Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Happiness is an attitude” di Giulia Lazzari

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

‘’Cos’è la libertà se non un tentativo di raggiungere i propri sogni e ambizioni. Dove la vedi in una società che ti classifica in base a cosa fai e non cosa sei.  Personalità fantasma, persone che devono rincorrere carriere asfissianti e non adatte, per seguire ciò che si ritiene giusto. Cos’è giusto e sbagliato?  Guadagnare tanto è giusto? Se è così che la mettiamo non intravedo punti di collegamento tra il mio pensiero e quello delle persone. L’impegno dovrebbe essere giusto, la passione, la felicità, la gioia del portare un po’ del proprio in uno spazio infinitesimo del mondo.
Le nostre anime sono forme concave e convesse, di cui esistono miliardi di probabilità di cambiamenti.. e noi vogliamo rinchiuderle in uno stampino preformato per riuscire ad incastrarci esattamente gli uni negli altri, come un puzzle di mancate virtù. In questo modo tutti affiancati nel collettivo pensiamo di farci forza come un branco; ma l’uomo non è fatto esattamente così; non tutti per lo meno. Queste scatoline cominciano a stare strette a coloro che non vogliono perdere la propria personalità e individualità.
Uno spirito libero, è un’anima fomentata dalla passione che brucia le pareti in cui altri tentano di rinchiuderla, sprigiona una forza e un’energia mistica che incanta, sconvolge, non si adatta per niente ed emana luce, una luce che fa invidia. Tu, forestiero, non rinnegare ciò per cui sei nato, credi nella forza dei tuoi desideri, nella sfaccettatura magica dell’esistenza, che senza regole, pone in ordine e riequilibra le vite di chi ci crede. ‘’

Il forestiero un po’ disorientato dall’energia con cui quell’albero aveva dato lezioni di vita a lui, un essere umano, in carne e ossa, non poteva nascondere come l’avesse colpito la storia di questa fantomatica magia, di cui tra l’altro non aveva mai sentito parlare nel suo villaggio.
Dopo aver riflettuto fissando le secolari e polpose radici dell’albero, il forestiero provò a domandare a quell’essere cosa volesse dire con quelle parole e soprattutto perché potesse parlare, ma l’albero tornò ad essere semplicemente un albero, un magnifico e imponente messaggero della terra.

Ancora sconvolto, il forestiero che d’ora in poi chiameremo Peter, riprese il suo cammino verso la ricerca della propria strada. Era felice di ciò che gli era appena capitato; almeno il suo viaggio per ora a qualcosa era servito, e anche se la meta era ancora una fievole incognita, si sentì rassicurato che qualcosa di diverso stesse finalmente accadendo.

Stormi di uccelli componevano figure nel cielo, come gocce di pennello schizzate via dal disegno divino.
Era una bella giornata per riflettere e rilassarsi su un prato, ma Peter non aveva pace e voleva capire cosa avesse in serbo per lui il destino.
La sua mente era impaziente ma il suo corpo non aveva le medesime idee, tant’è che il suo stomaco cominciò a brontolare e la X sul proprio cammino si trasformò in un’osteria.

Camminò, camminò a lungo prima di trovare un luogo che gli piacesse: Peter voleva cambiare la sua identità e uno di questi cambiamenti era appunto diventare vegetariano. Non che la carne gli creasse problemi, ma gli sembrava giusto, ecco tutto.

Così dopo due ore di camminata, egli intravide un’insegna. –Green House-
‘’ Perfetto! ‘’Pensò. ‘’Proprio quello che fa al caso mio.’’
Venne subito incuriosito dal nome della via che portava al casolare: essa infatti non aveva il nome di un qualche scienziato, politico, economista, ma anzi presentava il nome di due ragazze, con a fianco la foto dell’una e dell’altra. Avevano sguardi accesi, sembrava quasi emanassero quell’energia tanto decantata da quell’albero, nonostante fossero solo inchiostro. Incredibile.

Peter sempre più deciso e speranzoso di aver trovato un posto fantastico accelerò il passo , anche perché la carenza di cibo cominciava a procurargli qualche fastidio, nonostante cercasse di astenersi dall’ascoltare gli inutili e perditempo bisogni del suo corpo.

Il  casolare era proprio arredato con buon gusto: si vedeva che qualcuno si era impegnato tanto per renderlo incantevole. Le finestre alte e spaziose davano accesso a un fantastico paesaggio alimentato da un tramonto di colori assai caldi. Si mescolavano rosso rosa arancione giallo, sembrava una tela impressionista. Peter era tanto affascinato da quella visione che non si accorse che una di quelle gioiose ragazze gli stava porgendo i suoi saluti, così sobbalzò, porse le sue scuse e si accomodò al tavolo consigliato.

