Premio Racconti nella Rete 2016 “Il piacevole rito domenicale” di Giulia Viganò
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Come ogni domenica, Claudio si era alzato di buon’ora. Si era preparato una tazza di caffè latte, pane tostato e marmellata di more; poi era andato in sala da pranzo. Lì si sarebbe gustato la sua colazione con tutta calma, davanti a un libro: quello era il suo piacevole rito domenicale. Stava leggendo una storiella piuttosto divertente quando aveva alzato gli occhi, e all’improvviso si era accorto di quanto fosse bianca, troppo bianca, la parete davanti a sé. Viveva in quella casa da tempo immemore – era strano che l’avesse notata solo adesso, che era domenica e voleva leggere il suo libro. Eppure non riusciva a staccare gli occhi da quell’angolo così fastidiosamente vuoto. “Finirà per rovinarmi la giornata” pensò “Bisogna fare qualcosa; comprare un quadro, una stampa, un poster”.
Si ricordò della bancarella di quadri di cui gli aveva parlato sua sorella. Era da anni che non andava al mercato. Quando era bambino, sua madre lo portava sempre con sé – a quei tempi era di sabato, non la domenica. Si ricordava ancora di come gli teneva la mano stretta, quasi da fargli male, con quelle dita ossute e spigolose, perché era un attimo perdersi tra la folla e le cianfrusaglie. La mamma andava a passo spedito e sicuro. Quattro figli e un marito operaio: non c’erano né soldi né tempo da perdere. A Claudio piaceva guardare quell’ammasso di cose – specchi, metalli, gioielli di rame, piume d’uccelli, borsette e vecchi bauli – disposte in un ordine tutto loro che non riusciva a decifrare. Poi aveva cominciato ad andare a scuola di sabato, e la mamma aveva iniziato a portarsi appresso sua sorella.
Era una giornata mite, già primaverile. “Il cappotto leggero sarebbe bastato”, aveva pensato tra sé e sé. A metà scale era invece tornato indietro a prendere la sciarpa, perché si sa che il tempo gioca sempre strani scherzi, soprattutto a primavera. Sua sorella gli aveva spiegato per filo e per segno come arrivare alla bancarella di Mario. Doveva svoltare alla prima a sinistra, continuare dritto, e poi girare a destra, subito dopo le panchine dove si sedevano quei vecchi ormai stanchi anche di parlare. Non poteva sbagliarsi – in fondo alla via c’erano tre sole bancarelle che restavano un poco defilate dal caos della piazza principale. In quella ad angolo avrebbe trovato Mario, con tutte le sue stampe, quadri e fotografie.
A quell’ora c’era ancora poca gente in giro; avrebbe potuto scegliere la sua stampa senza nessuno intorno, e tornarsene velocemente a casa. La bancarella di Mario era vuota, e lui se ne stava seduto su una vecchia sedia in legno scuro, di quelle pieghevoli, in mezzo alla strada. Claudio si era avvicinato e aveva preso a sfogliare i dipinti, uno per uno, soffermandosi su quelli dalle tinte più leggere, che sarebbero andati a nozze con i colori pastello delle tende di casa.
“Sta cercando qualcosa in particolare?” gli aveva chiesto Mario, dalla sua postazione.
“Si. Cioè, no, nulla in particolare. Solo un bel quadro per la mia sala.”
“Ma che immagine cercava?”
“Glie l’ho detto, nulla in particolare. Ho ancora le idee confuse. Stavo ora guardando queste immagini di tramonti…”
Mario gli consigliò di dare un occhio anche alle fotografie in bianco e nero, ce n’erano alcune davvero suggestive. Poi tornò a guardarsi intorno silenzioso.
Claudio continuò la sua ricerca, e prese a sfogliare la pila di fotografie che Mario aveva indicato. Si perse in quelle immagini di un passato sbiadito: numerose famiglie in spiaggia, secchielli e costumi a righe; vecchi borghi abbandonati; mondine con cappelli di paglia nelle risaie; e soldati in trincea, sigaretta tra le labbra. Claudio le osservava una per una, con cura, cercando di immaginarle appese in sala. Ma queste figure tanto intense, sarebbero poi state bene con i mobili? O forse avrebbero appesantito e basta? Pensava e sfogliava, sfogliava e pensava, ed era arrivato ai ritratti: donne dai volti raffinati e sguardi intensi, bambini dall’aria monella, con le ginocchia sbucciate, i sorrisi sfrontati di certe ragazze. La pila di immagini sembrava non finire mai. Claudio iniziava a confondersi, tratti e colori che si sovrapponevano l’uno all’altro – ma questa donna non l’ho appena vista? – mescolati a ricordi, voci, e paesaggi, reali o solo sognati. Ci si era pure messa la signora della bancarella a fianco, lei che vendeva soprammobili troppo ingombranti e polverosi, a dirgli che le stampe più belle erano quelle nel mucchio alla sua sinistra.
Claudio avrebbe voluto sfogliare pure quelle, e quelle altre ancora, aveva intravisto uno scatolone sotto il banco, pieno zeppo di vecchie locandine cinematografiche. All’ennesima fotografia di un orizzonte esotico – eppure mi sembra così famigliare – Claudio si accorse che il mercato si stava affollando. Voleva tornare a casa. Borbottò qualcosa a Mario, veloce, disse che sarebbe ripassato con sua moglie – “sa com’è, sono sempre le donne a avere l’ultima parola”.
