Premio Racconti nella Rete 2016 “Il ciliegio” di Sofia Torre
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016L’albero di ciliegio era situato esattamente al centro del giardino: Paul l’aveva sempre voluto lì. Aveva calcolato al millimetro il punto di convergenza delle diagonali che attraversavano il suo irregolare appezzamento di terreno, la cui forma rimandava a un quadrato.
Il prato era incolto, pieno di spazzatura che volava a ogni alito di vento. La casa era malridotta, sui muri si vedevano chiaramente delle crepe che partivano dalle fondamenta. L’intonaco era scrostato e sbiadito, le persiane avevano i cardini mezzi svitati e alcuni vetri, se osservati in controluce, mostravano non poche venature. La porta d’ingresso non aveva più la serratura: nessun ladro si sarebbe avvicinato alla casa del pazzo. Sì, Paul veniva considerato dalla comunità in cui viveva un pazzo.
Aveva cura solo di quel ciliegio, lo accudiva come fosse una reliquia, come un padre si prende cura del proprio bambino in fasce. Era diventato il cuore di quei pochi metri quadrati, la pompa che pulsava vita attraverso foglie e radici. Paul passava il proprio tempo lì seduto davanti al tronco, lo fissava, gli parlava, lo amava.
Le persone camminavano lontano da quel luogo, alcune mamme addirittura quando portavano i propri figli a scuola allungavano il tragitto di qualche minuto pur di non passarci davanti con la prole. Poi di notte spesso dei vandali lanciavano bottiglie di vetro, escrementi di cane raccolti per strada e altre porcherie, su quell’erba già di suo lurida.
Ma chi era Paul?
Da bambino gli era stata diagnosticata una malattia al cervello. Una malattia genetica, quindi nessuno poteva farci nulla. Era nato così e sarebbe morto peggio. I primi sintomi erano iniziati all’età di quattro anni, quando i suoi neurotrasmettitori non rispondevano più agli impulsi esterni. Il piccolo non capiva gli altri esseri umani, stava bene solamente nella propria cameretta con il proprio pupazzo preferito a cui donava ogni sua attenzione.
La salute psichica non era il suo unico problema, purtroppo alla sua tragedia contribuiva anche la famiglia.
Nato da genitori drogati e nullatenenti, appena si resero conto che il figlio presentava seri problemi decisero di abbandonarlo sulla strada Statale 35. Aveva appena compiuto 5 anni.
Venne raccolto da due signori già di mezz’età che avevano sempre desiderato avere un figlio, ma che a causa della sterilità di lui non poterono averne. Considerandolo come un dono dal cielo, lo raccolsero e se ne presero cura. Questo fino alla morte, avvenuta dopo vent’anni dal fatidico giorno. Dei genitori originari, Paul, non ricordava nulla. Per lui Ann e Marc erano ciò che più si avvicinava all’idea di famiglia.
Ebbe pochi amici, anzi, nessun amico, tranne Stefi. Una bambina che abitava due case affianco alla sua, e che dal momento in cui lo conobbe non se ne separò mai. Era la sua miglior amica, e proprio con Stefi decisero che durante il decimo compleanno di Paul avrebbero piantato quel ciliegio in modo da ricordare per sempre il loro legame speciale.
Però come si sa dopo l’età dell’infanzia arriva quella della pubertà e dell’adolescenza… in altre parole Stefi frequentò il giro di persone sbagliato e morì a ventinove anni a causa di una lite per droga.
Rimasto da solo, si dedicò anima e corpo al suo ciliegio, l’unico vano ricordo, nella sua fragile mente, della sola persona che l’aveva mai amato e difeso.
Paul era a malapena autosufficiente. Tutti i giorni dalla morte dei genitori la mamma di Stefi gli portava il pranzo e la cena, e una volta a settimana veniva in casa a pulire e a sistemare quella che si poteva tranquillamente definire una topaia. Una volta al mese venivano a fargli visita dei volontari per aiutarlo per alcuni piccoli lavori di cui lui non si poteva occupare.
La modesta eredità lasciatagli dai genitori adottivi stava quasi per terminare e purtroppo gli aiuti dello stato non c’erano mai stati e presumibilmente sarebbero arrivati. Una volta finiti i soldi Paul sarebbe rimasto completamente alla mercé della lenta macchina burocratica che lo avrebbe annientato. Paul non ci pensava, non aveva di questi pensieri.
Disponeva di un piccolo lavoro part-time come netturbino: doveva semplicemente pulire le strade del suo quartiere. Un lavoro monotono, ma lui non ci badava; faticoso, ma non si stancava; sporco, ma non gli importava era abituato alla sporcizia. Lo stipendio, se così si poteva definire, bastava solamente a pagare le bollette e le tasse sulla casa.
