Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Gentile” di Elena Panzera

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

C’era un uomo, a Viareggio. Lo chiamavano Gentile. Era un omino piccino piccino, con la faccia rossa e bei capelli argentati spalmati all’indietro sulla testa. Aveva sempre in tasca un pettine color avorio. Ogni tanto, la sera, davanti allo specchio di qualche locale, Gentile lo tirava fuori e lo passava sui capelli inclinando la testa, come Elvis. Poi annuiva soddisfatto, sorridendosi da solo, e chiedeva da bere.
Neanche a dirlo, Gentile era un galantuomo. Persino barbone e alcolizzato, con la giacca sdrucita e lisa, conservava quel garbo impeccabile che gli era valso il suo eloquente soprannome. Quando faceva l’elemosina diceva “per favore”, e a chi gli lasciava un fondo di bottiglia da svuotare non mancava mai di dire “grazie mille, mi ci voleva proprio”. Non era uno di quelli che storcono la bocca di fronte agli spiccioli di rame. Lui accettava tutto con la stessa gratitudine, e quando lo beccavano a rubare porgeva le mani e diceva che facevano proprio bene a metterlo in galera; era quello il posto adatto per i furfanti come lui.
Una volta, al supermercato, rubò un pesce surgelato. Una bestiaccia enorme, lunga quattro palmi. Lo nascose sotto la camicia, con la coda infilata nei pantaloni. Era estate e faceva un caldo tremendo. Gentile, girando tra gli scaffali in cerca dell’uscita, cominciò a sudare freddo, ma non ci fece molto caso. Appena fuori dal supermercato, però, la testa gli girò tanto forte che cadde a terra svenuto. Chiamarono i soccorsi. L’infermiere scese dall’ambulanza infilzando i guanti di lattice, con lo sguardo rivolto verso quel corpo piccolo e appiccicoso sdraiato a terra con le braccia aperte, come Cristo. Immaginate la sua faccia quando aprì la camicia per tastargli il torace e si trovò tra le mani quel grosso tonno ricoperto di ghiaccio! Tutti scoppiarono a ridere, e quando Gentile si svegliò, sempre sdraiato per terra con una coperta addosso, a vedere tutti così felici fu subito felice anche lui. Pensò di essere caduto addormentato, e che quel buon uomo vestito di bianco fosse andato a coprirlo per non fargli prendere un malanno. C’erano quaranta gradi all’ombra, ma la gente è strana, pensò Gentile. Se ne andò ringraziando, dimentico del tonno e della fame.

Ai tempi d’oro, quando aveva venticinque anni, Gentile lavorava nell’Hotel più bello della Versilia.    Li aveva visti tutti, i visi della televisione. Attori coi baffi arricciati e folte sopracciglia, attrici con grossi cappelli e abiti di seta, ballerine dalle caviglie sottili che entravano come soffici piume portate dal vento. Sulla porta, vestito di tutto punto, Gentile faceva un bell’inchino e li scortava nel salone dell’hotel, dove essi scomparivano dentro grossi divani rivestiti di velluto, col fumo di qualche sigaro che olezzava sopra le loro teste in nuvole solitarie. Portava loro il caffè o la limonata, ascoltava le loro chiacchiere, scortava le signore in giro per l’hotel indicando i terrazzi più belli, le rifiniture della facciata in stile Liberty ricoperte di salmastro. Tutti si ricordavano di lui, tutti lo chiamavano per nome e non volevano essere serviti da nessun altro. “Signor Giuseppe, venga a vedere!”, “Signor Giuseppe, ascolti che mi è successo.” Il proprietario dell’hotel lo trattava come un figlio. Diceva che era un principe, e che nemmeno i  nobili avevano modi tanto eleganti e parole così raffinate.
Sul lungomare, quando usciva da lavoro, Gentile si fermava a salutare gli amici: entrava nei cinema, nei ristoranti, su fino al vecchio molo che correva dritto e si tuffava in mezzo al mare, col faro dipinto di verde che svettava nel tramonto e indicava la via alle barche di rientro. Da lì si vedeva tutta Viareggio sdraiata sul lido, languida e fresca di Libeccio. A quell’ora i pescatori smontavano i banchi e si preparavano per la pesca notturna, aggiustando le reti con le mani ruvide e salate. Gentile si sedeva con loro e guardava la sera arrivare.
Quando tornava a casa sapeva di mare. Sua moglie Adele aveva vent’anni. Gli si stringeva addosso col suo corpicino minuto, i boccoli neri che le ondeggiavano intorno al viso e mani tanto piccole da sembrare di bambina. D’estate portava vestiti lunghi e leggeri che le lasciavano le braccia scoperte. Non era bella, né particolarmente intelligente, ma lui l’amava come si amano certe cose fragili e preziose: con grazia paterna, col cuore colmo di tenerezza. Sin dalla prima volta che l’aveva vista – piegata sui fiori della serra di suo padre, con la faccia sporca di terra – Gentile aveva sentito che sarebbe stata la compagna dei suoi giorni. Aspettava il loro bambino, e si dava da fare per tenere in ordine la loro casetta umida, costruita a ridosso della pineta. Gentile era felice. Presto, coi guadagni dell’hotel, avrebbe comprato una casa più grande, con un’altalena per suo figlio e tante cose belle per Adele. “Giuseppino mio” diceva lei. “Come siamo fortunati!”
Ma non ci fu nessuna altalena. Per la fretta di vivere, il bambino nacque troppo presto, portandosi via Adele e se stesso. Gentile tornò a casa dall’ospedale con le poche cose di sua moglie avvolte in un fagotto bianco: un vestito a fiori e le sue scarpette piccole. Il giorno dopo si vestì con la solita cura. Prese il pettine di sua moglie, un oggettino d’avorio bianco che era stato il suo unico vanto, e si sistemò i capelli. Non andò a lavoro, e nessuno lo vide per qualche giorno. Pare si fosse imbarcato su un peschereccio di passaggio.
Quando riapparve aveva occhi diversi. Uno sguardo sognante e assorto si era sostituito alla vivace gaiezza sul suo viso di ragazzo. Prese a comportarsi nei modi più strani. Girava di notte, a piedi, per tutta la città, sempre coi soliti vestiti che una volta erano stati eleganti, fermandosi a ballare dentro qualche fontana, cantando per le strade vuote.

