Premio Racconti nella Rete 2016 “Una foto sbiadita” di Katia Zuccarello
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Non cercavo quella foto. Ma forse lei cercava me, mentre rovistavo tra i vecchi libri della scuola. Un ragazzo in motorino. Sbiaditi i colori, non il suo sorriso.
Era bello Giorgio, maledettamente bello. Tutte le volte che lo guardavo mi mancava il respiro. Stava in piazza Pio X tutto il pomeriggio, nella stessa panchina, con gli stessi amici. Tutte le volte che passavamo di là facevamo di tutto per farci notare. Ma lui amava solo le moto. Se le scambiavano tra amici, le provavano, facevano il giro della piazza anche venti, trenta volte. Noi li guardavano da dietro la fontanella, coperte dal ficus. Eravamo in tre, e tutte sbavavamo per Giorgio. Sentivo spesso parlare di lui anche in casa, ma solo perché era considerato un giovane da non frequentare. Mia madre ci aveva viste gironzolargli attorno ed era tornata a casa furibonda: “Ma tu lo sai chi è lui? Sai di chi è figlio? Non voglio vederti più girargli attorno.”
Figurati, che me ne frega a me di chi è figlio… Che poi pare che viva con la nonna, la madre lo ha abbandonato ed il padre è morto anni fa. A me fa pure pena, deve aver sofferto tanto. Ha bisogno d’affetto di sicuro. E io sono tanto affettuosa. Oggi mi ha vista, e mi ha fatto l’occhiolino. Ed era per me ne sono sicura, mi sono girata da tutte le parti e c’ero solo io.
L’ho detto alle mie amiche dell’occhiolino. Sono gelose, mi dicono sia figlio di Turi Sbannutu. L’ho sentito nominare da mia madre: era un mafioso, diceva, era stato ucciso dalla famiglia rivale quando Giorgio era ancora piccolo.
Giorgio è venuto davanti scuola, mi ha chiesto di salire sul motorino con lui, mi avrebbe riportato a casa. Avrei dovuto dire di no, mia madre mi aveva avvertita, ma mi sarei fatta lasciare un paio di metri più in là. Non se ne sarebbe accorta.
E così eccomi in moto con lui. Parliamo, parliamo, dice che gli piaccio. Dice che ho un nome simpatico. Susanna è il mio nome, me lo dicono tutti che è simpatico. Rientro a casa felice. Ma come in quei film dove d’un tratto il suono del disco viene interrotto bruscamente, appena varco la soglia, senza pronunciare una parola, mio padre mi dà un ceffone: ho disobbedito a mia madre. Lei dal terrazzo, insospettita dal mio ritardo, ha visto tutta la scena. Abbasso la testa e in silenzio vado a chiudermi in camera. Non voglio neppure dar loro il piacere delle mie lacrime, dei miei singhiozzi. Giorgio non si può frequentare, Giorgio è figlio di Turi Sbannutu, Giorgio è figlio di un mafioso. Ma che colpa ne ha? Manco se lo ricorda più suo padre. Che me ne frega della mafia? Io non ho intenzione di lasciar perdere.
Ogni sabato pomeriggio, insieme alle ragazze, torno in piazza Pio X. Ci sistemiamo su una panchina vicina a quella di Giorgio. Non posso stargli accanto, ma nessuno può impedirmi di guardarlo da lontano e sorridergli. La mente corre: prima o poi troverò un modo per vederlo di nascosto, ma per ora mi accontento. Lo guardo.
Siamo in piazza anche quel pomeriggio, quando arrivano i poliziotti in borghese. Ci chiedono i documenti. Mi spavento un po’, è la prima volta che dei poliziotti mi avvicinano, tesi e sgarbati. Vanno anche alla panchina dei ragazzi, chiedono i documenti anche a loro. Appena Giorgio dà il suo, gli ordinano di andare con loro. Lui si stupisce e chiede il motivo. In stazione glielo avrebbero detto. Lui mi guarda, ha gli occhi di un animale stupito, dolci e ingenui. Che può aver fatto di male? Mi fa l’occhiolino. Sono agitata, seguo tutta la scena da lontano. Troppo lontano. Lo fanno salire in macchina, un’auto blu, grande. Un poliziotto piazza un lampeggiante sul tettuccio e la macchina sgomma via così, lasciandoci tutti sgomenti. Ho paura per Giorgio. Che avrà combinato? Nessuno sa cosa sia successo. Cinque minuti dopo, gli altri stanno già pensando ad organizzarsi la serata.
