Premio Racconti nella Rete 2016 “Mi dica dottore…” di Patrizia Scialoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016La donna entra nel mio studio come una ventata improvvisa, con una profusione di scuse per il suo ritardo, in uno sventolio di foulard colorati e capelli arruffati. Si scusa e nello stesso tempo si toglie l’impermeabile, e nello stesso tempo sposta la sedia, e nello stesso tempo cerca il posto dove poter appoggiare la borsa.
” Prego, si accomodi” le dico con calma facendo apparire il mio più cordiale sorriso che si stampa sul mio faccione tondo per rimanerci tutto il tempo necessario. Mi sono allenato anni per farlo rimanere lì inalterato, rassicurante, inoffensivo.
” Grazie..” Lei finalmente finisce di fare tutto quello che deve fare e riesce quasi a mettersi a sedere, perchè all’improvviso scatta in piedi gettandosi sulla borsa.
” Oh, scusi, non ho spento il cellulare…” e annaspa, rufola, sembra quasi che stia cercando un rifugio in quella enorme borsa nera.
” Ha paura…” penso ” Non è pronta…”
Lei cerca ancora un pò nella borsa, forse trova il cellulare, forse lo spenge, di sicuro se ne esce con una sonora soffiata di naso in un fazzolettino che le è capitato in mano.
” Sta rimandando” mi dico, mentre per lasciarle un attimo di privacy controllo qualcosa da qualche parte su qualche foglio, facendo finta di non guardarla, ma tenendola sempre sott’occhio.
L’inizio è sempre difficile, lo so, ma il discorso è ben rodato, il sorriso reggerà fino alla fine e ad un certo punto cerco anche di empatizzare con loro, dopodichè li abbandono… Li devo abbandonare…
Un piccolo movimento, un leggero abbassamento delle spalle, un impercettibile segno di resa, mi fanno capire che il momento si sta avvicinando. Ancora qualche secondo per ripiegare minuziosamente il fazzolettino che era già appallottolato e buttarlo nella borsa. Poi inspirando ampiamente si gira e mi fissa negli occhi.
” Mi dica dottore…” e a quel punto vedo che tutte le scuse che mi ha raccontato prima sono false, che lei è arrivata in ritardo perchè semplicemente stamattina non riusciva a smettere di piangere, perchè aveva bisogno di stare ancora un pò accanto a chi ama, ad un figlio, un marito, un’amica, chissà, e mentre la guardo il mio discorso parte implacabile, preciso, corretto.
La donna è seduta di fronte a me con le braccia e le gambe incrociate, un timido tentativo di difesa dalle mie parole che, seppur pacate e addolcite, la stanno tagliando a fette come la più spietata delle lame.
Parlo e vedo tutte le sue speranze sfumare via, mentre lei stessa è diventata un fragile cristallo che sto prendendo a martellate riempiendo di schegge il mio pavimento a scacchi. Parlo e scruto in quel volto scarno tutti i segni del male che la sta divorando… quelle macchie sulla pelle delle gote, quell’alone bluastro che hanno le sue labbra, il colore spento dei suoi capelli. Tutte cose che anche lei vede allo specchio, ma che finora non aveva il coraggio di chiamare per nome.
Parlo, e il mio rassicurante sorriso non abbandona mai il mio faccione bonario mentre cerco di tenere il suo sguardo ancorato al mio, anche se lei spesso guarda da un’altra parte e si nasconde dietro una ciocca di capelli…
Ma è importante che mi guardi negli occhi, che capisca che non c’è più niente da fare, che dopo aver lottato per così tanto tempo insieme e aver provato tutte le strade, sperimentato tutte le strategie, è arrivato il tempo di issare la nostra logora bandiera bianca…la guerra è finita, abbiamo perso… Sono anni che cerco il modo migliore per dire ad una persona, che tra poco morirà, e il modo che mi sembra più giusto è sempre stato quello diretto, implacabile, togliendo loro ogni speranza, ogni appiglio, facendoli scivolare giù, fino in fondo. Sono disumano? No, sono onesto, ed è questa forse la parte più difficile: guardarli negli occhi e dire la verità, tutta questa orribile verità…
Lei incassa il colpo e torna finalmente a guardarmi. Si vede che sta facendo uno sforzo incredibile per non piangere, ma non ce la fà, e due lacrimoni pesanti cadono lungo le sue gote spigolose. Vorrebbe essere forte, ma non lo è. E’ umana.
