Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Il Ringo di Savater” di Andrea Sciadini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

 

                                                                        PREFAZIONE

L’importanza della trattazione argomentativa di questo scritto forse passerà subito in secondo piano non appena i tuoi occhi avranno posato lo sguardo, e la tua mente focalizzato l’attenzione, sull’ambiguo titolo, che necessita di una spiegazione. Come il noto biscotto, conosciuto per il suo doppio gusto e per il suo strato cremoso che amalgama le due parti, anche Savater ha il suo Ringo, anzi, è un Ringo.Con la paura che piano piano sale, non sapendo cosa potrebbe dire riguardo questa affermazione, la volontà di questo credo di affermarsi è sempre più grande. Il filosofo spagnolo infatti, nasce da una dicotomia ,da un dissidio che prende in considerazione diversi aspetti della vita, della società e della politica, i quali agli occhi di tutti potrebbero risultare divergenti, rette parallele che percorrono uno stesso piano ma in direzione diversa, non incontrandosi  mai. Lo scrittore invece sa rendere omogeneo, attraverso un composto di sua creazione, i concetti discordanti che rappresentano il bianco e il nero, il bene e il male. Sa con certezza che non si può apprezzare l’uno senza confrontarsi con l’altro. Il caos sensoriale e argomentativo, il dubbio, lo smarrimento è dato proprio da quel composto, che senza, i due biscotti alla vaniglia e al cacao non sarebbero uniti, e perderebbero di gusto.

I

Nascita

Non esiste nulla. Il vuoto più totale. Rimani solo tu e il tuo Io, pronti a darvi battaglia per la conquista del controllo corporale, entrambi sentite un ronzio fastidioso provenire da fuori, un caos sensoriale vi travolge, lasciandovi senza fiato. Lampi improvvisi vi accecano, perdi la tua parte, ti senti piccolo, troppo piccolo. Di colpo una luce, un bagliore più forte di tutti, ti fa vedere per la prima volta, non col cuore ma con gli occhi; è già qualcosa, un inizio promettente. Fasci di colori corrompono la tua vista, prima di adesso immacolata, immagini frastagliate ti si presentano meschine e accattivanti. Sei solo, svegliati, vai avanti.Apri quel libro, scorri le pagine, buttati, sei pronto per la caduta libera verso il mondo ?Forse è così che Savater desidera che affrontassimo il suo Ringo, come un nascituro che scopre il mondo per la prima volta, che inizia a guardare, scrutare  l’orizzonte immerso tra le righe.

Lasciarsi indietro tutto e portarsi con se nulla. Il biscotto bianco viene presentato subito, la realtà è come ci appare: pulita, conforme, omogenea. È quello che vedi quando vai al lavoro, quando fai la spesa, quando leggi il giornale.

Il reale si ferma lì, statico e perfetto, perché farsi delle domande ?

                                                                          II

                                                    L’algoritmo della società

Dopo aver provato quel gusto così soddisfacente e chiaro perché sentire il bisogno di andare oltre ? Eppure la mancanza di qualcosa inizia a farsi sentire, si fa largo tra la sicurezza e il controllo della società.

Non esisteva infatti un altro strato, molto più consistente e invitante?

Così facendo, lo scrittore ci apre una visione più ampia della società: perché ? Essere affamati di domande è l’unica via d’uscita da un caos primordiale, privo di sicurezze. La società è e sarà, il primo e unico ostacolo verso la conoscenza, che è la naturale spinta vitalistica dell’uomo. Rifacendomi al pensiero del filosofo svizzero Rousseau, convinto sostenitore dello stato di natura, che è la dimensione sociale più pura dell’uomo, e della sua perdita causata da una progressione evolutiva inefficiente su piano idealistico, la società attua un processo di alienazione sul soggetto, rendendolo estraneo, e perdendo la suddetta dimensione. La soluzione appare quasi chiara, tornare indietro infatti, ci farebbe capire quanto ci siamo allontanati dal nostro stato di partenza, e quanto noi non facciamo nulla per il corretto funzionamento dell’organismo che seppur corrotto dall’avidità ci mantiene in vita e che noi chiamiamo società. Bisogna essere sociali, avere spirito critico, capace di spodestare le verità assolute. La difficoltà più grande sta proprio qui: come fare a criticare idee e convinzioni credute ciecamente a cui anche tu hai potuto constatare la loro limpida precisione?

