fermo con la candela in mano.
– Signore, cosa ci fa in questa casa? – urlò Mathias.
L’uomo stette in silenzio e fece un passo in avanti.
– Perchè si trova qui? Abita per caso nella casa qui di fronte? – chiesi io insistendo.
L’uomo non rispose e fece un altro passo in avanti. Era ormai chiaro che quell’individuo non doveva avere delle buone intenzioni. Pensai che doveva aver fatto del male all’anziana e che sicuramente io e Mathias eravamo le sue prossime vittime. Afferrai Mathias per la camicia ed entrambi indietreggiammo. Chiusi di scatto la porta della stanza. Non c’era alcuna chiave. – L’armardio! – Mathias cominciò a tirare verso la porta un pesante armadio di legno.
Io nel mentre cercavo di tenere fermamente la maniglia. Riuscimmo a far avanzare l’armadio fino alla porta. Ci sedemmo sul pavimento stremati e sicuri che quell’uomo non sarebbe potuto più entrare da lì.
Io avevo un grosso mal di testa, le mie gambe erano pesanti come blocchi di granito. Anche Mathias sembrava distrutto. Restammo in silenzio. L’oscurità era fitta. Nessun suono. Sentivo un senso di disagio, come se dentro di me si fosse accesa una spia rossa di allarme. Qualcosa non quadrava. L’uomo era forse sparito?
Ripresi la candela in mano che ormai si era ridotta ad un sottile cumulo di cera. Notai che vi era una porta a destra della finestra. Pensai fosse un armadio a muro. Mathias si alzò per constatare cosa fosse quella porta e lentamente la aprì. Gelò quando aprendo si trovò davanti la vecchia e l’uomo che sorridevano. Entrambi avevano lo stesso ghigno beffardo.
Il terrore si era impadronito di me. Non riuscivo a pensare. La mia testa iniziò a pulsare, mi sforzavo di pensare ma sentivo il cuore esplodermi nel petto, le orecchie fischiavano, le mie mani iniziarono a tremare. Mi avevano forse drogata? Poi mi si annebbiò la vista. “I biscotti” pensai. Lentamente sollevai la testa come fosse un macigno. Vidi Mathias accasciato al suolo e quei due, con lo stesso sorriso compiaciuto fermi di fronte a me. Ora aspettavano. Aspettavano che anche io perdessi conoscenza.

Dopo non so quanto tempo fui svegliata da alcuni rumori. Aprii gli occhi. Cercai di mettere a fuoco in quella semi totale oscurità. Ero nuda, provai a muovere le gambe e le mani, ma ero legata con dei grossi lacci neri. La stanza era iluminata dalla luce di alcune candele sparse in vari punti, ma non riuscivo a distinguere dove mi trovassi. Certamente non ero nella stessa stanza dove persi conoscenza. Il puzzo peggiore che avessi mai sentito riempiva l’aria: era l’odore di carne in putrefazione che sembrava giungere da ogni direzione.
Lentamente mossi la testa per guardarmi intorno. Notai il cadavere di un cane appeso ad un grosso gancio da macellaio. Lo stomaco dell’animale era aperto in due e dallo squarcio pendevano brandelli di carne misti a una sostanza viscida che pareva miele.
Accanto a me vidi la sagoma dell’anziana donna col torso nudo ingobbita che agitava su un comodino tarlato un piatto contenente una brodaglia unta e rossastra dall’odore orribile. Le sue spalle erano ossute e raggrinzite, i seni erano cadenti e i fianchi erano troppo larghi per quell’esile corpo. Accanto a quel piatto vi era un’ampolla colma di un denso liquido rosso molto scuro che pareva essere sangue.
– Ci siamo svegliate, finalmente! – mi disse. Non sembrava più la nonnina delle favole; i suoi occhi avevano ora una nuova luce, diabolica. Mi illuminò il volto con la lunga candela nera che teneva in mano e mi afferrò il mento con forza. Notai che la pelle del suo volto somigliava alla corteccia di un vecchio albero. Non riuscii a risponderle ma lei prese il mio brontolio come un cenno di assenso. Non avevo mai percepito sulla terra una tale malvagità. Appresi ben presto ciò che stava per accadere, ma non avevo le forze per reagire.