” Quanto tempo rimane dottore?” Su questa domanda inutile effettivamente mento. Dico sempre un pò meno rispetto ai tempi delle statistiche perchè ho notato che se a qualcuno pronostici due mesi di vita, il terzo se lo gode con un pò più di soddisfazione, sembra loro forse di poter beffare in qualche modo la morte, e questo periodo viene vissuto in maniera meno tragica, con un pò più di leggerezza, quasi normalmente. A parte il dolore, certo, il loro compagno inseparabile di questo breve tratto di vita.
Il mio discorso piano piano si esaurisce con parole di conforto senza però cadere mai in frasi fatte. Lei a questo punto è svuotata di tutto, vorrebbe farmi magari altre cento domande, ma non sa da dove iniziare, ne cosa dire, e forse si accorge che non sono importanti davvero. Ma cerca il mio sorriso, è l’unico posto della stanza dove sembra che i suoi occhi possano trovare un istante di pace, e io lo offro in silenzio, rendendolo ancora più amichevole, accogliente e caldo.
Appena riesce a trovare un pò di forza accenna ad alzarsi.
“Ah dottore…scusi…ma se io…” adesso è un pò più lucida e inizia a snocciolare una serie di finali diversi per la sua storia che io cordialmente smonto, impacchetto e riconsegno al mittente.
” Questa storia finisce in un’unica maniera…” penso, mentre lei ancora intorpidita ripercorre i gesti dell’arrivo, ma all’incontrario: s’infila l’impermeabile, accende il cellulare, chiude la borsa, rimette a posto la sedia, tutto in un silenzio spento, che però non è imbarazzante.
Nel mentre mi sono alzato per accompagnarla alla porta, sperando fino all’ultimo che lei non dica altro, ma appena tocca la maniglia si gira verso di me, annuisce e mi dice con un piccolo sorriso, che in realtà è solo un tentativo di tirare un pò su il labbro a destra.
” Arrivederci dottore…e grazie…”
” Arrivederci signora” Ecco l’ha detto, mi ha ringraziato… tutti quando escono dalla nostra terribile conversazione mi ringraziano e io non ho ancora capito perchè.
Adesso sono solo nella stanza, e quasi senza accorgermene inizio a stropicciarmi gli occhi, come a voler cacciare l’immagine di quella donna, che mi fissa negli occhi mentre le dico che sta morendo. Un attimo appena, poi un leggero tocco alla porta mi fa sussultare.
” Avanti” Sara, la mia segretaria entra in silenzio.
” Dottore, c’è Antonio con la mamma.” E’ un pò rossa, imbarazzata, si morde nervosamente il labbro inferiore mentre un luccichio sospetto le fa brillare gli occhi. Lei sa tutto dei miei appuntamenti di oggi…
” Oh si, certo, falli entrare.” Ritorno dietro la mia scrivania cercando di scacciare tutta la mia frustrazione, tutto il mio disagio.
Faccio appena in tempo ad indossare il mio cordiale sorriso che la madre e il figlio sono già dentro, un saluto appena sussurrato poi la donna punta dritto alla sedia tenendo il bambino per mano, si siede e lo prende in braccio stringendolo forte, come per paura che qualcuno lo porti via, anche se è proprio questo quello che accadrà. Poi alzano insieme i loro sguardi verso di me, due paia di occhi grandi, azzurri e disarmanti che tremano un pò, occhi senza più lacrime che mi fissano e implorano pietà: sono due condannati a morte schierati di fronte al plotone d’esecuzione senza nemmeno la misera protezione di una benda per proteggerli dal male, da tutto quanto il male che sta per travolgerli.