Prova a pensare qualcosa di diverso, fuori dagli schemi, è impossibile vero? gli schemi, quegli stessi schemi che si ampliano e si modificano ad una velocità impressionante, e stargli dietro diventa praticamente un’impresa. Convinti seguaci di verità ufficiali, e tutti gli appartenenti a ciascuna categoria sono straconvinti di possedere e soprattutto di esercitare il proprio spirito critico. L’algoritmo della società sfrutta questa nostra fallace convinzione e promuove e ci consiglia contenuti vicini alle tematiche dei nostri pensieri e tutti di fatto veniamo incentivati a cementificare le nostre fissazioni. Da qui alla morte definitiva dello spirito critico il passo è breve.

Come se ne esce? Provando a cambiare punto di vista sulle cose.
Solitamente chi lo fa lascia per un attimo il suo credo, per poi riprenderlo subito dopo, guardandosi intorno per paura che qualcuno abbia visto quel suo credo andar via, abbandonarlo. Sfortunatamente esercitare il proprio spirito critico vuol dire cercare di essere prima di tutto critici con le proprie convinzioni. Nella storia è sempre stato difficile mettere in discussione le proprie idee ma nel mondo di oggi è assai semplice, il via vai di micro idee o fast-food, usa e getta è talmente amplio e articolato che perdersi risulta irrimediabilmente ironico e allettante.

                                                                             III

                                                                   Ripeti com me

Quanti sogni, quante frasi, sparse in un connubio di elegante ingenuità e raccapricciante follia, ti porgono la mano, offrendoti un mondo migliore. Molti, compreso me, (diciamoci la verità: tutti), hanno provato questa sensazione di semplicità e leggerezza, che alimentavano piano il nostro spirito narcisistico, che acutamente manifestava e sbandierava questo mondo come se fosse solo nostro. La teoria della caduta dell’eroe presenta sempre uno spettacolo a cui assistere è indispensabile. Quante volte infatti, per una persona che cambiava idea, che spargeva parole come se fosse sale sulla strada innevata per curare questa staticità mentale, il mondo si inchinava a lui, gli estremisti lo criticavano e i ruffiani e ipocriti lo idolatravano. Fa sempre un certo effetto cambiare, per di più il modo di pensare; ma quanto peso bisogna dargli realmente? Da ciò voltiamo pagina, proviamo a porci una domanda che capita ora spontaneamente: siamo liberi? La Storia del mondo, ma anche quella che viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni, se qualcosa ci insegna è che la parte migliore di un’esistenza la passiamo quando rincorriamo degli obiettivi che sono di fondamentale importanza per l’esistenza stessa. Ciò vale anche per le cose più futili, una semplice azione corrisponde ad una reazione, e il nostro inconscio ci dice che è la libertà a guidarci. Mentre lottiamo per questi obiettivi ci sentiamo vivi e ciò che ci spinge in quei momenti, in quei periodi, è la ricerca dell’assenza di vincoli legati a norme o leggi. E questa vitalità che proviamo dentro di noi non è altro che un senso profondo di Libertà. Una Libertà positiva, che dà un senso alle nostre azioni e alla nostra vita. Ma quando l’obiettivo viene raggiunto, cosa succede? Ce lo godiamo forse per un po’, ma poi accade che il nostro corpo, ingordo contenitore di sensazioni e obiettivi, incomincia a digiunare; quel senso di vuoto pervade l’animo : la meta raggiunta non ci soddisfa più. Così accade che l’asticella viene spostata sempre più in alto, la nostra voglia insaziante di ricevere stimoli sempre più grandi inizia ad occupare le nostre giornate. Avviene quindi un processo di anti-libertà, la natura umana per quanto complicata possa essere, ha bisogno di un’unica batteria: il continuo bisogno. Assaporare idee e pensieri, seppur banali, risulta l’unico stimolo per considerare la vita viva. La libertà quindi è una conseguenza del bisogno. Perché quindi cercare costantemente la libertà? perché opporsi al controllo? Avremo sempre bisogno di un bisogno, che ci tenga incollati ad un dilemma, che ci faccia risolvere un problema, un dibattito. Tutto si riduce ad una semplice operazione matematica. L’algoritmo della società funziona anche qui, non credere che non funzioni, non credere che si manifesti all’improvviso per annientarci moralmente quando meno ce l’aspettiamo. Ne siamo sempre sotto il suo potere, il suo controllo, o meglio non controllo sulla libertà. Imprime infatti a questo concetto, una talmente elevata potenza vitalistica che evitare risulta quasi disumano. Vai a scuola, trova un lavoro, sposati, vai a votare, dubita, sbaglia, vinci, perdi, conformati, nega, urla,  ora ripeti con me “io sono libero”.   

