Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Lettera dall’Inghilterra” di Luca Ferrero

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Hertfordshire, novembre 2015

Cara Lizzy,

ti scrivo mentre aspetto una pinta di birra in un locale fatiscente, ma a suo modo affascinante, in una strada di campagna appena fuori dal centro abitato di Hertford, capoluogo della contea dell’Hertfordshire, a trenta chilometri da Londra.

Proprio così amore mio, ho deciso di fare ciò che per decenni ha continuato a solleticare la mia fantasia: certamente ti ricordi delle serate passate a parlare di questa storia, io, te, Julian, i ragazzi della redazione, voglio dire a parlare di Mark Hollis, anzi di Mark Hollis e il suo ritiro dal mondo della musica, e certamente ricordi anche quella valanga di mail che avevo ricevuto dopo aver scritto quell’articolo in cui definivo Hollis timido genio sottovalutato in grado di portare i Talk Talk al vertice estremo dell’arte musicale (Pitchfork, 12/2/2009).

Mi hai lasciato, Lizzy. Mi hai lasciato solo in quel tugurio di cinquanta metri quadrati. Solo con quel neo terrificante che avevi scoperto sulla mia schiena, solo con i miei alunni rompicoglioni e indifferenti, solo con le mie recensioni di Pitchfork (l’unico lavoro di cui ti sia mai importato qualcosa). Mi guardavi con quegli occhi pietosi e dicevi ci siete solo tu e le tue recensioni, tu e i tuoi prodotti intellettuali, e sapevo che avevi ragione, soprattutto su questa storia dei prodotti intellettuali, a volte mi meravigliavo di come sapessi centrare il nocciolo di una questione in poche, pochissime parole.

Quella sera, dopo che te ne sei andata, come una specie di zombie sono uscito di casa, sono sceso in strada, c’era un vento caldo e secco e quell’odore di asfalto che c’è sempre d’estate in città e che mi ricorda le nostre prime serate, quando indossavi quel tuo giubbottino di pelle nera che avevi messo anche al concerto di Nick Cave e che profumava di possibilità meravigliose. Circondato dal traffico ho guardato in alto e ho visto un enorme stormo di uccelli neri vorticare proprio lì sopra per poi perdersi lontano, e mentre seguivo lo stormo stringendo un poco gli occhi ho iniziato a canticchiare il ritornello di una delle canzoni più datate dei Talk Talk, Renee. Dopo aver fatto il giro dell’isolato sono rientrato di nuovo a casa, inebetito, e mi sono messo a cercare su internet informazioni sugli ultimi anni di Hollis, per lo meno dalla pubblicazione di Laughing Stock, quel distillato scarno e prezioso del mistero che si annida nell’ arte più autentica (Pitchfork, 21/12/2007). Ti ricordi New Grass, io e te al buio, quando ci prendeva la malinconia?

Comunque, niente. Hollis dal 1998 era praticamente scomparso. E allora mi è venuta in mente la tua insistenza nel dire che dovevo smettere ad un certo punto di fare recensioni, di fare cioè il cosiddetto critico musicale, e che dovevo fare qualcosa di più legato alla realtà, e avevi pensato alle interviste, ma io come al solito non ti avevo ascoltato, avevo continuato a dare al mondo i miei giudizi infiocchettati di metafore, iperboli e pedanterie varie.

Ho passato la notte sul divano, vestito, in parte piagnucolando.

Nel giro di una settimana ho fatto tutte le ricerche possibili. Ho messo un pannello di sughero sul muro di fronte alla porta di ingresso, e l’ho riempito di notizie, stralci di interviste, mappe, fotografie. Ho focalizzato la mia attenzione su un paio di società che portavano il nome della moglie di Mark, Felicity, confluite nella Hollis Songs ltd, il cui attuale indirizzo è il 61 di Birch Green, un sobborgo campestre di Hertford.

Mi è sembrato chiaro allora che l’unico modo per incontrare Hollis era venire a cercarlo qui nell’Hertfordshire. Ho chiesto una settimana di ferie per la prima metà di novembre, ho comprato il volo per Londra e il tragitto in treno da Charing Cross a Hertford Central, biglietti di sola andata, e il giorno della partenza (l’altro ieri) ho cancellato il tuo numero dalla rubrica del telefono.

Il treno è arrivato a Hertford alle tre del pomeriggio, il cielo era sereno e ventilato. Mi sono fatto portare da un taxi ad un bed and breakfast che dista si e no centocinquanta metri dal 61 di Birch Green (villette, praticelli, bambini in bicicletta). Poi sono andato verso quella che doveva essere senza dubbio la casa di Hollis.

La casa di Hollis è l’ultima della strada, a fianco di un prato incolto confinante con un bosco. È una casa prefabbricata, piccola, bianca, con un cancello in ferro battuto e un misero vialetto di accesso coperto di ghiaia. Per almeno due ore, cioè il tempo che sono rimasto lì su una panchina a cinquanta metri dalla casa prima di tornare al bed and breakfast per la cena, non c’è stato alcun segno di vita. Più tardi ho chiesto alla ragazza della reception, in verità una signora sulla cinquantina con l’apparecchio per i denti, se sapeva qualcosa di un certo Mark Hollis, ma lei mi ha risposto che non l’aveva mai sentito nominare e che al 61 di Birch Green non vedeva mai un cane.