L’indomani alla panchina ci sono tutti, tranne Giorgio. Si dice che non sia rientrato la sera. L’hanno trattenuto. Ha combinato qualcosa di grosso, è chiaro. La cosa comincia a farsi seria. Il pomeriggio successivo ci sono tanti ragazzi vicino alla panchina, un vero assembramento. Capiamo che c’è qualcosa di strano. Mi avvicino anch’io, insieme alle mie amiche. Giorgio non è tornato. La nonna l’ha cercato dappertutto e ha chiamato tutte le stazioni di polizia. Ha chiamato pure i carabinieri. Tutti negano di aver portato Giorgio in caserma. Non risulta neppure la registrazione dell’accertamento. Le forze dell’ordine escludono di averlo “preso”.
Ne parlano i telegiornali, la nonna lancia appelli. È scappato? È stato rapito? Il paese si mobilita, cominciano le ricerche. Io non dormo più la notte. Tutte le mattine, andando a scuola penso a lui. Mi chiedo cosa starà facendo, dove vive, se mi pensa ancora. Perché è scappato? In paese se ne parla molto, tutti si fanno le stesse domande. La nonna non si dà pace. Non smette mai di cercarlo.
Mi inchiodo all’improvviso, calamitata dalla voce di un telegiornale: dicono che un pentito ha parlato di Giorgio. Ha fatto nuova luce sul fatto. Non dicono altro. Quale fatto? Quale nuova luce? Mio padre cambia canale. Inghiotto le mie angosce in silenzio, il cuore a mille. Devo aspettare il telegiornale della sera. E arriva. Implacabile. Tutto chiaro. Mi sento male. Un dolore immenso mi assale. Parlano di un pentito… di una svolta. Giorgio era stato rapito da finti poliziotti, mandati da una famiglia mafiosa. Il padre aveva portato con sé nella tomba dei segreti ingombranti. Forse il figlio poteva conoscerli. Avevano solo un dubbio. Ma l’hanno preso e torturato. L’hanno infilato in una pila di pneumatici al centro di una buca. Ce l’hanno lasciato per giorni. Lui urlava che non sapeva niente. Alla fine si sono resi conto che diceva la verità. Ma era tardi. L’hanno cosparso di benzina e gli hanno dato fuoco. Così è morto Giorgio. Il mio Giorgio. Ha pagato colpe e segreti che neppure conosceva. Era figlio di Turi Sbannutu e questo è stato sufficiente a bruciare per sempre quel suo sorriso.
Fisso la fotografia per qualche istante ancora. La infilo di nuovo nel cassetto.
Ho i brividi, sarà il freddo. La mafia fa schifo.
![]()
Un bel racconto. La trama è un poco improbabile e questo, per un racconto che dovrebbe essere verosimile, è un difetto. La frase finale è da eliminare: si capisce lo stesso ed è in più, oltre che una frase fatta abusata. Buona l’idea dell’amore ostacolato dal passato della famiglia del ragazzo.
Ciao Costantino! Sarebbe bello se fosse improbabile, ma io c’ero, ero in quella piazza. La frase finale è voluta proprio perché di storia vera si tratta.
Non è affatto una storia improbabile, e anche se non fosse vera è del tutto verosimile. Scritta bene, dal punto di vista di adolescenti o poco più, che si trovano a dover fare i conti con il passato altrui. È vero, l’espressione finale è abusata, ma proprio per questo andava scritta. Complimenti anche per lo stile
Grazie mille, Ottavio!
Non volevo intendere che la storia non è vera o che non possa succedere. Volevo dire che, quando riferisci i fatti raccontati dal pentito, dovresti essere più esplicita nel far capire che secondo le sue rivelazioni il ragazzo è stato infilato nei pneumatici, bruciato ecc… Come l’hai scritto tu sembra verità incontestabile. In realtà si hanno solo le rivelazioni del pentito.