Tutti lo conoscevano, ma nessuno lo notava, nessuno gli rivolgeva la parola; era un fantasma.
Le voci sul suo conto non gli interessavano, la sua vita era programmata per accudire il ciliegio: ogni sua azione non aveva uno scopo diverso dalla cura dell’albero.
Nel periodo della fioritura il suo umore era gioioso, cantava, ballava, gli occhi lucidi dalla felicità.
Nella stagione invernale, quando l’esile tronco era arricchito di una leggera spruzzata di neve, il cuore di Paul diventava di ghiaccio, l’umore era nero e lui entrava in una sorta di trance.
In generale il freddo non lo disturbava, la pioggia non lo bagnava, il sole non lo riscaldava; solo gli splendidi germogli rosa sapevano donargli ogni anno nuova linfa.
Le giornate erano tutti uguali, fino al suo trentacinquesimo anno.
Era una mattina calda e secca, senza un alito di vento. Era il cinque di maggio, il suo compleanno. Il ciliegio nel suo abbacinante splendore partecipava alla festa.
All’improvviso uno schiamazzo. Un grido. Cosa dicevano?
“Ecco il pazzo”
Pazzo?
“Fagli vedere te!”
Come sta il mio dolce ciliegio?
“Bravo!! Lanciagli questo!!”
Cosa vogliono? Devo controllare il tronco.
“Brucia!!”
Il nostro compleanno.
“Scappa!!”
“Scappiamo!!”
Che strano odore.
Fumo.
Perché mi lacrimano gli occhi?
Il fumo aumenta.
Un gruppo di teppistelli, che non avevano neanche sedici anni, lanciarono una bottiglia di vodka sul prato pieno di sterpaglia. Poi lanciarono una sigaretta accesa su quella pozza di alcool a 30 gradi. L’infiammabilità, la secchezza dell’erba, il clima senza una goccia d’umidità nell’aria, tutta la spazzatura accumulata fecero scoppiare l’incendio.
Le fiamme gli si specchiarono nell’iride, la lucidità che non aveva mai avuto all’improvviso si scagliò su di lui. Acqua, aveva bisogno di acqua.
Il ciliegio. Acqua per salvare il ciliegio.
Prese la pompa dell’irrigazione e corse verso la fonte dell’incendio, aveva quasi divorato tutto, mancava solo il dolce tronco. Gli si mise davanti. Doveva salvarlo. Doveva.
Riuscì a domare l’incendio, sembrava un miracolo, ma non vide il vetro della bottiglia rotta sotto i piedi.
Un dolore alla pianta del piede, perse l’equilibrio; un colpo sulla testa. Una pietra.
Un colore rosso gli apparve sulle mani, gli gocciolava dalla testa, gli inzuppava il piede.
Il ciliegio. Era vivo, era stato salvato. Io lo avevo salvato. Gli occhi sono pesanti.
Sono felice. Voglio toccarlo.
Venne ritrovato abbracciato al ciliegio, era morto per via del colpo alla testa. Però aveva salvato la sua unica ragione di vita. La sua storia fece il giro del quartiere, il pazzo era morto per salvare il proprio albero dalle fiamme della stupidità umana.
La gente cominciava a porsi domande, ma nel giro di pochi mesi di Paul non si ricordò più nessuno.
Però accadde un fatto molto strano: la casa venne lasciata abbandonata, un piccolo terremoto la fece crollare per via delle crepe nei muri; ma il ciliegio vive ancora. Qualcuno in segreto continua ad accudirlo.
Paul è morto a 35 anni, venne abbandonato sulla Statale 35, ma il suo ciliegio vive e sopra il suo tronco ormai segnato dagli anni c’è ancora il segno di quell’amore indelebile. L’orma della mano di Paul che abbraccia il suo tronco in quel tragico giorno.
Chi sia il benefattore che accudisce ancora l’albero nessuno sa chi sia.
A me piace pensare che Paul abbia finalmente trovato il suo posto nel mondo, lì accanto a quel ciliegio.
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Una storia che sembra una favola moderna, delicata e gradevole!
(Poi di notte spesso dei vandali lanciavano bottiglie di vetro) io qui metterei una virgola da qualche parte…ma io ho studiato da elettricista, vedi tu.
(Chi sia il benefattore che accudisce ancora l’albero nessuno sa chi sia) anche qui c’è un errore. (Chi sia il benefattore che accudisce ancora l’albero nessuno lo sa.) oppure (nessuna sa chi sia il benefattore che accudisce ancora l’albero).
Refusi a parte il racconto mi piace, di solito preferisco storie meno dolci, ma questa mi è piaciuta.
Quanta sensibilità nella figura di Paul, davvero commovente!