Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “La lunga notte dei mondiali” di Alessandra Bresciani

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Ci sono i mondiali, stasera. La finale dei mondiali. Tra cinque minuti esatti il fischio d’inizio. Auto in giro ce ne sono poche. La gente è ammassata nei bar e rintanata nelle case, con davanti un maxi schermo e qualche birra.

Guido con calma verso il mio prossimo appuntamento di lavoro. Sono puntuale.

L’anziana signora Frediani è stata l’unica a volermi ricevere in serata, nonostante la partita. Ho quasi cinquant’anni e vendo tessuti per tendaggi e divani. Tessuti anche pregiati, che possono costare quanto nessuno mai immaginerebbe. Perché se è vero che la crisi c’è, ed è palpabile, è vero anche che alcuni, quelli più ricchi, si sono arricchiti ancora di più. E mostrare nelle loro belle ville sul mare, tende fatte su misura in tessuti preziosi, è quasi un obbligo.

Arrivo alla tappezzeria della signora Frediani in perfetto orario, e la trovo seduta alla macchina da cucire, tutta composta e rigida come una dama dell’ottocento.

<<Ciao Sergio! Ma non la guardi la partita, tu?>>, si volta appena verso di me con aria interrogativa.

Scarico i nuovi campionari, non rispondo alla domanda.

<<Signora Frediani, ma quanto lavora? Sono le 20.00 e lei è ancora alla macchina da cucire …>>, le lancio larghi sorrisi, mentre adagio con cura i campionari sul tavolo di legno.

.<<Hai ragione Sergio. Lavoro troppo. Lo vuoi un caffè?>>.

Annuisco e osservo i gesti lenti e attenti dell’anziana donna.

<<Allora, che mi hai portato di nuovo? Di lino cosa c’è di nuovo? E per i divani è tornato di moda il velluto, lo sai, no? Cosa mi fai vedere di velluto?>>.

Sorseggio il caffè e comincio a elencare e mostrare tutti i nuovi tessuti. La signora Frediani tocca e valuta, poi chiede il prezzo al metro e contratta. Lo so fare bene il mio mestiere e cerco sempre di accontentare i clienti per portare a casa più vendite possibili. Sono uno dei migliori della mia zona. E i clienti mi stimano, perché ho una vera predilezione per le nuove tendenze.

<<Insomma Sergio, come mai tu non guardi la partita?>>. La signora Frediani si alza e va verso una mini televisione appoggiata su un mobile, <<dai, vediamo quanto stanno!>>.

<<Non m’interessa il calcio, davvero. Non me ne frega proprio nulla.>>. Comincio a sudare, la camicia mi si appiccica addosso in modo imbarazzante.

<<Forse a te, ma a me importa eccome! Anche se non gioca l’Italia questa é la finale del mondo, è la finale! Alla mia età chissà se ne vedrò altri di mondiali…>>.

La tv trasmette giocatori colorati che si muovono veloci. La voce concitata del cronista mi buca le orecchie. Un fischio. E io sono lì.

Sono a casa di Alberto, insieme agli altri compagni di classe. Urliamo e beviamo vodka, per la finale Italia-Germania. E’ la sera dell’undici luglio 1982. Siamo su di giri e abbiamo sedici anni. Quando il novantesimo minuto arriva e il cronista urla: <<Campioni del mondo! Siamo campioni del mondo!>>, noi corriamo fuori a gridare con tutta l’Italia. Ci baciamo, ci abbracciamo, l’intero paese sembra un tutt’uno. In un attimo sfrecciamo per le strade in motorino, sventolando bandiere tricolori; qualcuno di noi si è dipinto anche la faccia. Strilliamo come matti e suoniamo i motorini, dando il via a un carosello sguaiato insieme ad auto e facce piene di gioia: donne, uomini, ragazzi, bambini, anziani. Tutti sono fuori, per le strade, e battono le mani e cantano. L’Italia.

In un attimo raggiungiamo Piazza Mazzini. Lì, ci sono centinaia di persone che si abbracciano e si passano bottiglie di vino. Alcuni danzano tenendo un grosso registratore portatile sulle spalle. Altri si tuffano nella fontana al centro della Piazza, con i vestiti e tutto.

