Premio Racconti nella Rete 2016 “Sirene” di Marisa Cappelletti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Il vento, come ogni anno, portava in regalo promesse di inizio d’estate all’Isola verde ed ancora gialla di ginestre, mentre il mare, con i suoi segreti, attendeva le emozioni di chi sarebbe arrivato fin lì.
Sofia stava alla finestra, in attesa. Una sensazione strana, come se qualche cosa, qualche cosa d’importante dovesse accadere, le si agitava dentro, rendendola inquieta.
In quel giorno di una stagione appena nata Andrea si svegliò all’alba, impaziente a causa dell’imminente imbarco per l’Isola, su cui avrebbe trascorso le sue vacanze da tredicenne.
Una grande isola, almeno per lui, tutta da scoprire. Sì perché, come per ogni ragazzino che si rispetti, le isole erano terre d’avventura e di mistero.
Durante il tempo della traversata se ne stette a poppa, ad osservare la scia luccicante lasciata dalla nave ed i gabbiani che la seguivano, divertendosi a planare per poi ritornare su in alto stridendo e sbattendo le ali. Il vento lo accompagnò per tutto il viaggio, giocando con gli uccelli, sollevandoli e lasciandoli cadere per poi riprenderli festoso più in là.
Sofia corse fuori dalla casa rosa fino alla spiaggia, dove il maestrale soffiava libero ed allargando le braccia si lasciò investire dalle folate tiepide che le sollevavano le ciocche bionde e la solleticavano facendola ridere.
Là in fondo, tra le onde lunghe, stava arrivando il traghetto che avrebbe portato con sé i primi turisti e quel qualche cosa di sconosciuto che stava inconsciamente aspettando.
Arrivata in porto, la famiglia si fece portare alla casa affittata per il periodo estivo. Non era proprio in paese, era appena appena fuori. Quattro passi su un viottolo sterrato ed eccola lì: bassa, bianca, con un ampio giardino povero di fiori, ma con due alberi enormi che spandevano ombra tutt’intorno.
E lì se ne stava Andrea nel pomeriggio caldo. Tutto era fermo tranne i piccoli insetti e le cicale e lui si stava godendo in pace i sogni zeppi di esploratori, tesori e scoperte di animali sconosciuti.
– Ciao, stai dormendo? –
Una vocetta petulante lo fece sobbalzare. Aprì gli occhi e vide aggrappata al cancello di casa una ragazzetta bionda con le ginocchia ossute tutte graffiate che spuntavano da una gonna troppo corta .
– Certo che no! E tu chi sei? –
Si chiamava Sofia, aveva la sua stessa età ed era figlia dei vicini di casa. Fecero amicizia, nonostante la reticenza di Andrea a condividere con una “femminuccia” il tempo del gioco e quello del mare.
I genitori del ragazzino la portavano con loro alla spiaggia, trattandola come una seconda figlia e condividendo con lei i pasti portati da casa. In cambio di questa gentilezza, ogni mattina la mamma di Sofia suonava il campanello e consegnava con un buongiorno un enorme cartoccio di pesce appena pescato dal marito, uomo scuro e taciturno che a volte sapeva aprirsi in un bianchissimo sorriso e che di mestiere faceva, appunto, il pescatore.
Sofia nuotava meglio e più di un pesce: correva in acqua, si tuffava dalle rocce, faceva piroette, mai stanca! Andrea l’ammirava di nascosto, intimidito da tutta quell’energia e dalla capacità della ragazzina di muoversi nell’acqua quasi fosse il suo elemento naturale.
Un giorno, a metà delle vacanze, il padre prese in disparte Andrea e serio gli disse:
– Ho una fantastica notizia per te, non so se ne sarai felice, ma credo proprio di sì. Lorenzo, il nostro vicino, a volte di notte va a pesca di aragoste e si é offerto di portarti con sé, naturalmente se sei interessato e prometti di startene fermo e buono-.
– Oh sì certo, il babbo di notte va là, sul mare magico dell’isola deserta a pescare aragoste!-
Sofia, quando Andrea glielo disse, assunse un fare circospetto e misterioso ed il ragazzino si sentì rimescolare dentro: ecco finalmente l’Avventura!