– Ora devi mangiare piccola. Devi rimetterti in forze. Non vorrai fare la fine del tuo amichetto? – La vecchia mi cacciò un cucchiaio di quell’intruglio in bocca. Mi voltai in direzione opposta facendo resistenza e vidi Mathias, o meglio vidi il suo cadavere a terra in una pozza di sangue. Quasi vomitai nel vedere il profondo squarcio nel suo esile collo. Quella mi afferrò la testa con forza insospettabile e mi costrinse a finire tutto il piatto. Svenni di nuovo.
La vecchia tornò diverse volte da me per nutrirmi con quel disgustoso intingolo, cacciandomelo in bocca senza alcun ritegno e mormorando alcune parole incomprensibili.
Trascorse un po’ di tempo, ma non saprei dire quanto esattamente. D’un tratto vidi emergere dall’oscurità le sagome di due uomini, che senza dire una parola mi afferrarono per le gambe e per le mani e mi trasportarono di peso fuori da quella stanza e, attraverso un corridoio, giù lungo delle scale di legno marcio, i cui gradini scricchiolavano sinistramente ad ogni passo. Non era la casa della vecchia. Forse mi trovavo nella casa vicina che intravidi dalla finestra della cucina tempo prima. Uno dei due prese una lampada situata in un sostegno nel muro mentre continuava a tenermi con l’altra mano stringendomi i polsi con forza. Essendo illuminato dalla lampada, riuscii a riconoscere i lineamenti del viso dell’uomo: stentavo a crederci, eppure avrei giurato fosse l’autista dell’autobus. “Come poteva essere lui?”
Pur sforzandomi, il dolore alle gambe e alle braccia era troppo forte e non potei far altro che abbandonarmi a quella macabra e lenta processione.

La vecchia ci seguiva, teneva nella mano sinistra quell’ampolla colma di sangue. Poi aprì una porta, ma non ci fermammo nel pianerottolo. L’aria umida e nera che usciva da quell’ambiente mi fece rabbrividire, ma la debolezza che pervadeva il mio corpo non mi permise di reagire in alcun modo.
La vecchia fece strada lungo un’altra scala più ripida. La temperatura era bassa ed uno strano odore di foglie marce e terra umida mi pervadeva le narici.
Scendemmo lentamente per diversi interminabili minuti lungo quella scala irregolare fin quando davanti a me scorsi un fioco bagliore. La scala terminava in un ambiente che sembrava molto ampio, ma non saprei dire con certezza le dimensioni reali. Lì stava radunata una folla di uomini e donne in abiti eleganti. Quando varcammo la soglia contai i presenti: erano dodici in tutto, e tutti si girarono nella nostra direzione. I due uomini mi trasportarono in una zona absidale dove le pareti erano state decorate con pitture di figure informi e simboli terrificanti.
Lì al centro, di un fronte ad un grosso tavolato di legno che doveva avere la funzione di altare, si ergeva un uomo dall’aspetto inquietante e parato come un blasfemo sacerdote infernale. Indossava una lunga tunica nera con un vistoso cappuccio, che copriva completamente il volto. Poi fece un gesto con la mano. Al suo fianco l’anziana donna reggeva l’ampolla e mi fissava. I due uomini adagiarono con cura il mio corpo sopra quel massiccio tavolato. L’altare era illuminato solo dalla luce di due candele: alla sinistra vi era una candela nera, mentre sulla destra una candela bianca illuminava una possente statua di marmo triplice composta da tre figure di donna: una giovane, una più adulta e infine una vecchia.
Il sacerdote si rivolse prima al suo pubblico ed iniziò a recitare una sorta di litania che veniva ripetuta in coro dai presenti.

Hail Proserpine
Hail Proserpine
Hail Mania
Hail Mania
Hail Hecate
Hail Hecate (…)

Mentre quella macabra litania proseguiva ritmicamente, l’uomo si girò verso di me, prese l’ampolla dalla mano della vecchia e versò lentamente il denso liquido nel mio addome. Era ancora caldo e mentre lentamente colava verso il basso e tra le mie gambe, le mie narici furono pervase da un forte odore ferroso. Poi la fioca luce della candela illuminò il volto dell’uomo e fu allora che riconobbi quei profondi occhi neri: era di nuovo lui. Mi si gelò il sangue: quel losco individuo era il sacerdote infernale! Con la poca forza che avevo in corpo, ruotai gli occhi e vidi che teneva in mano un coltello dalla lama ricurva. Lo passò sul mio viso sorridendo malignamente e poi scese verso l’addome. Nel mentre continuava a recitare la litania insieme al suo pubblico.