Anche il giorno successivo, cioè ieri, nessun risultato. Mentre passeggiavo sui marciapiedi che fiancheggiavano i prati e gli steccati, approfittando del tempo clemente, con le mani in tasca e il giornale sotto il braccio, pensavo al fatto che nella mia vita mi sono sentito a mio agio sempre e soltanto in due situazioni: (uno) immerso nella natura, e (due) ai suoi antipodi, e cioè nel cosiddetto mondo dell’arte. Di tutto ciò che sta nel mezzo non mi è mai importato un granché. D’altra parte, pensavo, non è da considerarsi anche la più astratta, pura e sublime delle produzioni artistiche nient’altro che un prodotto della natura? Cristallo di neve dello spirito?

 

Stamattina ho notato subito la Subaru grigia sul vialetto della casa di Hollis, così mi sono seduto sulla panchina, indeciso se andare a suonare alla porta o aspettare che uscisse qualcuno. Dopo circa un’ora ho visto una figura spuntare dal prato a fianco della casa. Stava spingendo qualcosa con entrambe le mani, e andava verso il cancello dell’abitazione con un’andatura zoppicante. Quando è stata più vicina ho riconosciuto la figura alta e dinoccolata di Mark Hollis, che spingeva una carriola su cui era posato un fascio voluminoso di rami secchi. Aveva l’aria molto stanca. Si è fermato davanti al cancello, si è chinato e ha iniziato a togliere delle erbacce che crescevano lì vicino. Portava dei grossi guanti da lavoro di cuoio. Poi dal bosco è sopraggiunta un’altra figura, una donna sulla sessantina con i capelli lunghi avvolti in una treccia e un kway di due taglie più grande della sua. Mark si è tolto i guanti, li ha dati alla donna, ha tolto i rami secchi dalla carriola e se li è messi sotto il braccio. Nessuno dei due ha detto una parola, lui ha aperto il cancello e a quel punto si è girato verso di me. I nostri sguardi si sono incrociati per un paio di secondi, durante i quali Mark ha tirato su con il naso rumorosamente, poi si è voltato ed è entrato in casa.

Felicity ha preso il suo posto nell’estirpare le erbacce, e a me, improvvisamente, l’idea di fare un’intervista a Mark Hollis non interessava più.

Ho osservato per un momento il prato di fianco alla casa, l’erba ondeggiava impercettibilmente (la brughiera inglese, ho pensato). Poi mi sono alzato e ho camminato per venti minuti senza una meta precisa, fino a qui, in questa birreria senza pretese su una strada provinciale in mezzo ai campi. Ho ordinato una birra e mi sono messo a scrivere.

La porta del locale si è aperta ed è entrato un gruppo di gente anziana, coppie di vecchietti sorridenti con le macchine fotografiche a tracolla, le giacche a vento, lo zainetto di marca tedesca, che chiedevano se si poteva mangiare qualcosa. Fuori dalla birreria intravedevo la coda di un gigantesco autobus in attesa.

Sin dal primo istante in cui mi sono impegnato in questo progetto, Lizzy, nel progetto su Mark Hollis e il mistero dell’arte, il mio unico desiderio non è stato altro che quello di poterti avere di nuovo accanto. Di nuovo la tua vita a fianco della mia.

La tua vita, Lizzy, di cui non mi è mai importato nulla.

 

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7 commenti »

  1. Bello e coinciso. Ma soprattutto bello.

  2. Sembra quasi un racconto di Carver. Molto più corto di un racconto di Carver, ma con lo stesso modo di raccontare una storia che non è una storia. Non c’è un’idea centrale forte, solo la narrazione di un viaggio. Parli dei Talk Talk e invece quello che racconti è l’amore di un uomo per la donna che lo ha abbandonato. Complimenti.

  3. Complimenti. Scrivi benissimo. Il racconto scorre via veloce (forse un po’ troppo). Per molte righe ci si sente smarriti, come se si avesse la sensazione che si sia intrapreso uno di quei viaggi che non porta da nessuna parte… E, invece, porta verso la consapevolezza che per quanto lontani si possa fuggire, certe cose non ci lasciano mai… il senso di abbandono, il vuoto, impossibile da riempire, di un amore andato via…

  4. Ho trovato il tuo racconto originale, spiazzante e scritto con una padronanza di linguaggio invidiabile. La cosa che mi ha colpito di più è come descrivi il travaglio mentale del tuo protagonista… noi donne siamo strane per carità, ma anche voi maschietti non scherzate mica… Complimenti davvero.

  5. Grazie a tutti dei vostri commenti.

  6. Il tuo racconto, a mio giudizio, è il migliore in assoluto tra quelli in concorso quest’anno. L’ho già comunicato, in privato, ad alcuni utenti qui iscritti, in tempi non sospetti.
    Non vederlo tra i 25 e poi notare che hai avuto relativamente poche visite e ancor meno commenti, mi fa pensare che, a differenza da quanto dichiarato, questi ultimi abbiano influenzato eccome il giudizio della giuria.
    A parte questa considerazione, il fatto che il tuo racconto, e sottolineo tuo, non sia tra i vincitori mi lascia esterrefatto.
    Mi auguro che tu lo presenti ad altri concorsi, sperando in una giuria che sappia cogliere l’elevata qualità del tuo scrivere e l’enorme spessore della storia che tu hai raccontato.
    Un grosso “in bocca al lupo”.

  7. Ti confesso di aver provato dispiacere nel non vedere il mio racconto tra i 25, ma accetto il parere insindacabile della giuria. Farò sicuramente come dici tu, lo manderò ad altri concorsi: è un racconto in cui credo. Detto questo, ti ringrazio infinitamente per aver condiviso questo tuo pensiero e per i grandi complimenti che mi fai: il tuo commento è stata una vera iniezione di fiducia! Grazie.

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