Premio Racconti nella Rete 2016 “Lo scherno dello schermo” di Roberto Masini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016“Caesar non supra grammaticos”
(Svetonio, De grammaticis)
Lo scherno dello schermo
Era stato licenziato. Era un DJ di cinquant’anni ed era stato licenziato. Lui che, nel 1977, aveva fondato RCA, Radio Cometa Alessandria. Lui che aveva sbaragliato la concorrenza locale con il suo programma di dediche “ A colpi di disco”, ininterrottamente in onda per dieci anni consecutivi, dal 1980 al 1990. Lui che si era riciclato negli anni novanta con il seguitissimo programma notturno chiamato “Buonanotte, se potete!” durante il quale giovani scrittori piemontesi leggevano i loro brevi racconti del terrore. Aveva fatto anche il radiogiornale, il programma di liscio, gli speciali della musica heavy metal, il mattutino e gli incontri settimanali con i radioascoltatori. Era passato del tempo. Non era più il socio di maggioranza. Non era più il socio. Gli avevano chiesto di mettersi da parte come Garibaldi a Teano, e ora finalmente i nuovi proprietari l’avevano licenziato per – com’è che avevano detto? – “incompatibilità ambientale con le nuove politiche di rilancio determinate dai nuovi assetti societari”.
Tornò a casa, nel quartiere Cittadella, dove viveva da quando era nato. Non lo aspettava nessuno; non la moglie che l’aveva lasciato fin da quando aveva cominciato a perdere al gioco ed era stato costretto a vendere la sua quota societaria nella radio; non le figlie che lo odiavano e avevano seguito la madre; non i genitori che erano morti ormai da dieci anni; non il fratello che lavorava in Australia come insegnante d’italiano dal 1970. Anche lui si era laureato in lettere classiche all’Università degli Studi di Milano con una tesi in Storia delle Religioni dal titolo: “L’amore tra le nuvole. Alcuni aspetti teriomorfici nel mito di Issione”. Ma non era diventato un professore: la sconvolgente passione per la radio aveva riempito la sua vita. Ora non gli era rimasto più nessuno, nessuno gli avrebbe offerto un lavoro, men che meno in una radio libera ed era disperato.
In mutande e canottiera aveva aperto una lattina di birra e si stava mangiucchiando patatine fritte di Mc Donald’s. Una montagna di piatti da lavare lo aspettava in cucina ma lui in quel momento preferiva stare in salotto davanti alla tv. Il canale di Tele Alessandria Libera stava trasmettendo l’editoriale del direttore del telegiornale locale. Era proprio lui, Cesare Testina, il suo compagno di scuola, la persona più ignorante che avesse mai conosciuto.
“Vorrei che sia chiaro” diceva il giornalista.
“Vorrei che FOSSE chiaro, che FOSSE chiaro” gridava il DJ.
“…che, se avessi dovuto andare” continuava Testina.
“Se FOSSI, se FOSSI dovuto andare” singhiozzava.
“Penso che avete…” perseverava Cesare.
“Neanche un congiuntivo… uno, almeno uno!” gemeva.
“… sebbene che la deontologia professionale per me è sempre stata un faro…”.
Spense il telecomando mentre gli andavano di traverso alcune patatine.
“Pronuncia facilmente la parola “deontologia” ma dice sebbene CHE, sebbene CHE!”
Com’era possibile che un cane siffatto avesse potuto fare carriera in una TV libera, diventando il direttore del telegiornale, nonostante quegli enormi strafalcioni. Non proveniva da una famiglia ricca ma aveva sempre cercato con tutti i mezzi, ed evidentemente ottenuto, l’appoggio dei potenti, vuoi che fossero politici o industriali. Prono nei loro confronti, mellifluo e falso con i deboli, era riuscito a farsi benvolere da tutti.
Riaccese il televisore ma tolse l’audio; lo schermo inquadrava Testina in primo piano che conduceva un notiziario che sarebbe stato sicuramente pieno zeppo di errori. Alzò nuovamente l’audio ma fu sconvolto da uno tsunami grammaticale d’inusitata violenza: in rapida sequenza lo sentì dire: più peggiore, anodìno e misogìno. Rispense il televisore e si accese una sigaretta. Era in preda all’ira; avrebbe voluto spaccare ogni cosa. Lui aveva perso il lavoro, la famiglia, il prestigio; non gli rimaneva più niente e invece quel mentecatto era diventato addirittura direttore di un telegiornale, pur facendo quotidianamente scempio della lingua italiana. Quella situazione gli ricordava le parole che suo padre amava dire: “E’ una cosa schifosa la fortuna: la sua falsa rassomiglianza con il merito inganna spesso gli occhi degli uomini!”