” Mi dica dottore…” E io deglutisco un attimo perchè le parole tardano ad arrivare, anzi si rifiutano proprio di uscire dalla mia bocca per aggredire questa donna… Non posso dirle che il bambino che sta così amorevolmente stringendo al seno, ormai è solo carne per i vermi e il prossimo natale l’unico regalo che riceverà sarà un mazzo di fiori colorati che l’inverno congelerà sulla sua tomba bianca… Non posso, non posso proprio… Ma nel momento stesso che penso queste cose, il mio discorso parte da solo, semplice, esplicito, diretto con alcune parole dolcemente camuffate per la presenza del bambino… Di nascosto dal cuore al mia mano si è armata e spara implacabile e precisa, dritta al cuore della donna, una, due, cento volte. E mentre la vedo sbriciolarsi davanti a me, il mio sorriso si espande cercando di essere qualcosa, qualsiasi cosa che possa aiutare questa donna, perchè non ho nient’altro da offrirle, niente.
Spero vivamente che non mi ringrazi quando uscirà di qui… Lo spero davvero.
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Complimenti Patrizia, per questa delicata storia sulla crudeltà della malattia, raccontata secondo la prospettiva di chi vive l’ingrato compito di dover preparare il malato a prognosi infauste. Hai sottratto alla malattia, protagonista ingorda e foriera di emozioni per chi scrive e per chi legge, il suo palcoscenico. Brava!
E’ proprio un bel racconto dalla prospettiva capovolta. Completamente d’accordo con il commento di Maria Sordino che faccio mio, parola per parola. Complimenti davvero
Toccante e vero, è ovvio che si pensa sempre al dolore dei malati ed è giusto. Ma fare la parte di chi deve metterli al corrente di cose così brutte non dev’essere per niente facile.
Più che un dottore, il,protagonista mi sembra uno ‘schiattamuort’ come dicono al Sud ..un menagramo.trovo anche un compiacimento presuntuoso in questo individuo non simpatico che pensa di sapere già tutto pensando del bambino ‘ sarà solo carne per i vermi’.il futuro, la morte e la vita non sono che misteri e come tali dovrebbero essere trattati, con tanta tanta riservatezza e delicatezza , non con onestà.Non trovo Humana pietàs in questo dottore , anzi, sembra un lucido sadico…ma forse è proprio quello che volevi risaltasse…dimmi, Patrizia., ho ragione?
Mi sento di spezzare una lancia a favore dello schiattamuorto. Qui al Sud, è colui che si prende cura del defunto fino alla sepoltura, ‘ con garbo e gentilezza’ per citare una poesia di Totò. Dico questo perché, al contrario di Laura, io invece l’ho sentita l’umanità di questo medico oncologico: quando si stampa sul faccione, per tutto il tempo necessario, un sorriso cordiale; quando cerca di interpretare i movimenti nervosi della paziente; quando fa finta di distrarsi un attimo ed invece mantiene lo sguardo fisso su di lei; quando dopo aver cercato un po’ di empatia, deve abbandonarla. Fa parte del suo lavoro affrontare queste terribili situazioni e quel grazie che spera di non ricevere, probabilmente rappresenta l’ultima pugnalata che vorrebbe risparmiarsi.
Complimenti!
Il racconto ha alcuni punti forti e altri più deboli, comincio dai primi:
La donna entra con un carico di vita nello studio : il vortice del movimento, i capelli il foulard, richiamano l’idea di una persona che corre, che ha da fare, di una persona viva ed è una buona intuizione narrativa dare questo guizzo di vitalità ad un malato terminale.
Il medico è ben caratterizzato sia nella descrizione fisica che lo aiuta nel compito (il faccione bonario) sia nella consapevolezza delle procedure che deve seguire.