– Devi sapere- Sofia gli stava parlando all’orecchio, il profumo di mare e di sole a stordirlo, -che a volte, quando la notte é illuminata dalla luna, là le onde si fanno d’argento ed una voce canta canzoni dolcissime che trattengono i marinai , facendo loro dimenticare la pesca ed il ritorno. Poi, quando l’aurora cambia il colore dell’acqua, tutto ritorna come prima e, come sempre, le barche volgono la prua verso casa. –
Il buio stava scendendo veloce, come veloce era sceso il sole nella calma marina e la barca di Lorenzo scivolava, con a bordo un Andrea emozionatissimo, verso l’ombra scura dell’isola misteriosa. Quando l’imbarcazione si fermò le prime stelle erano già arrivate ed un’aria leggera rinfrescava le guance accaldate del ragazzino.
Le nasse erano state posate il giorno precedente a circa sessanta metri di profondità e mentre le lunghe lance per ripescarle venivano tolte dai loro alloggiamenti, Andrea si sedette stanco per le emozioni , appoggiandosi alla sponda della barca.
All’improvviso lassù la luna sorrise in modo strano e le onde si riempirono d’increspature d’argento.
Il ragazzino si spaventò, ma una voce che pareva salire dal profondo del mare lo chiamò in un modo così dolce e materno che lui si tranquillizzò immediatamente.
Un canto straordinario lo raggiunse e lo avvolse in un sicuro grande abbraccio, aprendogli la mente a visioni impensate di una esistenza a venire, in un mondo diverso e più umano, popolato da persone felici.
Così cullato e protetto non si accorse delle aragoste né di Lorenzo che trafficava nelle vicinanze. Se ne stava lì, librato tra il cielo ed il mare, senza peso né pensiero, particella sognante ed integrata del tutto.
Improvvisamente, cosi’ come era arrivata, la musica suadente eppur crudele come la vita che dà e toglie, cessò, obbligandolo alla realtà concitata della pesca, alle necessità del momento.
Si sentì toccare leggermente il braccio, aprì gli occhi e si trovò immerso nell’alba che illuminava il porto. Sorridendo il babbo di Sofia gli porse la grande mano calda, lo fece alzare e lo accompagnò a casa senza dirgli nulla.
Esausto e frastornato dormì di un sonno profondo fino a pomeriggio inoltrato.
– Allora dimmi, com’é andata? Ti sei divertito? Hai visto le aragoste?
Sofia lo aveva raggiunto in giardino e, seduta davanti a lui, le ginocchia eternamente sbucciate e lo sguardo azzurro serio e curioso, aspettava con ansia una risposta.
– Io sì- rispose incerto -ho guardato i marinai tirare a bordo le nasse, mi son goduto il viaggio e non ho visto nulla di strano –
– Davvero? Sei sicuro? Niente canti, niente argento? –
Il sorriso solitamente dolce dell’amica gli pareva diventato ironico e quegli occhi così blu lo scrutavano con sospetto.
Sofia sapeva. Glielo stava leggendo sul viso abbronzato e liscio da bambino, negli occhi che faticavano e reggere il suo sguardo, nelle mani che non riuscivano a stare quiete. Lei lo sapeva.
E venne il giorno della partenza.
La vacanza era finita, il tempo volato e l’Isola verde sarebbe rimasta sempre lì anche dopo il suo addio, come lì avrebbe continuato a vivere Sofia o Etta, come la chiamava dolcemente la madre, con il suo sorriso e la sua gioia di vivere.
Andrea non aveva parlato con nessuno della sua avventura all’isola misteriosa, non l’avrebbero creduto, faticava a crederci persino lui stesso! Ma qualche cosa gli era rimasta dentro: uno strano senso di vuoto, di abbandono, una malinconia profonda. Il canto della sirena continuava a raccontargli di una vita diversa, di sentimenti sconosciuti, di promesse future.
Aveva abbracciato Sofia. Per la prima volta nella sua vita da maschio aveva stretto volentieri una bambina, perché lei non era una ragazzina qualunque, lei era Etta, era tutti i graffi che si procurava in continuazione, i capelli biondi spettinati, gli occhi così chiari da illuminare le ombre del giardino. Era il profumo del sole e del mare. Era quello strano languore giù nello stomaco, quello che ti viene quando hai fame ed è ora di merenda, quello struggimento che provi quando vuoi fare il generoso e regali il tuo cowboy più bello e poi subito dopo ti manca da morire!
Sofia aveva pianto di nascosto, sotto la coperta al buio, nella notte piena di lucciole e rumori conosciuti. Aveva pianto per l’amico che se ne andava via e che non avrebbe ritrovato, per la solitudine che sentiva dentro, per il vento che le aveva portato il primo amore e che ora glielo strappava via così, come con indifferenza da maestrale strappava i soffioni di tarassaco e li disperdeva tutt’intorno.