Dopo quello che gli era successo quel giorno, dopo che tutto quello in cui credeva era svanito e tutto gli era crollato addosso, aveva deciso di togliersi la vita.
Ma prima avrebbe fatto il beau geste: avrebbe liberato la città da quel serial killer della sintassi. Non doveva neppure pianificare l’assassinio: si sarebbe fatto arrestare e si sarebbe impiccato in carcere oppure si sarebbe fatto subito ammazzare dalle forze dell’ordine. Non aveva ancora deciso.
Ripensò invece all’arma adatta allo scopo che, secondo lui avrebbe dovuto essere simbolica. Dopo varie elucubrazioni mentali decise che l’avrebbe fatto fuori colpendolo con un dizionario. Era la giusta nemesi per uno così.
Era una notte di maggio, incantevole e stellata, una di quelle notti che sembrano liberarci dagli affanni quotidiani per spingerci tra le braccia della natura per contemplarne la bellezza. Non era così per il nostro DJ che, con il dizionario sotto il braccio, si appropinquò alla sede di Tele Alessandria Libera. Era mezzanotte e sicuramente avrebbe incontrato il suo odiato compagno di scuola che finiva di trasmettere il notiziario delle undici e trenta. Non suonò: il portone era aperto; salì le scale, non incontrò nessuno; entro negli studi.
Era tutto buio e, per un istante pensò che quello non fosse il giorno giusto e che avrebbe dovuto fare un altro tentativo. Ma una fioca luce che filtrava da una porta chiusa gli fece capire che qualcuno era ancora lì e poteva essere il suo uomo.
Giunto vicino alla porta, capì che era lui perché sentiva la sua voce: evidentemente stava registrando un servizio. Fu colto da un momento di resipiscenza. Chi era lui per aver il diritto di togliere la vita a qualcuno anche se idiota, per essere il depositario legittimo della soluzione eugenetica per i giornalisti tv? Forse sarebbe dovuto tornare indietro, lasciandosi alle spalle la sua missione purificatrice e concentrarsi sul suo futuro che poteva forse essere tutto nelle sue mani. Mentre, titubante, stava tornando sui suoi passi, successe l’irreparabile: sentì distintamente Cesare Testina che diceva: ” Se avrei la certezza…”. Non gli riuscì di finire la frase: una furia scatenata penetrò nella stanza con tale impeto che il giornalista non fece neppure in tempo a riconoscere il suo aggressore. Il dizionario Devoto-Oli si abbatté ripetutamente sul suo cranio pelato fino a fracassarlo. Imbrattato di sangue, aspettò l’arrivo della polizia ma dopo un po’ decise di abbandonare gli studi della TV locale. Era notte fonda in città e non c’era nessuno per le strade. Si fece coraggio; salì in macchina con il suo dizionario inzuppato di sangue e ritornò a casa. Bruciò i vestiti e il dizionario; lavò completamente la sua auto. Il giorno dopo si risvegliò stranamente rinfrancato: i suoi propositi suicidi erano svaniti. Non l’aveva visto nessuno; aveva avuto anche lui forse quella fortuna che invece aveva sempre attribuito agli altri. Non era più molto d’accordo con la frase di suo padre sulla schifosità della fortuna
E allora valeva la pena di vivere almeno ancora un altro giorno.
Mentre acquistava una treccia dal suo panettiere vicino al liceo scientifico, sentì di sfuggita il discorso di due studenti che erano entrati per acquistare della focaccia.
“Me l’avevano detto che era una bestia, ma così…!”.
“Ti assicuro: è la verità; quel deficiente del professor Galli stamattina ha detto callifùgo e salciccia!”
All’uscita dal liceo il DJ lo seguì con l’auto: aveva trovato la sua missione, meritoria per tutta la società e per la quale valeva la pena di continuare a vivere. Accanto al sedile l’ultima edizione del dizionario Garzanti.
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Simpatico, non incute paura, come forse dovrebbe il racconto di un serial killer, ma si lascia leggere e ha un suo ritmo. L’inizio è un pelo macchinoso, ci lavorerei su. Il finale spiazza e, se questo era il tuo intento, ci sei riuscito.
Ahahah, un “grammatico assassino seriale”, originale! Mi dispiace per la fine del Devoto-Oli veramente, ma ci hai pensato tu ad arricchire il racconto, con vocaboli della nostra bella lingua italiana.
Complimenti!
Ecco, questo è proprio il genere di racconto che uno non si aspetta! Singolare, bizzarro, pieno di personalità… Insomma mi è proprio piaciuto!
Ganzissimo! Non mi prendere a dizionarate eh