Premio Racconti nella Rete 2016 “Sciami” di Ilaria Scarpiello
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Fuggire i discorsi della gente, divincolarsi dalla stretta soffocante della superficialità che dilaga indisturbata per le vie del centro. Troppa solitudine l’aveva portata a sentirsi migliore della maggior parte delle persone, è vero, ma anche coscienziosamente fuori posto. Non aveva nulla in comune con i coetanei, nulla, eccezion fatta per i superalcolici, il loro consumo, forse.
Ora, comunque, non aveva più importanza. Aveva imparato a sostenere una conversazione da niente, perfino a risultare gradevole per la durata di una cena, di una pizza fra conoscenti, e ne andava fiera, poi gli Sciami avevano fatto la loro comparsa. Dapprima incursioni solo sporadiche, in genere all’imbrunire, lungo il corso del fiume, colpendo per lo più proprietari di cani di piccola taglia ed infaticabili appassionati di jogging.
Poi il cielo si oscurò e lo stridore coprì ogni altro genere di rumore, così fino ai luoghi dai quali si riuscirono ad avere le ultime notizie. Gli Sciami entrarono nelle case, negli uffici, nelle fabbriche, nelle chiese, nelle automobili e resero ogni cosa insopportabile ai sopravvissuti. Chi, come lei, riteneva che la vita fosse insopportabile già prima degli Sciami si dovette ricredere.
Il compito che le era stato assegnato consisteva, principalmente, nello scavare fra le macerie in cerca di qualcosa, qualcuno, sfuggito agli Sciami. Trovarono che il ruolo le calzasse a pennello, avendo per anni fatto più o meno la stessa cosa ancor prima della loro venuta, ma per lei nulla fu mai tanto difficile. Tornare nella stazione, per esempio, la colmò di un’inquietudine lontana dagli stati di estrema disaffezione a cui si era abituata, provocandole sussulti e tremore alle mani che rendevano difficoltoso impugnare il rastrello, un’emozione molto simile alla paura, forse solo più disgustosa. I vagoni dei treni in disuso e i binari erano stati già assaliti dagli Sciami, così a lei toccò entrare nei negozi dove aveva comprato e nei ristoranti dove aveva mangiato, ma la peggiore di tutte le macerie fu la profumeria dove aveva lavorato. Quanti volti conosciuti, quanti sopravvissuti fra quei volti conosciuti, quanti da consegnare agli Sciami.
Sarebbero riusciti ad abbracciare lo stridore per tutta l’insignificante durata della loro vita? Gli Sciami avevano reso tutti uguali, avevano messo tutti sullo stesso piano, e non era facile accettarlo, era insopportabile come molte delle altre cose che erano venute con loro.
Le macerie portarono alla luce visi familiari, troppo familiari per avere le mani ben salde. Li ricordava tutti, nonostante gli anni trascorsi e gli scherzi della memoria. Non ne mancava nessuno, tutti sotto le macerie dell’unico posto dal quale avrebbero potuto allontanarsi senza la minima esitazione in caso di pericolo. Senza la minima tentazione a voltarsi indietro per un’ultima volta. Sapevano quello che era venuta a fare, ma lo stesso la guardavano con occhi supplicanti una pietà che presumibilmente poteva esser loro concessa in nome di un’amicizia, almeno di una vicinanza, o dalla condivisione di una comune sfortuna che sarebbe potuta durare per sempre.
Non ci poteva essere pietà con gli Sciami dietro le spalle, solo affetto e ricordi e rimpianti inutili. I colleghi usciti fuori dalle macerie venivano consegnati, tenuti in osservazione e assegnati alle loro nuove mansioni, qualora il comportamento e l’assetto emotivo generale non fosse risultato troppo compromesso da ciò che era accaduto. Non ne rivide nessuno alle macerie, alla sua stessa mansione, e ne fu sollevata, provando una leggerezza pari alla prima volta che era stata rilasciata dagli Sciami o alle passeggiate in bicicletta sotto il sole di giugno prima che tutto cambiasse. Avanzava piano lungo il tappeto di cosmetici e boccette di profumo fracassate , fra scaffali divelti, mura crollate e, ogni tanto, scovava un paio d’occhi impauriti che per qualche secondo brillavano di speranza, per poi spegnersi di nuovo, magari definitivamente.
Presto o tardi avrebbe finito, le macerie sarebbero tutte finite, forse le avrebbero trovato un’altra mansione o forse gli Sciami avrebbero deciso diversamente. Era l’unico pensiero che riusciva ancora a farla sorridere fra le cicatrici.
Un giorno, poi, ci fu un boato talmente forte che le sue orecchie sputarono sangue. Lo schianto sonoro diede vita ad una serie di scosse del terreno che salivano in tante piccole spaccature sotto i suoi piedi. Non aveva paura, in verità non sentiva più nessun tipo di emozione da tempo, solo meraviglia. Le scosse si avvicinavano ad un timido terremoto, debole quanto basta da procurare allarme e alzare un muro di polvere. Si piegò sulle ginocchia, decisa a rimanere in equilibrio sulle sue macerie come su una tavola da surf.
Quando la terra smise di tremare e il manto di polvere tornò a posarsi su quello che rimaneva delle strade, batté forte le mani in un applauso che serviva solo a confermarle di aver perso l’udito. Spettri degli uomini che erano stati una volta si aggiravano senza motivazioni in attesa di quello che sarebbe successo ancora e ancora e ancora. Degli Sciami nessuna traccia.
Dalla cima delle sue macerie si accorse prima di chiunque altro che gli Sciami, così come erano venuti, se ne erano andati. Un uomo con gli occhi iniettati di sangue e una lunga barba rossiccia le toccò un braccio e le chiese adesso cosa avrebbero dovuto fare. Ci mise un po’ a leggergli le labbra, poi rivolse lo sguardo al cielo lattiginoso sentendo, per la prima volta da tanto tempo, l’ingombrante mancanza dello stridore. Non ci resta che contare i danni, rispose all’uomo.
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Racconto che si presta a diverse letture. Personalmente, come se avessi letto un conflitto interiore, uno di quelli da combattere a muso duro, per stare meglio con sé stessi e per ripartire.