Ti credo, so che è la verità, ma riporta chiaramente che sono le rivelazioni del pentito a dire come è andata. Tu non hai visto, non c’eri, non ci sono forse nemmeno tracce. Storia triste in ogni caso. Resto dell’idea che l’ultima frase non ci stia.
Difficile commentare dopo aver letto che si tratta di una storia vera (o comunque ispirata a fatti reali). Il dramma è che non mi sorprende. Chi è cresciuto in certe realtà sa bene che, certi ‘fatti’, che ad altri potrebbero apparire quantomeno improbabili, in alcune zone del nostro paese sono, non voglio dire una consuetudine, ma comunque realisticamente possibili.
Se posso darti un piccolo consiglio, per rendere più realistico un contesto, a volte, basta concentrarsi su piccoli dettagli, anche la semplice descrizione di un oggetto di uso comune potrebbe bastare o qualche concessione (senza esagerare) al dialetto… In definitiva trovo il racconto molto buono, benché certamente migliorabile. Ottimo l’incipit. Un po’ meno il finale.
Peppino Impastato, Lea Garofalo… vere, vere, storie vere!!
Solo brividi. Brava!!!
Bella storia! Mi è piaciuta molto! Se è una storia vera beh… un abbraccio. La mafia fa schifo.
Il tuo racconto suscita amarezza dall’inizio alla fine… è un pugno nello stomaco… è un invito a non dimenticare, a non lasciare che certe foto rimangano a ingiallire nei nostri cassetti, dove più o meno consapevolmente tentiamo di chiuderle. Non so quanti anni tu abbia, ma il racconto sembra scritto da una ragazzina e questo ben si adatta alla trama del racconto soprattutto perché trapela il senso d’impotenza, l’incapacità e l’impossibilità di reagire di fronte ad una ingiustizia così abominevole. ( In merito alla questione sollevata da Costantino Lupato ) : nel racconto la tragica fine di Giorgio non sembra rivelata dal pentito, ma un dato di fatto. E per finire… la mafia non fa schifo… la mafia E’ lo schifo.
Un racconto vero, sentito e triste. Il finale, invece, mi piace. È un chiaro messaggio di sfida. Fa schifo la mafia e ancora di più.
Complimenti, mia cara.
Se ti va di leggere il mio racconto, mi farebbe piacere.
Lo faccio con piacere, Vincenza. Grazie per il tempo che mi hai dedicato!
Faccio tesoro dei tuoi consigli, Luigi, anche se in questo caso la realtà, per me, trasuda da ogni parola. Grazie mille!
Grazie, Barbara!
Grazie Frank!
È proprio la sensazione che si vive, Patrizia. Il fatto che tu l’abbia colta e sentita insieme a me, è per me una grande soddisfazione.
(non sono più una ragazzina, ma era quello il punto di vista narrativo)
Racconto verosimile, anzi vero probabilmente, ben scritto che lascia un senso di amarezza e sconforto. Brava Katia!
Finalmente una storia che affonda le sue ragioni nella realtà, dura. La vita non sempre ci fa sorridere, non sempre la si può raccontare col sorriso sulle labbra. La frase finale, nella sua disarmante verità, è comunque interessante.
Interessante, scorrevole, incalzante, i fatti senza segno di resa. Mi è piaciuto molto. In fondo, non c’è niente d’inverosimile. Non mi stupisce che sia una storia vera, ma il saperlo non toglie niente al racconto.
Una storia che ci tocca dentro, accanto a cui non si può passare in silenzio. Sono felice che abbia suscitato tanti commenti. Lo stile spezzato fa pensare al filo conduttore delle emozioni. Ci sta!
Grazie Marzia, grazie Laura! Mi emoziono ad ogni commento.
La mafia fa schifo.” E’ una montagna di merda”, per dirla alla Peppino Impastato. E io m’ inchino davanti a chi continua, nonostante tutto, ad avere il coraggio di parlare e di parlarne.Questo è il primo complimento che ti faccio, cara Katia.Il secondo riguarda la stesura dell testo e la scelta di una narrazione fresca e spontanea, tipica dell” età giovanile che rimarca, appunto, che la vita spezzata in un modo così atroce è la vita di un ragazzo e che la mafia non guarda in faccia nessuno . Perché fa schifo.Bravissima.