I punti deboli.
In apertura stona la ripetizione (Si scusa e nello stesso tempo si toglie l’impermeabile, e nello stesso tempo sposta la sedia, e nello stesso tempo cerca il posto dove poter appoggiare la borsa). Probabilmente voleva essere un’anafora ma questo non è un testo poetico e in ogni caso anche volendola inserire, mai in apertura.
Il medico indugia troppo sulle reazioni dei pazienti: se sta mettendo in atto un protocollo consolidato, una routine, non è logico che si accorga di così tanti particolari. Se li osserva significa che sta vivendo singolarmente le due storie e allora è troppo sadico (concordo con chi l’ha detto) nell’indugiare e nei termini usati (che sto prendendo a martellate ,Di nascosto dal cuore al mia mano si è armata e spara implacabile e precisa, dritta al cuore della donna, una, due, cento volte). Infine: due malati terminali nello stesso giorno, di cui un malato pediatrico (carne da vermi non si può sentire) sono troppi per un solo racconto. L’eccesso di dolore lo rende un po’ grottesco. Ciao Patrizia
Grazie per i commenti, anche troppo belli di Maria, Ottavio, Daniele e Barbara, non me li aspettavo davvero…
Inviando questo racconto, volevo creare un certo tipo di riflessione, turbare quasi e destabilizzare un paio di luoghi comuni. Per questo in qua e in là ho dato delle pennellate ( sembra ) decisamente troppo forti. Ma che mi piacciono da morire…
Laura, mi hai tirato in ballo l’humana pietas e il sadismo, e io ti chiedo: hai presente un callo? Quella parte di pelle che dai oggi, dai domani diventa insensibile e dura? Non diventa così per scelta, lo fa per salvarsi, per non soffrire più ( si, ok, il paragone lascia un po’ a desiderare…). Sul sadico non mi trovi d’accordo, cinico senz’altro… E poi alla fine ricordiamoci che per il dottore tutto questo fa parte del suo lavoro. Se non si tutelasse un po’ come farebbe a tornare a casa dalla sua famiglia la sera? Come sarebbe la sua salute mentale?
E che dire a Roberta? Praticamente hai vivisezionato il racconto! Ma è una delle critiche più costruttive che ho letto sulle pagine di questo concorso!
Cara Patrizia, penso che un dottore ‘oncologico’ dal faccione bonario non debba soffrire di ..calli ,come li chiami tu, soprattutto con un compito così delicato , di annunciatore di morte. rimango della mia opinione , a lui sto compito piace assai assai. Forse dovrebbe andare dallo psicoanalista !.(chi non lo dovrebbe, oggettivamente?).In bocca al..lupo.
Ovviamente ho letto il tuo racconto…. tutto questo “vivere”‘ al confine ultimo della vita…. l’ oncologo e’ fin troppo umano visto che il cinismo e’ il suo pane quotidiano, anche se non si capisce se si tratti di vera umanità’…. non amo molto le ripetizioni e dico sempre a mia figlia di usare i sinonimi (anche se lei a volte mi risponde che servono per rafforzare il concetto)… nel complesso comunque scorrevole nel trattare un argomento impegnativo.
Vedo che finalmente i commenti non si limitano solo a dire è bello, brava ecc.. . . lo dico adesso il tuo racconto mi piace molto e mi piace il tuo modo raccontare. Sono gusti. Non lo trovo troppo grottesco, anzi potresti calcare ancora la mano, ma come detto sono gusti, e capisco benissimo che possono non piacere. . . a volte si può rendere il dolore e la sofferenza anche senza rimarcarli troppo, ma è un qualcosa che anche io devo imparare a fare. . . Anche io trovo l’anafora iniziale fuori luogo.
E’ un bel racconto anche originale, dato che normalmente la voce narrante è sempre il malato e mai l’ambasciatore.