Piangeva per sé, per Andrea, per il mare, per le sirene e per i sogni che se ne vanno via con la fine dell’estate. Sempre, a qualsiasi età.
La nave lo stava riportando al porto da cui era partito gli pareva tanto tempo fa. I gabbiani stridevano ancora, ma il vento non partecipava più ai loro giochi, li spingeva con cattiveria giù, verso le onde che si sollevavano dietro la poppa.
D’un tratto, forse per un dispetto del sole, la schiuma bianca della scia divenne d’argento e ad Andrea parve di sentire una nenia distante, gli sembrò di vedere qualche cosa guizzare là in mezzo, una sirena trasformarsi nel fanciullo che era stato, un sorriso d’addio.
Voltò le spalle al mare, alzò la testa e, con in cuore il primo rimpianto, andò incontro all’adolescenza.
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Bella storia, bei personaggi, bella ambientazione. Lo stile, per i miei gusti, lascia un po’ a desiderare in alcuni punti. La punteggiatura ha delle imprecisioni. Nel complesso un bel racconto, su cui io lavorerei “di fino” per limare i piccoli difetti. Complimenti.
Grazie per l’apprezzamento ed i consigli Costantino Lupato. Quando saro’ riuscita a capire come funziona il sito se potro’ apportero’ delle modifiche e delle correzioni là dove servono.
Si, un bel racconto, i personaggi sono ben tratteggiati e credibili e la storia, a pensarci bene, potrebbe essere sviluppata in un piccolo romanzo di formazione. I protagonisti, che a fine estate sembrano uscire dal bozzolo della fanciullezza e delle fiabe, per entrare nel mondo degli adolescenti. Non a caso Andrea, sulla rotta del ritorno dopo aver sentito il canto della sirena , si volta e va incontro all’adolescenza
Grazie Ottavio Mirra. Si’ l’intenzione é quella di proporre un piccolo racconto di formazione: un addio dolce alla fanciullezza.
Come se avessi letto la storia di un sogno, un po’ come succede quando ricordiamo gli eventi importanti della nostra vita.
Mi ha suscitato nostalgia, ma di quella buona!
Hai saputo ricreare la magica atmosfera che si vive a quell’età, dove molte occasioni si tingono di fascino e mistero, dove languori improvvisi si mescolano a strane e nuove emozioni. E’ triste vedere nel tuo protagonista quello che accade veramente in quel particolare momento della vita: quando cioè un po’ frettolosamente diciamo addio alla nostra fanciullezza proiettandoci d’impeto nella vita adulta, senza minimamente pensare a tutto quello che stiamo lasciando dietro di noi… e che fatica nel tempo tentare di ritrovare quelle emozioni! Se il racconto pecca da qualche parte, non me ne sono accorta perché affascinata dalla dolce magia della tua storia. Complimenti
Grazie Patrizia Scialoni, dare emozioni penso sia il fine di ogni scrittore o aspirante tale. Sono molto contenta di averti affascinata!
Barbara Cutrupi , quella nostalgia é cosi’ dolce ed indimenticabile, persino alla mia età. Grazie di avermi letto e trovato il tempo per un gentilissimo commento.
E’ stato un piacere Marisa, ti invito a leggere il mio racconto per sapere cosa ne pensi. Grazie!
Lo faro? con grande piacere Barbara. Il mio problema é la gestione del blog. Come ti trovo?
Bravissima Marisa, molto evocativo, ha il sapore di qualcosa che finisce e non tornerà, molto belle le descrizioni e i luoghi mi sembra di vederli.
Ti ringrazio Gabriele! Detto da te é un vero piacere!
Ero in un paesino bellunese di montagna, Gosaldo per la precisione, quando, allora quattordicenne, ho incontrato la stessa atmosfera da favola che hai descritto. Era il mio primissimo sentore che qualche cosa di importante stava accadendo nella mia vita: avevo conosciuto Maria Cristina, 10 anni di innocenza. Come vedi il contesto, mare o montagna, non conta quando il racconto esprime ciò che sente il cuore! Brava e complimenti! Ti ringrazio anche per il tuo gentile commento riguardo al mio testo.
Ci sono dei momenti incantati nella vita di ciascuno che restano appesi dentro e non importa il contesto, grazie a te Cesare Ferrari per il tuo ricordo e per il tuo racconto intriso di dolce solitudine