Passarono vent’anni. Gentile, con la giacca bucata, si sedeva in mezzo ai ragazzi e raccontava loro del bell’hotel dove un giorno aveva visto attori e dive del cinema. Nessuno gli credeva più, ma tutti gli volevano bene, e facevano a gara per offrirgli da bere. Gentile, ubriaco, rideva e faceva capriole, lui che da giovane beveva solo acqua fresca e carcadè.
Un giorno cominciò ad andare in giro in bicicletta con un secchio e due lunghi bastoni legati insieme da una corda. Si fermava in mezzo al mercato, o nelle piazze dove i bambini si rincorrevano e mangiavano gelati, immergeva la corda nel secchio pieno d’acqua e sapone e faceva grosse bolle, enormi bolle, e chiamava tutti ‘caro’ e ‘cara’. La notte suonava la chitarra, e tutti si domandavano dove avesse imparato. Solo qualche vecchio pescatore ricordava la storia di Giuseppe. Per tutti gli altri era solo Gentile, il matto di Viareggio; un folle di cui nessuno conosceva gli amori e i dolori, svaniti e scomparsi dietro quello sguardo rapito e un po’ ebete, benevolo e assente.
Gentile ogni tanto ci pensava, alla sua vita di prima, e si domandava se non fosse stata un sogno. Non ricordava il suo nome, ma tutti lo chiamavano Gentile, e a lui piaceva. Quando gli capitava di essere triste tirava fuori quel pettinino che aveva sempre in tasca e lo passava sulle tempie ormai rade, con le mani che tremavano un po’. Chissà perché, quel gesto ogni volta lo calmava.

Una sera – il cielo era rosso e l’aria intrisa di sale – mentre camminava sul lungomare con le mani in tasca e la bocca aperta, qualcuno lo chiamò. Era un uomo che pareva vecchio di cent’anni, i capelli bianchi come il latte e un bastone stretto tra le mani a tenere in piedi quel corpo avvizzito e ricurvo. Scendeva le scale di un albergo tanto bello che sembrava quasi una reggia.
“Giuseppe” gli disse. “Sei ancora un principe.”

 

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8 commenti »

  1. Mi è piaciuto come una favola. E’ leggero, non ha né tanta gioia né troppa tristezza. E’ una storia vista da fuori. Una favola, mi verrebbe da ripetere.

  2. Grazie Lidia! Sono molto contenta che ti sia piaciuto 🙂

  3. Brava Elena! Hai narrato una storia delicata, rispettosa… gentile appunto. Mi piace che il tono di tutto il racconto rispecchi il carattere del tuo protagonista. Si sa, nelle cittadine i personaggi un pò bizzarri diventano quasi parte dell’arredo urbano: tutti li conoscono, tutti sanno chi sono, e di conseguenza tutti quasi li ignorano, ma il tuo Gentile non si può che amare… Dimmi esiste ( o è esistito ) davvero questo personaggio?

  4. Grazie mille Patrizia Scialonni! Per rispondere alla tua domanda: Gentile è la somma di tanti diversi personaggi che abitano le strade della mia città. C’è davvero un uomo che ricordo da piccola vestito di tutto punto in ristoranti ed eleganti caffé e che ho incontrato di nuovo, dopo molti anni, completamente trasformato (proprio come Gentile); c’è davvero un uomo che fa le bolle per i bambini; c’è stato davvero qualcuno che ha rubato un pesce congelato e se lo è infilato tra la camicia e i pantaloni. Sono tutti visi che mi hanno sempre ispirato tanta tenerezza e tanto interesse, come se provassero continuamente, con le loro espressioni stralunate e buffe, a dirci qualcosa che non afferriamo quasi mai. Io ho solo provato a farli convergere in una persona sola: ed ecco Gentile!

  5. (Scusami Patrizia, ho scritto male il tuo cognome!)

  6. Elena, ho letto il racconto come se lo stessi leggendo ad un bambino: con un ritmo lento e cadenzato, assaporando le parole che hanno un ché di soffice. Mentre leggevo, ho anche immaginato di leggere una favola a fumetti, questo è quello che ho provato.
    Ti invito a recensire e commentare i racconti in concorso, ci sono tanti che meritano.
    Brava.

  7. Davvero un bel racconto. Non ho parole per descrivere questa storia d’amore. Inizialmente Giuseppe-Gentile non sembra provare un’attrazione fatale per la moglie, un innamoramento folle, sembra solo provare tenerezza per una donna quasi mediocre, con cui mettere su famiglia e condurre un’esistenza piatta. E invece lui che in hotel aveva visto le donne più belle, gli uomini più ricchi, aveva scoltato le storie delle loro vite incredibili, amava alla follia la sua donna normale nella loro casetta normale.

  8. Proprio così, Angelica Mormone. Era un amore partito in sordina ma che poi è esploso, e che in fondo non è più finito. Grazie per aver letto!

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