Noi gettiamo a terra i motorini e ci guardiamo intorno. Poi Alberto riunisce il gruppo e dice:

<<Ragazzi, ho uno spinello, l’ho, abbiamo vinto! Campioni del Mondo! Campioni del mondo!>>.

Lo spinello passa da una mano all’altra. Arriva anche a me che lo aspiro avido una, due, tre volte. Tosso atrocemente, non ho mai fumato niente in vita mia, ma non rinuncio. E’ una serata speciale e io voglio festeggiare come tutti gli altri.

<<Su, beviamo ragazzi!>>. Dagli zaini di stoffa zeppi di scritte, tiriamo fuori quello che è rimasto delle bottiglie in nostro possesso. Un paio di vodke a metà e un fiasco di vino caldo. A turno, ingurgitiamo liquido che non ci piace, ma serve a infiammare le vene e la testa.

<<E ora tutti nella fontana!>>, urla, esaltato, uno del gruppo.

Siamo ubriachi e felici e ci buttiamo nell’acqua sporca, uno dopo l’altro. Ci sono anche delle ragazze più grandi di noi, che si schizzano a vicenda ridendo e urlando. L’acqua bagna loro le magliette, disegnando seni che ci mandano ancora più su di giri. Una di loro rimane in reggiseno e mutandine, poi scappa via insieme alle amiche. In questa notte di luglio tutto sembra possibile, tutti sembriamo fratelli; fratelli d’Italia.

<<Guardate chi c’è!>>. Alberto indica un punto della Piazza e lì intravediamo tre delle nostre compagne di classe. Roberta, Tiziana e Sara appaiono tra la folla con una grossa bandiera tricolore e le magliette blu indosso. Le raggiungiamo subito, inciampando a turno.

<<Ehi! Campioni del mondo! Campioni del mondo!>>. Baciamo tutte e tre sulle guance e le solleviamo per aria.

<<Siete completamente ubriachi… ma guardatevi!>>. E giù risate e commenti.

<<Anche tu Sergio? Guarda come sei ridotto!>>, Sara mi dà un finto pugno sulla spalla, prendendomi in giro. Io mi sento avvampare. Sara è la mia migliore amica, o forse la mia unica amica. Sara è bella ed esile. Io invece sono un po’ sovrappeso, ho gli occhiali e sono timido. Ma non stasera.

<<Ti sta bene la coda ai capelli, sai?>>, le dico in un modo che non avrei mai osato in uno stato di lucidità.

<<Grazie Sergio!>>. E si liscia i capelli legati con un piccolo fiocco azzurro.

Per tutto l’anno ho studiato con Sara, vedendola ogni giorno, gomito a gomito. E ogni giorno e ogni notte ho sognato di baciarla, perché mi piace da matti. Ma per lei sono solo un amico, sono troppo grasso e timido. O almeno credo. Più volte ci siamo detti “Ti voglio bene”. Ma tutto è finito lì. E’ così bella, Sara.

<<Ragazzi andiamo tutti sulla spiaggia! Alberto ha trovato altre bottiglie!>>.  Uno del gruppo ci richiama all’ordine. Invitiamo anche le ragazze, ma non vogliono saperne.

Arrivati a corsa sulla riva del mare, dove sono altre centinaia di persone, beviamo e fumiamo e cantiamo e urliamo. Ci rotoliamo nella sabbia che si appiccica agli abiti umidi, uno di noi vomita, poi beve di nuovo. Io ho la testa che balla, ma non mollo. Voglio essere come gli altri, per una sera. Non mi sento il grasso e timido secchione. Mi sento bello e sveglio e alla moda, come loro. Sono uno di loro.  Poi iniziamo a sfotterci sulle ragazze.

<<Ma poi con quella della terza D cosa ci hai fatto Alberto? Dai, dicci la verità…>>, intona uno del gruppo.

<<Cosa mai ci avrò fatto? Me la sono fatta! E aveva due tette come due cocomeri ragazzi, roba da perdercisi dentro…>>, e giù risate e sgomitate. <<E te Andrea con quella rossa del bar Eden, poi?>>.