Hail Pan
Hail Pan
Hail Lilith
Hail Lilith
Hail Naamah
Hail Naamah
Hail Sabazios
Hail Sabazios (…)

Stava compiendo un rito. Stava compiendo un sacrificio ed io ero la vittima.
Poi afferrò quel lungo coltello con entrambe le mani, sollevò le braccia sopra di me mirando al ventre e con forza condusse la lama.
Sentii il metallo affondare nelle mie tenere carni. Sentii un dolore netto, lancinante che mi trafisse il corpo e un fiotto di sangue caldo e viscoso sul mio addome. I suoi occhi mi guardarono con un misto di compiacimento e odio. Sentii il ritmo del mio respiro cambiare e divenire più profondo e doloroso. Cercavo di trattenere l’aria, mentre la vista si annebbiava e il cuore comiciava a battere più lentamente. E mentre perdevo i sensi mi abbandonai in quell’altare di legno che ormai era divenuto il mio caldo letto di morte.

E di colpo un profondo respiro. Aprii gli occhi, incredula, terrorizzata, stordita. Il mio cuore correva all’impazzata, le mie mani erano sudate. Mi guardai intorno: sorrisi nel constatare che mi trovavo sullo stesso lento cigolante autobus e che presto sarei giunta a casa. Stentavo a credere che era un incubo, un incubo di morte da cui mi sentivo “risorta”.

Mentre rimettevo insieme i miei pensieri, guardavo dal finestrino osservando le fronde dei pini e delle betulle muoversi al vento. L’autobus rallentò piano, poi d’improvviso si fermò.

– Signori, dovete scendere – disse l’autista.
“Sto ancora sognando?”
– Abbiamo un problema. Devo riportare l’autobus alla rimessa. Un collega arriverà tra circa due ore. –
“No stavolta non sto sognando.”

La vecchia donna alla mia sinistra si voltò e mi sorrise. Dal finestrino scorsi la stessa radura, deserta, tetra, poco lontana da un paesino desolato. In un attimo mi ricordai il nome di quel paesino: Clapham Wood, e un tuono fortissimo squarciò il cielo.

Fine

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27 commenti »

  1. Un meta-racconto ricorsivo. La trama non è male. Anche qui avrei lavorato per sottrazione: troppe descrizioni, troppi aggettivi, troppi avverbi che finiscono in “ente”. Troppo lungo. Bella la descrizione dei personaggi. Bella l’ambientazione.

  2. Grazie mille per aver letto il mio lungo racconto.

  3. Ben descritti i personaggi e l’ambientazione. La narrazione crea suspense, e molto bene il finale.

  4. Grazie mille Arian 🙂

  5. Questo meta-racconto immaginario ruota intorno ad una vicenda accaduta a Clapham Wood, nel Sud Est inglese nel 1981, quando una ragazza venne trovata morta, strangolata e mutilata nei boschi vicini al villaggio. In un libro del 1987 The Demonic Connection, gli autori affermarono che i boschi di Clapham Wood erano stati utilizzati per dei macabri rituali da una setta satanica che si autodefiniva “Gli amici di Ecate”. Non fu mai dimostrato nulla e il caso non venne mai risolto… Questo e` il mio fantasioso omaggio a uno dei boschi piu inquietanti di una parte dell’Inghilterra oscura, troppo poco conosciuta… Grazie ancora

  6. Ciao Stefania. Devo dire che concordo abbastanza con Costantino, c’è un po’ troppo forse. Avresti potuto raccontare la stessa storia con la metà dei caratteri e il risultato probabilmente sarebbe stato, non dico migliore, ma di certo più godibile. La lettura risulta un po’ appesantita dalle aggettivazioni e dalle descrizioni sin troppo particolareggiate. La storia è ben congegnata e l’atmosfera ben resa, suggestiva l’ambientazione. Se hai un po’ di tempo dai un’occhiata alle 40 regole per scrivere di Umberto Eco (le trovi anche sul web), in particolare le numero 13, 24 e 39… (un bel terno sulla ruota di Clapham Wood).

