Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “E la storia continua…” di Cesare Ferrari

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

…aveva trovato il  titolo per il suo primo romanzo.

«Questo notebook è in offerta. E’ una scheggia, piccolo, maneggevole e praticamente nuovo.  Purtroppo però, questo gioiellino è rimasto in vetrina alimentato con la presa di corrente per molto tempo. In questi casi la batteria si deteriora e questo è il motivo dello sconto che ho previsto».

«Guardi, a me la batteria interessa relativamente…».

«Allora! In questo caso! Le ha notate le caratteristiche tecniche?» chiese soddisfatto il venditore convinto di avere agganciato il cliente giusto.

Certo che le aveva notate! Dopo quasi trentotto anni di informatica era stata la prima cosa che aveva consultato prima di interessarsi all’acquisto.

«Qual è il suo prezzo?»

«Beh, via, facciamo duecentotrenta Euro. Le va bene?»

«Se me lo lascia a duecento glielo porto via».

Il commerciante valutò la situazione. Quel computer gli sarebbe rimasto in magazzino. Allora allargò le mani in un gesto di finta resa.

«Va bene, ma guardi che ha fatto un affare!». L’esercente ritirò il computer nella sua scatola, controllò che fossero presenti tutti i componenti compresi nell’acquisto. Si avviò verso la cassa.

Il pensionato sembrava soddisfatto dell’acquisto. La batteria? Arrivato a casa avrebbe inserito il cavo di alimentazione nella presa della camera da letto, proprio di fianco alla sua poltrona preferita e non l’avrebbe più disinserito. Con questo accorgimento il suo strumento creativo sarebbe rimasto in perenne stato di allerta. Chi scrive deve in ogni momento poter accalappiare l’ispirazione, il pensiero, l’emozione che compare nella sua giusta forma. Il suo quaderno elettronico avrebbe vegliato giorno e notte, perché le muse non dormono.

Avviò la sua piccola utilitaria, impaziente di utilizzare il suo nuovo contenitore di pensieri. Pioveva. Mise in funzione l’unico tergi vetro anteriore. L’auto tossì. Aveva la frizione che slittava, in simbiosi con il conto economico del proprietario. Un rivolo d’acqua, risparmiato dalla corsa traballante della spazzola, disegnò un arco sul vetro anteriore mentre transitava davanti alla sua scuola elementare.

Non si era laureato. Non aveva avuto la costanza di affrontare i disordini, gli scioperi, le continue sospensioni delle lezioni che il 68 aveva prodotto. Tuttavia era riuscito a farsi assumere poco dopo aver abbandonato l’università. Assunto a tempo indeterminato. Non esisteva precariato per i neodiplomati di allora!

Svoltò verso la periferia e si trovò davanti al palazzo della sua ex azienda.

Era stato assegnato subito al reparto di informatica: programmatore di computer che avevano le dimensioni di un campo da tennis. All’inizio aveva faticato a capire che il “dare” contabile era come l’”avere” della vita e viceversa, ma poi gli si era accesa la lampadina. Aveva iniziato a danzare sul piano dei conti aziendale come un ballerino, dando libero sfogo alla sua creatività. Aveva costruito una procedura talmente precisa e sofisticata che nemmeno gli utenti erano riusciti ad utilizzarne tutte le potenzialità. Poi era arrivato il genio di Bill Gates… Dai pc alle reti locali, a internet, ai social network. Nuovi orizzonti della comunicazione, dicevano. Connessione di esuberanti solitudini in sofferenza, era la sua opinione. Il cambiamento era stato veloce e non gli aveva dato modo di accostarsi alle nuove tecnologie. O meglio, aveva chiesto di essere trasferito nel gruppo che seguiva la nuova informatica, ma il direttore gli aveva dato una gran manata sulla spalla, dicendo che era così bravo ed esperto nello svolgimento delle sue attività, ancora lungi dall’essere dismesse, che non avrebbe potuto essere sostituito. Così era iniziata la parabola discendente del suo mondo informatico e dei suoi programmi. Un giorno il direttore l’aveva convocato e gli aveva annunciato con un sorriso sornione che il suo sistema contabile sarebbe stato sostituito da un prodotto creato per una rete di pc. Data la sua esperienza, il suo nuovo compito sarebbe stato quello di fare da interfaccia tra gli utilizzatori aziendali e i consulenti della società che avevano installato il pacchetto applicativo. Da quel momento questo aveva fatto. Lo aveva fatto talmente bene che, quando il capufficio della contabilità era andato in pensione, tutti immaginavano che sarebbe diventato lui il nuovo capo. Ma non era stato così, il figlio del responsabile acquisti gli aveva bucato la bolla di sapone che racchiudeva il suo sogno.