Andrea scoppia a ridere fino alle lacrime, poi confessa:

<<Solo “robetta”, per carità! L’ultima volta mi ha morso il collo e mi è rimasto il segno per una settimana. E chi la vuole quella sanguisuga arrapata, è una pazza!>>.

E giù commenti e risate e prese di giro generiche.

<<E tu Sergio con Sara? Non dirmi che per tutto l’anno siete stati chiusi in casa a ripassare Dante…>> .

Alberto mi indica, è il mio turno di essere sfottuto. Tutti ridono.

<<Ma Sergio si sa, è un secchione…>>, uno dice. E ancora risate.

Io resto in silenzio, abbasso la testa. Poi a voce alta:

<<E invece no! Non abbiamo solo ripassato Dante…>>.

E tutti in coro: <<Cosa? Vuoi dire che te la sei fatta? Tu Sergetto il frocetto?>>.

Ma stasera non sono “Sergetto il frocetto”, come usano sfottermi. Sono Sergio e sono come loro.

<<Sì>>, mento. <<Me la sono fatta. E tante volte. E le è pure piaciuto!>>.

Non riesco a credere a quello che ho appena detto. Ma Alberto alza il fiasco al cielo e decreta il mio successo. E allora tutti mi credono. E, quasi quasi, ci credo anch’io.

<<Sergio campione del mondo! Campione del mondo! Sergio uno di noi!>>, e tutti urlano e mi abbracciano.

Sono del gruppo. Sono, finalmente, come loro.

Credo che quelli siano stati i cinque minuti più felici della mia vita. Tutti mi danno pacche sulle spalle, mi passano il vino, poi risate e l’inno d’Italia cantato alla luna. Dopo un paio d’ore le persone sulla spiaggia iniziano a diminuire. Siamo rimasti in pochi a festeggiare la nazionale. Alcuni del gruppo se ne vanno a casa. In lontananza appaiono due ombre che, piano, si fanno sempre più riconoscibili.

<<Ragazzi, guardate!>>. Alberto, ora completamente ubriaco, indica Roberta e Sara. Corriamo verso di loro, ma Roberta ha una faccia tutta preoccupata e regge a stento Sara.

<<Cos’è successo?>>, chiedo preoccupato.

<<Niente, è solo che Sara ha bevuto un paio di birre per festeggiare, ma non c’è abituata e ora non si regge in piedi. Tiziana è andata a casa mezz’ora fa e ora anch’io devo andarci,  altrimenti i miei mi mettono in castigo per tutta l’estate. L’accompagni a casa tu, Sergio?>>.

Alberto risponde per me.

<<Certo Roberta, l’accompagna il buon Sergio, stai tranquilla>>.

Roberta ci saluta e se ne va di corsa. Anche tre del gruppo la seguono, barcollando tra le poche persone rimaste.

Rimaniamo io, Alberto e Sara. La mia Sara, che ha un’espressione a metà tra il sogno e la disperazione. Gli occhi le ruotano. Alberto la prende in braccio. Io mi sento avvampare.

<<Dove la stai portando?>>, urlo al mio compagno.

Alberto cammina rapido tra le cabine dello stabilimento balneare poi, trovandone una aperta, si insinua nell’interno buio e ci adagia Sara.

<<Vieni campione, vieni qua!>>.

Guardo la mia amata che dorme semi svenuta. Il suo corpo è rischiarato solo da qualche raggio di luna che filtra curioso dalla porta. E’ bellissima. Mi sento girare la testa per il troppo alcol e per l’emozione di vederla lì, inerme. Esposta.

<<Fumiamo l’ultimo spinello, dai campione!>>, mi ordina Alberto, mentre armeggia con cartine e fumo.

Sento l’eco della sua voce che ride. Tutto mi rimbomba nel cervello. Sono completamente fatto. Fumo ancora e mi viene da vomitare. Non vedo l’ora di portare a casa Sara e di andare a dormire.

<<E ora, se è vero quello che hai detto prima, ti fai una bella scopata con la tua Sara. Qui, davanti a me. Altrimenti ti sfotterò, e lo giuro, per il resto della mia vita.>>.

Alberto è serio. Non credo a quello che mi sta chiedendo di fare. Vorrei essere morto, invece sono lì.