  7. Ciao Luigi, grazie per il tuo consiglio. Le regole le conosco molto bene, e credo sia uno dei pezzi più antipatici che si possano trovare su internet a proposito della scrittura. Io poi non sono una scrittrice professionista, scrivo per diletto e fin da quando ero bambina, scrivo per me stessa. Questo e` il primo scritto che partecipa ad un concorso.
    Per me la scrittura e` terapia e credo fermamente che le uniche regole di scrittura accettabili sono quelle che riguardano ortografia e grammatica di base. Per il resto dovrebbe essere arte in libertà.
    La creatività è riuscire ad andare oltre.
    Mi chiedo: come si può creare, inventare qualcosa di nuovo, attenendosi rigidamente alle direttive di qualcun altro?E per altro a proposito della saggia regola n. 13.”Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).” mi spiegheresti dove sono stata ridondante? Grazie mille.

  8. Un racconto avvincente e sapientemente angoscioso, sia nell’ambientazione che nella descrizione dei personaggi che, soprattutto, nel pathos della trama.
    In altri termini: viene voglia di leggerlo di getto per conoscerne la fine. Me lo sono gustato.

  9. Antonio, ti ringrazio di cuore per il tuo commento.

  10. Stefania,

    ti commentano a mitragliatrice.

    L’altrui interesse è, di norma, sinonimo di qualità :-).

    Non posso che confermare: il racconto mi è piaciuto. Parecchio.

    La palpabile atmosfera macabra, fumosa e vivida, è perfetto teatro di una trama incalzante, che si dipana sapientemente tra le sterpaglie di una foresta che sembra prendere vita, inghiottendo i protagonisti nella sua più profonda gola, la casa nel bosco.

    Ottimo finale aperto ed allucinante.

    La lista di Eco?

    Ferme le regole grammaticali, gli stili etichettabili e ciclostilati non mi attraggono.

    Per indole, prediligo il pensiero di un illustre sconosciuto delle parti di Genova, che qualcosa di decente mi pare abbia partorito: per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione.

    SEMPRE in direzione ostinata e contraria, Stefania; esattamente come stai facendo.

    Grandissima personalità!

    Continua così :-).

  11. Lorenzo Garzanelli, ti ringrazio tanto per il tuo commento. Non ti nascondo che le tue parole mi hanno dato una scossa, mi hanno fatto tremare le mani, come spesso accade quando sorrido e voglio scrivere. E stanotte quando scrivero`, perche` lo faro`, pensero` alle tue parole. Grazie ancora, davvero.

  12. Ciao Stefania anche io come tanti ho il mio genere preferito,o meglio credevo di averne uno, prima di leggere tanti racconti.Se avessi il tempo li leggerei davvero tutti e sono contenta di aver avuto un attimo per il tuo perchè mi è piaciuto tanto!In bocca al lupo <3

  13. Grazie mille! ????

  14. Scusa Noemi quei punti di domanda dovevano essere un’emoticon… la tecnologia!! 🙂

  15. Tranquilla avevo capito 🙂 ancora complimenti.

  16. Stefania,

    sono io che ti ringrazio, anzi che sono lusingato, per la sensibilità della tua risposta.

    Spero tu abbia passato una sognante, proficua notte si scrittura e sorrisi.

  17. Ah, avevo ragione..condividiamo le stesse sensazioni! Innanzitutto avevo già letto il racconto senza sapere fosse il tuo! La storia mi piace moltissimo, come tutto ciò che è mistero, perché la vita è mistero, è una strada nel bosco.Streghe e streghine, messe nere, fatti ‘realmente’ (ahah come è paradossale questo ‘realmente’!) accaduti..col viziaccio che ho di pensare sempre a qualcosa di altro ,leggendo questo bellissimo ‘incubo’ mi vien da pensare a ‘Eyes Wide shut’.cosa è vero ,cosa non lo è …’La vita è un sogno’.(Calderon de la Barca)…e siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni! (Eterno Shakespeare).

