Premio Racconti nella Rete 2016 “Pietro” di Vincenza Davino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Compresso nel suo cuscino Pietro chiudeva gli occhi, li stringeva forte quegli occhietti di un colore azzurro. Li congiungeva con un vigore e una rabbia prepotente quella mattina, digrignando i denti come per addentare una mela. Un gesto che ripeteva di continuo, lo faceva spesso durante la giornata negli ultimi tempi. Le folte ciglia si intrecciavano e quasi si annodavano per non rivedere quelle immagini, ancora vive, pulsanti. Ma la volontà del suo pensiero era più prepotente di quella pressione. Nonostante insistesse con tutte le sue forze per dimenticare la scena impressa come un calco nella sua testa, la ruvida paura ritornava, lasciandolo privo di difese.
In quel cuscino strizzato sulle orecchie, morbido e lindo, le possenti urla e gli inauditi strattoni si accartocciavano, tutto sembrava diluirsi lentamente.
Il cuscino lo proteggeva dal buio ostinato di ore interminabili.
Quel cuscino, però, era uno strumento che gli permetteva di abbattere un fondale increspato di paure, di ansie senza tregua.
Immagini che purtroppo si presentavano senza chiedere permesso, fiondavano nella sua testa, mescolandosi tra le fibre del suo corpicino.
E rivedeva tutto quanto, proprio tutto Pietro.
Fotogrammi mescolati e disordinati si presentavano in ogni momento della giornata, niente era stato rimosso e in quei ricordi scavava in fondo, grattava con le unghie per scorticare la crosta che avrebbe potuto appannare ogni cosa.
E lo faceva con una perizia ordinata quel lavorio meticoloso, quasi da non sembrare un bambino di otto anni. Così piccolo Pietro, così grande il suo cuore.
Il freddo pungente del buio e piccoli brividi sulla pelle gli coprivano il corpo come una coperta di tessuto ruvido. Il cedevole ricordo stentava ad allontanarsi, prepotente s’incollava nella sua testa e la stanza rifletteva ogni sua paura.
Erano già trascorse quattro settimane da quel giorno e continuava a comportarsi in modo curioso sia a casa che a scuola.
Non apriva più bocca, Pietro. Proprio lui che quando attaccava a parlare nessuno poteva fermarlo.
Pietro era sempre stato un fulmine con le parole, fuoriuscivano libere come nubi sfilacciate, sbrindellate dalla falce.
A scuola era un portento, la sua allegria contagiava i compagni che lo cercavano per ogni attività. Talvolta, il suo silenzio nascondeva un’improvvisa esplosione di allegria. Sonnecchiava dietro una copiosa compagine di tranquillità e si divertiva a rimbalzare d’un tratto con una battuta o scherzi di ogni genere.
Sempre allegro e giocherellone, Pietro.
Ma la sua sfrenata vivacità fu pagata amara e a duro prezzo.
Quella mattina Pietro era particolarmente frenetico, non stava fermo un minuto, come un coniglio indiscreto che annusa un futuro oltre la gabbia.
Era il suo compleanno, la sua festa. Normale fosse più eccitato del solito.
Tra un po’ a scuola la mamma avrebbe portato la torta di cioccolato, tutta ricoperta d’azzurro, azzurro Napoli, quella della sua squadra del cuore.
Dai corridoi che costeggiavano il cortile c’era un pullulare di vita: grappoli di creature in erba e bambini più grandi giocano insieme.
Uno spettacolo di voci e suoni, una festa di colori e sorrisi.
E sulle distese effervescenti di parole e visi di bimbi allegri, Pietro raggiunse il centro del cortile insieme ai suoi compagni. Era felice, il sangue ossigenato, il cuore palpitava nella testa, ingrossato.
Il sole si adagiava a riscaldare la giornata e tutti i bambini erano in ricreazione all’aperto. Chi giocava a rincorrersi, chi sfrecciava come un siluro per nascondersi e non farsi trovare.
Pietro e il suo gruppetto aveva intonato un coro di canzoni, che di solito si cantavano allo stadio. Non gridavano, non potevano osare, ma allegramente si divertivano a fare le prove per la domenica. Sottovoce, senza dare fastidio.
La maestra Mariagrazia quella mattina lo aveva già rimproverato più del solito. Era meglio abbassare la voce.
Ma i cori dei bambini proseguivano senza sosta, erano un crescendo, le voci erano aumentate di qualche tono, nulla di più.
La maestra, dal viso arcigno, si avvicinò a Pietro, lo strattonò con forza verso il corridoio. Era sua la colpa di quel frastuono incontrollabile.
La voce sottile e stridente della donna si depositò e prese un corpo rotondo, piuttosto cupo. La paura raggiunse Pietro che cominciò a insaccare la testa nelle spalle. I suoi occhietti somigliavano a cristalli nel folto di una foschia fatta di urla e spintoni. La voce di quella donna soffocante gli risaliva dalla pancia.
Inghiottiva la paura, Pietro.
Il suo respiro sembrava polvere di vetro, il suo cuore un tamburo battente.
Nelle urla della maestra che lo spingeva come un sacco di patate via dai suoi compagni di gioco e studio, Pietro si lasciava andare e avanzare tra la leggera brezza di primavera che divorava ogni altro rumore.
Fu trascinato in uno sgabuzzino che la maestra chiamava “stanzino del maiale”.
Era solita intimorire i bambini che non obbedivano, che si mostravano riottosi e indisciplinati. Pietro era stato minacciato più volte di andare lì.
Quella donna impazzita rimase fissa a guardarlo, con gli occhi abbacinati dalla rabbia più intensa, a scrutare il suo sguardo affannato e fermo.