                                                                            IV

                                                                Fine dei giochi             

Se sei rimasto a leggere e sei arrivato fin qui vuol dire che in fondo sai che tutto ha una fine, un punto di non ritorno. Vogliamo giocare a fare la guerra?

Immaginiamoci questa frase, innocente in cuor suo, detta dai due più grandi capi di stato del mondo. I giornali di tutto il globo terracqueo ne riportano la notizia, creando un sottile strato di ilarità. Purtroppo la dura realtà è che è così, questa frase è vera, quanto me e te.  Giochi irrinunciabili di bambini capricciosi che si contendono strati di terra, e al di sotto di essa bambini ancora più piccoli, che se ne avessero la possibilità giocherebbero volentieri lontano da loro. Eppure la convivenza nel parco giochi richiede la partecipazione di tutti, ognuno deve collaborare alla salvaguardia della stabilità, e poco male se qualcuno si sporcherà di fango nel farlo. Episodi così capitano tutti i giorni in giro per il mondo. E se si potesse fermare? Darci un taglio con queste battaglie crudeli e inutili? La domanda ovviamente è retorica, certo che non si può, tutto si riduce ad uno scontro, che può essere fatto di parole come di armi. E quindi iniziamola questa guerra: decine di bambini sporchi nel fango, alcuni si ritirano prima del previsto, chi perché deve tornare a casa per cena, o chi perché si è fatto male.

                                                                                      V

                                                                         CONCLUSIONI

                                                                         Panta rei, o quasi

Seppur questo mondo fatto di Ringo, offra solo una società propagandistica, opportunista, dispotica e tirannica, una libertà fatta di illusioni e di sogni, manipolatrice e meschina, e una guerra empia e insensata, questo stesso mondo non ha fatto i conti con il cambiamento, impercettibile sublime cambiamento, muta il cosmo in un battito di ciglia, elude prove scientifiche, leggi giudiziarie, credi e fedi, incurabile e incolpabile cambiamento. I Ringo esistenti non possono rimanere tali per sempre. Eppure le foglie cadono costantemente in autunno, in inverno appaiono i primi fiocchi di neve, e la primavera li scioglie, aprendo le porte al sole che scalda e fa sentire al sicuro. E allora cos’è che cambia: siamo noi, la società, la politica, l’economia, il mondo? Forse è l’apparenza che cambia, ma la sostanza rimane la stessa. Non era infatti vero che non si può discendere due volte lo stesso fiume, poiché l’acqua dello stesso è in continuo cambiamento? D’altro canto però, il fiume in se, è sempre uguale, anche se l’acqua cambia. C’è una canzone che forse esprime al meglio il concetto qui presentato, uso il forse perché una canzone non può fondare verità, non può legarsi all’algoritmo della società, alla caduta dell’eroe, alla libertà o alla guerra, ma può far sperare: The time they are a-Changin’, Bob Dylan.

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