Vedo il dottore come un’ambasciatore e tu ne rendi bene l’idea.
Non mi convince del tutto il finale. . . è buono ,ma potrebbe migliorare. … lascia che il racconti maturi un po’. . . . e fra un anno magari rimettici mano. . . allora sarà perfetto ( comunque già è molto buono vorrei poter scrivere anche io così )
Intenso!
L’inizio è da rifare anche secondo me: troppe ripetizioni, troppe similitudini.
Quando poi inizia la seconda parte, c’è un cambio di registro e di marcia che mi hanno lasciato interdetto: non sembra neanche scritto dalla stessa persona.
La parte centrale e quella finale mi hanno colpito davvero.
Che umanità e quanta verità ci trovo.
Magari fossi capace io di creare certi personaggi.
Mi piace molto. Un tema delicato, il dottore, che crede di aver fatto l’abitudine ad un compito difficile, a me non sembra un cinico tout-court: offre un sorriso, non dice frasi fatte, “spara” parole micidiali ma “di nascosto dal cuore”, ho l’impressione, piuttosto, che sia lui il primo a soffrire a causa del suo ingratissimo ruolo, insomma fa il duro per non crollare sotto il peso delle sue ‘mortali’ comunicazioni. L’inizio del racconto è quasi un inserto video, immagini efficacissime. Brava!
Grazie di cuore ad Alessandro, Costantino e Anna per aver commentato il mio racconto… Ho deciso di partecipare a questo concorso di sicuro non per vincere qualcosa ( ci mancherebbe altro! Ci sono molti autori veramente in gamba qui! ) ma soprattutto per il dialogo che si instaura con gli altri. Ha ragione Alessandro quando afferma che i ” bravo e bello” lasciano il tempo che trovano, poiché secondo me, quello che si chiede un po’ a tutti è di criticare i racconti, far notare le loro pecche e dove dovrebbero essere migliorati… E’ questo che io volevo dai miei lettori, e mi sento molto soddisfatta dalle risposte che mi date… Dite la vostra gente, criticate, spaccate in quattro il mio racconto se ne avete voglia: è lì apposta per questo, e non vi preoccupate, qui nessuno si farà male…
Intanto mi complimento con te per lo spirito, che credo sia quello giusto. L’opportunità di confrontarsi con altri autori è una delle cose migliori di questo sito e non approfittarne trovo sia da sciocchi. Concordo con le osservazioni di giorgio, inutile ripetersi, probabilmente anche tu sai che su molte cose ha ragione.
Aggiungo che trovo alquanto improbabile che un oncologo comunichi in maniera ‘esplicita e diretta’ a una madre in pena una sentenza di morte per il proprio figlio in presenza di questi (seppur camuffando qualche parola). La prospettiva è originale, il dolore per il ‘condannato’ si trasferisce a chi emette la sentenza di condanna… Spero tu possa ricambiare presto… Ti aspetto (ho scritto un racconto per bambini ‘Eghus’, anche se… se hai voglia di sapere vieni a scoprirlo tu stessa)
Ciao
Parlare della morte, qualunque morte, non è una cosa facile.Il punto di vista di un “tecnico” quale è il dottore che non indulge a scontati sentimenti di pietà, induce il lettore alla riflessione.Quindi far meditare su un tema così delicato è in realtà il vero merito di questo racconto, a prescindere dall’immedesimazione con il dottore.
Scusa se mi permetto: ho vissuto nella mia famiglia una situazione simile a quella che tu narri e francamente il tuo racconto mi ha disturbata. Intanto c’e’ una cosa che nessun dottore mai al mondo puo’ togliere ad un paziente ed e’ la speranza. Emozionante il tema, bella l’intenzione ma francamente espresso in modo tutt’altro che piacevole. Sempre secondo il mio modestissimo parere. Scusa la franchezza
Salve, da malata di Sclerosi Multipla con un precedente cancro sconfitto, devo ammettere che leggendo questa tua storia ho provato tanta rabbia e dolore. Come ha scritto su Cinzia, non ti nascondo che mi ha turbata. Sei stata molto brava e anche coraggiosa a descrivere una storia dal punto di vista di un dottore che non ha alcun sentimento per la vittima. Io spero non sia il caso di tutti i dottori. Questa lettura non è stata piacevole, ma certamente lascia il segno.