Una donna abbassò l’ombrello per evitare gli schizzi prodotti dalla sua auto, mentre superava il palazzo abitato da sua moglie prima di sposarsi.

«Bravo merlo!» aveva commentato risentita sua moglie, riferendosi alla sua mancata promozione. Ma lui aveva voluto togliere l’amara ironia e interpretare in senso letterale la sua frase. Un bravo merlo doveva seguire la missione che la natura gli aveva affidato e cioè provvedere a un nido e al cibo per i propri figli. E, ancora una volta, questo aveva fatto, senza risparmiarsi!

Aveva amato sua moglie, nonostante lei avesse riempito la sua vita di “vorrei capire!”, “mi devi spiegare!”, “potresti almeno immaginare!”. Per quale motivo le donne cercavano in ogni modo di sminuzzare la natura monoblocco degli uomini in tante briciole, alla ricerca di un’approssimata somiglianza con le loro variegate emotività?

Quando i medici dell’ospedale l’avevano chiamato per dirgli che per sua moglie non c’era più nulla da fare, aveva pianto a lungo, in silenzio, nascosto da un pilastro del corridoio. Poi si era fatto coraggio. Aveva forzato un’ombra di sorriso sul volto, era entrato nella stanza dove giaceva la sua compagna. Si era chinato su di lei e le aveva sfiorato le labbra. Gli era uscito solo un soffio di voce nel dirle: «Ti amo, nel significato più profondo che un uomo possa attribuire a questo verbo». Si era aspettato che sua moglie gli avesse risposto: «Per quale ragione non me lo hai mai detto prima?». Invece lei si era sforzata di sorridere e gli aveva replicato: «Ti amo anch’io, nei significati più profondi che una donna possa manifestare con questo verbo». Allora aveva compreso. Chi non aveva capito era lui! L’unica cosa che sua moglie gli rimproverava era la sua parsimonia nell’esternare le emozioni.

Viaggiava verso la periferia, alla volta del quartiere in cui abitava. Il bofonchiare ritmico del tergi vetro accompagnava i suoi pensieri.

Avevano educato e istruito i loro due figli; in questo sua moglie, doveva riconoscerlo, aveva avuto un ruolo primario. Erano cresciuti onesti e aperti alla vita. Si erano laureati, ma erano stati costretti a cercare all’estero un lavoro dignitoso. Erano arrivati i nipotini. Ma quando poteva vederli? Due tre volte all’anno. E pensare che tutti sostenevano che i figli fossero un investimento! Ma lui, evidentemente, aveva acquistato titoli riscuotibili solo all’estero.

Alcuni giorni prima il suo direttore gli aveva comunicato secco, secco che doveva decidere se scegliere il prepensionamento o la mobilità. Aveva scelto il prepensionamento. Meglio soli che male accompagnati. Aveva dato trentasette anni della sua vita a quell’azienda, fatto “squadra” come gli era stato più volte richiesto. Poteva la squadra con cui aveva giocato restituirgli almeno un “grazie” o contava solo il numero 37 che aveva sulla maglia, per consentire all’arbitro di alzare il cartellino rosso dell’espulsione?