<<Ma io… su, cosa dici Alberto. Qui davanti a te… E poi Sara sta male, dai ma che dici, scherzi>>, mi sento svenire e ho la tachicardia. Un conato di rancido in gola.

<<Non hai detto che le piaceva essere scopata da te? Che male c’è! Se non lo fai vuol dire che non l’hai mai fatto e che prima hai mentito e ci hai presi per il culo. Ammettilo, così continuerò a sfotterti per sempre, lo giuro. Sei una nullità, secchione di merda! Sergetto il frocetto!>>.

Guardo Sara che dorme. Mi gira tutto.

<<Sergetto il frocetto! Sei finito, nullità! Ammettilo che hai mentito, ammettilo!>>.

Ma io non lo ammetto. Non posso ammettere di essere una nullità né di aver mentito. Io voglio essere come loro. Sono come loro. Almeno stasera, la notte in cui siamo campioni del mondo. E qualcosa mi scatta dentro. Una molla maledetta cui non riuscirò mai a dare un nome. Mi butto sul corpo inerme della mia amata Sara e spero solo che lei non si svegli. E annaspo con la sua gonna e con i miei jeans e mi tolgo la maglietta e cerco di tappare i suoi occhi belli, per non farla assistere a quell’orrore. E lei si sveglia e grida e cerca di divincolarsi dalla mia presa. Ma io sono grasso e la prendo di forza, con una furia cieca che non mi appartiene, ma che è dentro di me. Nemmeno so come muovermi o cosa fare. Ma lo faccio. E Alberto da fuori incita e urla e fuma. In quel momento non so più chi sono. L’alcol, il fumo, l’adrenalina: io non sono io. Quando tutto è finito sbatto la porta della cabina e scappo via insieme ad Alberto, lasciando la mia amica e amata che piange e si dispera al buio di uno stabilimento balneare. Tra le dita mi rimane un fiocco azzurro, quello con cui Sara aveva legato i suoi bei capelli. Ho sperato, piangendo, che almeno non mi avesse riconosciuto, complici il buio, lo stato in cui era, e la maglia sugli occhi che le avevo messo. Poi ho scoperto di aver perso i miei occhiali in quella cabina maledetta. I miei occhiali, quelli con la montatura blu e rossa che piacevano tanto a Sara e che io odiavo. La sera dei mondiali è stata l’ultima volta che l’ho vista in vita mia, perché a scuola, Sara, non c’è mai tornata. Per tutta l’estate si chiuse in casa e a inizio settembre si trasferì con la famiglia in un’altra città. Nessuno venne mai a sapere niente. Da quella notte io entrai a far parte del gruppo alla moda della scuola e, in quell’esatto momento, uscii per sempre da me stesso. Il mio cuore si è fermato in quella cabina e l’amore è rimasto sepolto lì. Un amore violentato. Il mio corpo, invece, è cresciuto e ha conosciuto altre donne. Ma io non mi sono innamorato mai più, di nessuna. Non lo merito. E sono rimasto da solo, incapace di perdonarmi per quello che fui capace di fare la notte dell’11 luglio 1982.

<<Sergio, va un po’ meglio?>>, la signora Frediani mi sventola la faccia con un ventaglio e mi porge acqua e zucchero. Mi ha slacciato i primi bottoni della camicia. Non capisco.

<<Guardami, stai meglio?>>, gli occhi anziani e preoccupati della donna mi riportano alla realtà. Sento la voce di un cronista che commenta la partita, ma non è quella dell’82. Questi sono i mondiali del 2014.

Scuoto la testa, mi cadono gocce dagli occhi.

<<Su, su. E’ questo caldo, vero? Ti è preso un calo di pressione… è tutto stress, povero ragazzo. Lavori troppo…>>. E continua a sventolarmi il viso, con premura e dolcezza.

Un fischio lungo e ripetuto dalla tv. La signora mi porge di nuovo acqua fresca e zucchero, poi dice:

<<Sono finiti anche i mondiali, guarda. Che peccato>>.

Io sospiro.

<<Che peccato>>, aggiungo. <<Che imperdonabile e maledetto peccato>>.

 

 

 

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