Era il giorno del suo compleanno, compiva solo otto anni Pietro. Colpevole la sua vivacità, la sua esuberanza.
Quella mattina gli occhi di Pietro sembravano paludi che trattenevano il pianto. Era un ometto, diceva la sua mamma, e non si piange per niente. Ma tutto ciò non era il niente ma la cattiveria prepotente di una donna che si spargeva come fumo, che ingollava senza riserve la tenera corteccia e il cuoricino di un bambino.
E le lacrime di Pietro cominciarono a colare libere, scivolarono all’interno e poi riuscirono a trovare un varco sulla sua pelle. E pianse. Tanto.
Si ritrovò solo in quello stanzino, al buio. La paura imbavagliò i suoi gesti, la sua voce, il suo respiro. Rimase nell’anonimo angolino, rannicchiato in posizione fetale, aggredito dentro.
Il buio e la paura insieme, tutto cominciava a essere inerme. Sentiva solo le voci dei suoi compagni dilatate e sporche.
Si immaginava il sole che prima si adagiava in cortile e lo vedeva sfiorargli le guance, il viso e le mani all’aria. Se lo immaginava Pietro il sole più di ogni altra cosa al mondo.
Tra il buio fitto e pesto di quello stanzino c’era solo un coro insaccato di voci di bimbi, sospese tra l’aria dolce e greve. Voleva correre fuori e gridare a tutti di tacere, sarebbero stati puniti anche loro.
“Zitti, zitti” diceva tra i denti stretti, “state zitti, per favore”. Come li implorava, Pietro. Con gli occhi impauriti e lucidi chiedeva ascolto. A Pietro mancava il fiato, però. La sua vocina si chiuse dentro, solo gli occhi buoni della sua mamma riusciva a vedere. Ci riusciva nel buio, chissà come faceva, Pietro.
Vedeva la mamma arrivare con la sua torta, con quel suo solito sorriso.
Impugniamo noi adulti sgorbi
che lasciano segni e solchi
sul legno tenero dei bimbi.
Se solo facessimo parlare
una nube come mamma
e una goccia come figlia,
se solo permettessimo alle parole
di colare nei nostri sterili cuori,
in quei pensieri compromessi,
di incollarsi a occhietti spaventati,
paludi di pianto,
quelle acerbe e tenere lacrime
scivolerebbero indietro
via, lontano sulla pelle
che buca il vento.
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Grazie per averlo letto, comunque.
Bel racconto!
Brava!
Bella anche la poesia!!
Grazie Annarosa!
Il tema del tuo racconto è estremamente attuale, purtroppo. Non ci sono parole davanti a scenari come questi, soltanto rabbia e ancora rabbia.
Sì, attualissimo. Disarmante è stato descrivere gli attimi della paura. Cosa provano i piccoli di fronte a un orrore del genere è inenarrabile. Grazie Barbara per averlo letto.
Ci vuole molta sensibilità per mettersi con delicatezza nei panni di un bambino e per descrivere le sue reazioni a comportamenti di quel genere davvero bel racconto scritto molto bene
Ti ringrazio, Giovanna.
Il racconto e’ molto emozionante, hai descritto con grande efficacia le emozioni e gli stati d’animo del bambino.
Il tuo Pietro e la mia Alida hanno la stessa età, hanno otto anni e anziche vivere la loro spensierata fanciullezza devo fare i conti con i mali del mondo.Nel caso del tuo Pietro un male “malato” generato dallo stesso uomo. Il tuo racconto è bellissimo Vincenza oltre ad essere scritto in modo impeccabile.Complimenti.
Grazie Noemi. In bocca al lupo per il tuo racconto.
Ti ringrazio, Cinzia. In bocca al lupo.
Fondersi nei pensieri impauriti di un bambino è prerogativa di un’animo altamente sensibile, riuscire a farci sentire la sua paura è sinonimo di chi sa scrivere bene con l’animo . Bella anche la forma racconto poesia ….. Complimenti , in bocca al lupo.
Ti ringrazio tantissimo, Giusy.
In bocca al lupo, Giusy
E’ un tema molto discusso ultimamente quello dei maltrattamenti nelle scuole e in effetti è un problema molto grave.
Scrivere su questi temi serve molto per tenere alta l’attenzione su problemi che potrebbero essere scordati come meteore.
La descrizione delle emozioni del bambino è molto bella e anche la poesia finale.
Brava! In bocca al lupo! 🙂
Bello il racconto, ancora più bella la poesia finale. Sei riuscita a far trasparire le emozioni e le paure di un bambino. Complimenti anche per il tema scelto, molto complesso e delicato, quello delle ferite che si imprimono nella nostra memoria.
Ti ringrazio, Orsola. Sì, è così, il tema che ho trattato è di grande attualità. Mi fa piacere che ti sia piaciuto. In bocca al lupo anche a te.
Grazie Angelica. I bambini sono delicati, sono gioie e sorrisi continui. Bisogna averne rispetto. Grazie per il tuo commento e in bocca al lupo.
Che bello questo racconto. Quanta sensibilità e tenerezza affidata ad una penna fluida, scorrevole ed incisiva. Davvero molto ben scritto. Non vorrei essere nei panni della giuria. Ce ne sono davvero molti di racconti belli belli, e il tuo è certamente tra questi. Complimenti
Ma Ottavio, ti ringrazio tantissimo. In bocca al lupo anche a te.
Un argomento difficile. Hai avuto coraggio, Vincenza.
Grazie Fiorella. In bocca al lupo.
Cara Vincenza, ho apprezzato molto il tuo commento.
Poi sono venuto qui a leggere il tuo racconto, e devo dire che mi hai emozionato.
Ricevere un giudizio positivo da chi sa scrivere con maestria, come hai dimostrato tu, è una grande soddisfazione.