Ormai era convinto. La vita, per ogni individuo che nasce, apre due conti che gestisce in partita doppia: uno in “dare” e uno in “avere”. Il loro significato è quello del parlar comune e non della contabilità. Quando la capo contabile con la falce verifica i conti è necessario che i saldi si pareggino. Le eccedenze vanno a vantaggio o a svantaggio di qualcun altro. È questo che crea le ingiustizie nel mondo. Era anche persuaso che il suo saldo fosse fortemente sbilanciato a favore del “dare”. Di conseguenza d’ora in avanti avrebbe pensato solo al suo “avere”: scrivere romanzi! Una passione che non aveva potuto coltivare perché il suo conto uscite gli aveva succhiato ogni momento del suo tempo libero. Quel computer sarebbe stato il mezzo per pareggiare lo sbilancio.

La pioggia era cessata ed il tergi cristallo esprimeva in rantoli ritmici tutta la sua fatica. Un sole sbieco occhieggiava tra le nuvole. Il pensionato parcheggiò l’auto davanti al condominio dove abitava. Aprì il portone e s’introdusse nell’ascensore.

La casa lo avvolse negli odori della famiglia. Erano rimasti solo loro a fargli compagnia. Era anche l’ora di cena, ma non aveva fame. Mise sul fuoco un po’ d’acqua per farsi una camomilla. Si sentiva agitato. Forse l’emozione. Tolse il suo pc domestico dall’imballaggio. Inserì la spina nella presa vicino alla poltrona e appoggiò sulla stessa il computer. Spinse con delicatezza il tasto di accensione. Lo schermo si animò. Partì l’installazione automatica del sistema operativo e dei prodotti previsti. Il disco fisso ronzava sommessamente mentre l’anziano consumava la sua bevanda.

Si accomodò sulla poltrona preferita e collocò il piccolo portatile sulle ginocchia. L’installazione era terminata. Avviò il programma di videoscrittura e iniziò a editare il suo primo libro. Si sentiva eccitato, ma stanco nello stesso tempo. Un certa nebbiolina uggiosa gli circondava i pensieri. Decise che fosse meglio riposarsi un poco, prima di continuare. Posò il computer sul pavimento e si allungò sulla poltrona.

Subito si addormentò o meglio gli parve di dormire.

Lo trovarono così i pompieri che irruppero nell’appartamento. Un medico ne constatò il decesso. L’ufficiale sanitario sollevò dal pavimento il piccolo notebook.

Lesse la pagina. Titolava: “E la storia continua…”.

Proseguì a scorrere le righe successive.

Alcune statistiche evidenziano una curiosa attinenza tra decessi relativi ad individui di sesso maschile e la maturazione del pensionamento da parte dei soggetti in questione. Ma io ho una storia da raccontare e sono sicuro che questo non sarà il mio caso…”.

Il medico che, dai commenti dei vicini, si era fatto un’idea del vissuto di quell’uomo ciondolò la testa e borbottò come se parlasse solo a se stesso: «La morte è una resa fisiologica, non esistenziale. I sogni migrano ad altri. La storia di questo narratore mancato resterà assopita, finché un giorno uno scrittore ignoto la risveglierà».

Poi, non sapendo come fare per spegnere quella meraviglia tecnologica, strappò con mal celato disappunto il cavo dalla presa di corrente. Il personal visualizzò il segnale di batteria scarica e, dopo qualche secondo, si spense con un sommesso pfoff, un cenno garbato per avvisare che aveva definitivamente chiuso il conto “avere” del suo proprietario.

 

 

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2 commenti »

  1. Racconto emozionante e coinvolgente, Cesare. Mi piace la definizione del PC “contenitore di pensieri”, in assoluta armonia con lo svolgersi del racconto.

  2. Molto bello e vero. Complimenti Cesare!

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