Il bello del tuo personaggio, Patrizia, è che all’ inizio del racconto lo si detesta ma, a poco a poco, leggendo tra le righe, lo si comprende e quasi verrebbe voglia di dirgli: ” forza!! “. Non è facile vivere in mezzo al dolore. Anche se è quello degli altri. Ci si deve proteggere per non esserne sopraffatti. Se questo è cinismo, è un cinismo sofferto…perciò, comunque umano.
Racconto fortemente drammatico. Il tormento interiore di un medico, presumibilmente un oncologo, che avverte tutta la propria impotenza – persino nel trovare le parole adatte per comunicare ai pazienti le infauste diagnosi – di fronte alle leggi di una natura spesso impietosa. Piuttosto ben scritto ma il protagonista, nonostante la sua sofferenza interiore, non mi ispira molta umana simpatia.
E voilà, signore e signori, l’orrore è servito… Non quello astratto di zombi sanguinolenti o scheletri ghignanti che ti aspettano nel buio… Ma quello più reale, concreto che ti aspetta da qualche parte della vita, che ti assale senza tante cerimonie e che devi affrontare, più o meno da vicino, impreparata e senza la minima difesa. Presentando questo racconto volevo in qualche modo disturbare, suonare una nota stonata nella musicalità della vostra giornata, farvi fare un tuffo in acque buie e limacciose, così, per angosciarvi un po’… Scusate quindi il mio egoismo per avervi colpito a tradimento, ma che ci volete fare, provo a scrivere storie, ed è il mio compito regalarvi un’emozione…
Per Luigi, Roberto, Gloria e Andrea: i vostri commenti per me sono importanti e li apprezzo sinceramente! Grazie.
Per Cinzia e Stefania : diciamo così, che forse la vita con noi non ha avuto troppo tatto ne gentilezza, ma siamo forti ( e soprattutto donne!) e per nostra natura cadiamo sempre in piedi…Comunque, guardando indietro, oggi ringrazio chi, all’epoca, tolse speranza dove speranza più non c’era… Grazie per avermi arricchito con i vostri commenti, anzi, siete state anche troppo discrete…
Vediamo se prima della fine del concorso qualcuno mi manderà veramente a quel paese…
Venghino, signori venghino! Lo spettacolo sta per iniziare… ci sono ancora dei posti liberi…laggiù…nel buio…
Un bellissimo racconto : toccante e veritiero. Spesso mi chiedo se sia possibile immunizzarci al dolore e tante volte mi rispondo di no; questo racconto mi conferma ciò che penso.
Tentiamo goffamente di nascondere i nostri tormenti dietro un fasullo sorriso, ma i nostri sentimenti più intimi sono incontenibili e fanno tentennare anche i più cinici.
Anch’io penso che all’inizio ci siano troppe ripetizioni, ma per il resto è un lavoro ottimo!
Cara Patrizia, ce ne vuole di coraggio per impegnare la penna in questi argomenti ineluttabili. Soprattutto pubblicamente. E con lo stile che hai sentito di metterci. Penso che sia giusto così. Brava!
Leggendo i commenti ho capito meglio l’intento narrativo di Patrizia, mi sono misurata con un piano comunicativo diverso dal mio : una penna che non mira ad accarezzare il lettore ma a pungerlo.
Non sono caratteri di stampa ma piccoli aghi sottili che se hanno “molestato” persone che hanno avuto questa esperienza, davvero significa che sono efficaci.