E così, a mani vuote, tornò a casa, vuota come l’aveva lasciata. Di quel muro bianco non ne fece mai niente. Si limitò a girare la sedia di un poco, così da poter fare le sue belle colazioni senza che quella parete così fastidiosamente bianca gli rovinasse il piacevole rituale domenicale. Cominciò a crescere un poco di muffa; lui, di spalle, continuava a leggere beato.
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Leggere aguzza la mente ma danneggia la vista? o è tutto molto più profondo come traspare in questo racconto.
Roberto, per rispondere alla tua domanda, direi no, dietro il mio racconto c’è altro. Ti ringrazio del commento!
Bello il tema del muro bianco su cui ruota tutta la storia. Personalmente interpreto il muro della storia come la metafora della solitudine di quest’uomo. Esso cerca si mente ( Lì si sarebbe gustato la sua colazione con tutta calma, davanti a un libro:) e conduce una vita da falso felice. Ma ogni tanto qualcosa lo disturba e gli mostra la propria infelicità e solitudine.
Egli prova a risolvere il problema del muro -solitudine, ma in realtà non lo risolve anche perchè non ci prova veramente.
Trovo ottimo il finale in cui , sempre secondo la mia personale interpretazione, l’uomo volta le spalle al muro-solitudine continua la farsa della sua falsa felicità
Bella la frase —Quattro figli e un marito operaio: non c’erano né soldi né tempo da perdere–
Consiglio al solo fine di miglioramento, trovo che a volte l’utilizzo del gerundio rende il racconto un po’ più snello nella lettura esempio :- Stava leggendo una storiella piuttosto divertente quando ( scriverei alzando gli occhi al cielo ) aveva alzato gli occhi, e all’improvviso si era accorto di quanto fosse bianca, troppo bianca, la parete davanti a sé.
ma è questione di gusto.
Brava, spero di leggere altri tuoi racconti
La parete bianca, potrebbe essere metafora del senso di vuoto, cioè di qualcosa che manca, senza sapere effettivamente cosa, per poi scoprire di non avere bisogno di nulla. Un giro di parole per descriverti ciò che ha suscitato in me il tuo racconto. Riflessione!
Grazie Alessandro del commento (una lettura davvero attenta) e del consiglio.
E grazie anche a te, Barbara, per la tua riflessione.
Io invece trovo che il gerundio vada usato con parsimonia. È un modo un po’ fuori moda e alla lunga diventa pesante. Piuttosto eviterei di infilarmi in situazioni che lo potrebbero richiedere. Per esempio, la frase già citata da Alessandro potrebbe essere: ” Era immerso nella lettura di una storiella piuttosto divertente quando, alzati gli occhi, all’improvviso si era accorto di quanto fosse bianca, troppo bianca, la parete davanti a sé.”. Questo secondo i miei gusti s’intende.
È un racconto che ha dei numeri, ma sono troppo sottintesi. Per come la vedo io, la lettura deve arrivare al massimo numero di persone e il messaggio deve giungere chiaro. Questo in un racconto. Se stiamo parlando della pagina di un romanzo, ci sta anche che sia meno esplicito. Perché in un romanzo, l’autore avrà la possibilità di fare cogliere, con molti passaggi, in diversi capitoli, la psicologia del personaggio che affiorerà pian piano da situazioni come questa.
Quindi, a parte qualche uso della punteggiatura non di mio gusto, quello che mi sento di rilevare è che il racconto andava sviluppato un po’ di più, così sembra superficiale, senza che in realtà lo sia. Il racconto è difficile: deve cogliere il bersaglio con poche, mirate, parole. Per il resto ti invidio il personaggio di Claudio: vero, vivo, profondo.
Costantino,capisco bene quello di cui parli. Personalmente mi piace lasciare sottintesi – anche da lettrice, i racconti che preferisco sono proprio quelli meno espliciti, più aperti. Ovviamente, questo non è che il mio modo di vedere la faccenda. Grazie dei suggerimenti.
Ho trovato il tuo racconto decisamente interessante perché, rileggendolo più volte, apre spiragli sempre nuovi di strane suggestioni. Per esempio ci sono alcuni passaggi che quasi inquietano ( perché gli sembra di aver visto la donna nel quadro? e la familiarità con l’orizzonte esotico? e questa moglie che non si fa mai vedere esiste davvero?) e poi alcune scene descritte sono quasi surreali ( si può leggere tranquillamente nel proprio salotto con alle spalle una parete che sta ammuffendo?). Mi piace molto quello che hai scritto proprio per questa sottile velatura metafisica che ci ho trovato ( che poi magari non c’è nemmeno…chissà). Complimenti.
Grazie Patrizia, bello leggere il tuo commento.
Bel racconto, breve, forse un po’ troppo, surreale, quasi un quadro appunto. Complimenti! Passa a leggere il mio racconto se ti va 🙂
Certo Stefania, lo leggo volentieri! Grazie.
Palpabile questo bello scorcio introspettivo. Asciutto e denso. Mi è piaciuto molto.
Grazie mille Marzia.
Il bianco è il colore della purezza, ma anche il colore del foglio prima di essere scritto, o della vita senza esperienze. Il muro che infastidisce Claudio col suo lucore credo sia simbolico, quindi parla al suo inconscio. Che alla fine il protagonista lasci crescere la muffa sul muro è un altro simbolo, forse di incuria e di abbandono? O di resa? Domande a parte, il racconto mi è piaciuto anche per le tante interpretazioni possibili e per lo stile piano, che è come un velo sulla realtà. Complimenti! p.s. il bianco è anche il colore dei coralli morti…forse anche questo è significativo
Non avevo pensato allo sbiancamento dei coralli. Interessante, calzante. Grazie Matteo!