  18. Bel racconto. Mi son piaciute molto l’anbientazione e la descrizione dei personaggi. Brava!

  19. Volevo scrivere “ambientazione”, ovviamente! 😉

  20. Stefania ! (Anch’io, come vedi, ricambio il punto esclamativo). Questo racconto mi sembra un diesel. Parte lento, quasi sonnacchioso, poi aumenta di giri e di intensità, la curiosità sale e non lo molli fino all’ultima riga. Mi è piaciuto. Lo vedrei anche come sceneggiatura, ottima, per un film horror

  21. Ragazzi vi ringrazio enormemente per i vostri commenti e vi dico qui che mi piacerebbe davvero tanto se ci tenessimo in contatto per consigli e quant`altro. E lo dico davvero! Cliccate sul mio nome, venitemi a trovare sul sito e scrivetemi! L`aspetto piu bello di questo concorso e` conoscere altri scrittori cosi capaci ed entusiasmanti come voi. Detto cio`, considerando il fatto che ora non mi scordero` piu i vostri nomi (e i vostri racconti), per me questa e` la vera vittoria.

  22. Riguardo lo stile, concordo con quanto ti hanno scritto Costantino e Luigi.
    Non è una questione di regole e imposizioni stilistiche, che anche io non sopporto, ma solo un discorso di consigli di cui tener conto, come nel caso delle “regole” di Umberto Eco. Poi, seguirli o no sta al giudizio di chi scrive, alla sua abilità di lettore e alla sua capacità di autocritica.
    Per come la vedo io, nel tuo racconto in effetti ci sono elementi che appesantiscono la narrazione e quindi ne limitano le potenzialità: costruzioni che trovo eccessivamente cariche di aggettivi e avverbi, formule ridondanti e abuso di punti esclamativi nei dialoghi.
    Ma il racconto è avvincente, pieno di situazioni e avvenimenti che ti spingono avanti a leggere per vedere come va a finire. In questo sono d’accordo con Antonio. Nel finale ho trovato delle atmosfere lovecraftiane: il luogo teatro di un oscuro misfatto che “parla” a chi passa di lì, o almeno a quegli animi sensibili che riescono, anche loro malgrado, a percepirne il terrore. E la cosa mi è piaciuta, perché amo questo genere di horror.
    Io credo che questo racconto dimostri che hai tanta voglia di scrivere, tante cose da dire, una grande capacità creativa e belle idee, come quella di ispirarti a un fatto di cronaca. Però devi affinare la tecnica. Che poi, chi di noi non deve farlo? Spesso è più facile essere critici coi racconti degli altri e meno con i nostri.

  23. Ciao Maurizio, terrò presente il consiglio sugli avverbi. Grazie per essere passato a leggere il racconto. Non essendo una scrittrice professionista per me è già tanto sapere che la storia vi è piaciuta. Per quanto riguarda la voglia di scrivere, si hai ragione: è sempre stata tanta e ho scritto sempre e solo per la comunità SM. Credo che questa sarà l’ultima volta che partecipo a un concorso letterario infatti. Cmq grazie ancora. Buona giornata

  24. Che incubo! Ma il tuo racconto nell’insieme è ‘tremendamente’ fantastico. Avvincente davvero, brava!!!
    Sono d’accordo con te Stefania, sul fatto di mantenere i contatti tra di noi. Che magnifica esperienza!!!

  25. Grazie mille Barbara 🙂
    Passa a trovarmi sul sito che è fondamentalmente dedicato alla Sclerosi Multipla, ma troverai anche altri brevi racconti miei. Un abbraccio

  26. Perché Stefania, ho letto un racconto tipicamente horror ( la vecchietta, il temporale, l’ambientazione macabra, il sacrificio umano ) e non mi sento minimamente spaventata?
    La tua protagonista affronta situazioni terribili con una calma e una freddezza invidiabili… Perché non è terrorizzata, angosciata, smarrita ( e di conseguenza noi con lei )?
    Hai tolto ” l’effetto spavento” ad un racconto di paura, ne hai sminuito la natura… Quello che mi aspetto da un racconto horror è che come minimo mi faccia dare una sbirciatina nell’armadio prima di andare a letto, così, per sicurezza, non si sa mai… Ma stasera andrò a letto tranquilla, al limite un po’ perplessa… Peccato, perché la storia era interessante, sono i particolari che forse mi hanno un po’ delusa, e non so se questo sia dovuto al fatto che ti sei “volutamente frenata” o che non volevi infierire troppo sull’ignaro lettore.
    Tenersi in contatto? Sarebbe veramente un arricchimento personale non indifferente!
    In bocca al lupo per tutto!

  27. Ciao Patrizia,
    Questo tuo commento mi lascia molto spiazzata a dire il vero e non saprei che dirti.
    Grazie per essere passata a leggere il racconto.

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