Patrizia stessa ha dovuto ascoltare le parole del dottore per una persona molto importante della sua vita. Questo racconto (alla prima lettura non ci avevo pensato) forse muove da quelle acque dolorose. L’ho riletto con altri occhi, con questa ritrovata consapevolezza…ma nonostante tutto il bambino non l’avrei aggiunto.
Toglie lo spazio alla donna alla quale era stato già negato anche il tempo.
Mi è piaciuto molto il contrasto tra l’umanità del dottore e la professionalità che deve mantenere. Dirò qualcosa di personale in questo commento perché mi sono sentita partecipe alla posizione di questo medico. Ho studiato veterinaria per molti anni e mi mancava davvero poco per laurearmi, quando ho deciso di smettere, proprio perché non resistevo al dolore, non solo a quello degli animali malati, ancor più al dolore dei padroni. Così dal nulla, ho smesso.
La posizione di questo medico è commovente per come la penso io, perché nonostante porti avanti il suo lavoro, lascia riaffiorare di tanto in tanto la sua umanità, che di solito si tende a sopprimere in questi contesti.
Molto bello e angosciante ma era la sensazione che volevi suscitare, immagino, quindi credo che il risultato sia perfetto.
In bocca al lupo
Orsola
Ottimo, niente da aggiungere. Tragico da leggere per chi ci vive dentro.
La disgrazia della morte attraverso gli occhi del boia?. ci sono spunti interessanti come l’idea di lasciare sul finale il tema del racconto. Buono anche l’intervallarsi con le giuste pause della parte descrittiva con quella narrativa. In alcuni momenti però è fin troppo descrittivo.
non mi piacciono i termini gergali e la staticità del racconto. la punteggiatura è incerta e alcune parole sono ripetute.
si potrebbe entrare un po’ prima nella dimensione del dottore (senza però rivelare nulla) per far capire al lettore che il tema del racconto non è la malattia ma la prospettiva del dottore riguardo il comportamento, la reazione dei pazienti.
Come scrittrice alle prime armi è comunque un buon inizio.
Vai Patrizia non mollare!
Bellinde
Patrizia, il racconto è senz’altro bello, forte e molto angosciante.
Personalmente faccio da 36 anni un lavoro dove sto a contatto con gente bisognosa (socialmente) ed effettivamente un po’ di corrazza ci vuole, però, cmq è un racconto che colpisce…
Cmq per me, vorrei un medico che mi desse speranza..anche se oggi nn è più così …
Chissà cos’è meglio!
In sintesi..brava!
Se vuoi vedere gli altri due che ho scritto..mi fai piacere!
Il racconto è sicuramente controverso, e sa far parlare di sé. Stimola discussioni e diverse chiavi di lettura. Ed è un punto a favore.
Personalmente penso che, essendo un racconto, e quindi la storia particolare di un particolare medico, non vada preso per “come un oncologo dovrebbe essere”, ma per “come questo particolare oncologo è”. Il personaggio è fatto così, può stare simpatico o antipatico ma è un personaggio, non è l’incarnazione dell’oncologo ideale, né deve essere per forza quella dell’oncologo reale. Sarà pure uno schiattamuort, ma ci sono dei motivi e delle dinamiche che spiegano perché è così. Forse quei motivi potevano essere approfonditi ulteriormente, ma solo per farci appassionare al personaggio, non tanto per un fine giustificativo.
L’unica piccola critica che mi sento di fare, è che mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato il dialogo finale con la mamma, che invece è raccontato.
Le lacrime mi scendono caparbie, forse perchè la crudeltà della realtà l’ho toccata in famiglia e ti dirò che sono convinta che se togli la speranza ad un malato terminale è finita. Anche se per me l’onestà è la cosa più importante della vita. Bravissima comunque. Sai trasmettere emozioni forti.
Argomento molto difficile. Ho faticato a leggerlo non perché lo stile non fosse fluido, anzi … ma perché l’argomento mi rattrista tanto. Comunque molto brava.
Grazie a tutti per aver dedicato un po’ del vostro tempo in questa particolare lettura… grazie davvero!
Il tema non è sicuramente dei più leggeri, non è stato facile scriverlo… perché non volevo fosse facile leggerlo…
Grazie dunque coraggiosi lettori di essere passati di qua, a fare un piccolo giro in questo girone infernale, e di aver lasciato le vostre opinioni che, credetemi, per me sono veramente illuminanti…
Maurizio Minetto ha ragione quando parla del personaggio: il dottore è frutto della mia fantasia, e nella realtà quest’uomo non esiste.
Siamo qui per raccontare storie, regalare sorrisi o strappare qualche lacrima, aprire nuovi mondi e suscitare emozioni forti… il tutto in poche righe… e se poi ci scappa qualche riflessione un po’ più profonda del solito, tanto meglio…
Mi dispiace solo se a qualcuno ho disturbato il sonno di questa notte, regalandovi magari l’incubo di un bambino con gli occhi sgranati che fissa la canna di una pistola che tra poco sparerà…
Un racconto deve arrivare al cuore e probabilmente quanto ci riesce, arriva a destinazione per motivi differenti in ciascuno di noi lettori.
Non ha importanza se poteva cominciare con uno stile differente, se la seconda parte dicono risulti migliore. Non si legge una storia nello stesso modo in cui si correggerebbe un tema di quinta elementare.
L’essenza deve andare oltre; lo stile non e’ tutto nella scrittura.
Si puo’ averlo ma risultare freddi e troppo precisi.
A me piace la “confusione” , e in un racconto così la confusione di pazienti oncologici che stanno per ricevere la condanna a morte ci sta tutta.
Grazie per avermi fatto riflettere su una piaga sociale a cui spesso non vogliamo pensare .
Un sentito in bocca al lupo!
Argomento che tocca a fondo. Tocca anche me, sfiorata più volte da tali ‘argomenti’ nell’ultimo anno.
“Ecco l’ha detto, mi ha ringraziato… tutti quando escono dalla nostra terribile conversazione mi ringraziano e io non ho ancora capito perchè.”. La frase che mi ha colpito di più.
Brava.
Brava Patrizia, hai reso perfettamente la situazione descrivendola in modo tale da farci sembrare là, toccante e realistico, complimenti!
Bella l’idea descrivere un punto di vista solitamente mai considerato. complimenti per l’ottima scrittura, solida e asciutta, calibrata al punto giusto per trattare un argomento molto difficile,è un piacere confrontarsi con persone come te. Ciao.
Una storia veramente interessante con una chiave di lettura molto originale, intenso come l’argomento di cui tratta, per cui ottima scrittura davvero molto coinvolgente.
Riesci molto bene a trasmettere la sensibilità che riemerge tra i pensieri del uomo/dottore che ormai, quasi involontariamente, lascia che sia la sua professionalità a fare da guida e a distaccarsi dalla sua umanità portando avanti una responsabilità davvero pesante, ma che in effetti non può avere altre mezze misure. Brava davvero Patrizia.
Ancora una volta mi trovo qui, a ringraziare nuovi lettori che hanno voluto lasciare un commento al mio racconto… Grazie davvero!
Per me tutto questo è molto importante: significa quasi che tutto il dolore, tutto il male, tutte le bruttezze che la vita ha l’accortezza di rovesciarci addosso a sorpresa, se opportunatamente capite e accettate, digerite e archiviate, possono davvero trasformarsi e diventare qualcos’altro… forse anche qualcosa di positivo… o almeno nuovi temi su cui riflettere un po’ da nuovi inaspettati punti di vista… chissà…
Rimanete sintonizzati su questo canale… perché si sa, alla fine non sono solo parole messe in fila una dietro l’altra, ma dei piccoli trabocchetti per l’anima che l’autrice un po’ malvagia dissemina tra le righe… così, per destabilizzarvi un po’…