Aprì il menù e un ghigno spuntò sul suo viso: i piatti sembravano buonissimi, affiancati dalla lista degli ingredienti e dalla loro provenienza. Il tutto in un formato minimal con varie fotografie di come dovevano essere le varie pietanze. ‘’Non saranno mai come in foto’’ pensò, ‘’ma che tocco di classe!’’.

Ordinò un cous cous con verdure, che in effetti somigliava tanto alla foto e ne fu felice. A  fine pasto, la stanchezza si fece sentire e per tergiversare cominciò a parlare con una di quelle cameriere, in modo quasi del tutto disinteressato.
Scoprì che esse non erano solo le cameriere, erano le ideatrici, le artiste che avevano reso quel casolare così fantastico e invitante. Fu soddisfatto. Dopo tutto c’erano delle persone che al contrario di come diceva l’albero seguivano le loro idee ed erano in grado di creare qualcosa di meraviglioso dalle loro mani, e soprattutto non avevano paura di farlo.
Erano così entusiaste le ragazze, che Peter pensò quasi che fosse anche la via giusta per lui.
Uscì divertito, pensando che nei prossimi giorni sarebbe tornato a chiedere altre informazioni alle ragazze e magari avrebbe potuto lavorare con loro, trasmettendo anche lui quelle vibrazioni positive alle persone.
Ma una volta uscito, quando si girò, il casolare era sparito.
Al suo posto si estendeva una prateria sconfinata.

‘’Cosa diavolo è successo?’’ pensò sbalordito.
‘’Prima un albero che mi parla e ora un’osteria che scompare. Sto proprio diventando matto. Speriamo almeno che il cibo che ho mangiato fosse vero.’’ Si accarezzò la pancia ed era ancora piena per fortuna.

Peter era quasi più depresso che sconvolto. Pensava di aver trovato una strada che facesse al caso suo, ma era la strada di quelle due ragazze e non toccava a lui percorrerla.
Provò un senso di soffocamento  e di solitudine che gli strinse lo stomaco.
Era frustrato, tutta quella gioia si era trasformata in panico e tristezza, si sentiva più perso di prima.

Così si fermò in quella prateria, montò la sua tenda, e accese la sua piccola lampada.
‘’Mi metterò a leggere’’ disse tra sé e sé,’’ Almeno ascoltando i pensieri di gente più saggia mi sentirò meglio’’. Ma la sua tristezza gli impedì anche questo. Leggeva e rileggeva la prima frase del capitolo, ma la sua testa si rifiutava di darne un’interpretazione.

‘’Al diavolo!’’ urlò; in effetti si appellava a quell’oscura figura troppo spesso, ma meglio invocare il demonio che scomodare Dio da lassù.
Anche se ormai stentava a credere a che esistesse veramente una figura che mantenesse in ordine gli eventi.
Decise infine di guardare il cielo, una notte stellata porta spesso consiglio; ma no, la sfortuna lo perseguitava, le nuvole si erano appropriate di quella bellezza e un muro si interponeva tra lui e l’immensità dell’universo.

Allora un brivido di ira percorse tutto il suo corpo, passò flebile dalle dita dei suoi piedi, ingrandendosi come un’onda a riva fino alle radici dei capelli e scoppiò in un urlo disperato.

‘’Dov’è questa magia? Dov’è??? Mi basterebbe uno e un solo messaggio che mi dicesse che sto andando bene e non mi devo preoccupare. Invece no. Sembra che il mondo si stia concentrando a schiacciarmi. Ma io non ho la forza  per resistere. Cos’ho sbagliato?’’.

A Peter sembrava veramente fosse tutto nero, forse anche perché era da solo in una infinita prateria di notte, ovviamente senza luminarie. La sua lucina sembrava quasi vittima dell’ironia di un buio totale.

Per fortuna in qualche modo riuscì a prendere sonno; era importante mantenere un minimo di energia per continuare questa ricerca.
Così riprese il cammino ma ovunque andava, qualsiasi strada intraprendesse,  aveva nomi di altre persone, e in tutta quella meraviglia, il suo IO tendeva sempre di più a stringersi, quasi si sentisse da meno. Tutta quella gente felice della propria esistenza e realizzata turbava  il suo animo.

Era esausto, non intravedeva neanche con il binocolo il suo nome sul cartello della sua via e così smarrito pensò di tornare a trovare quell’albero e di convincerlo a dargli qualche spiegazione. Glielo doveva dopo tutto! Inoltre, magari lui poteva indicargli un passaggio semplice per raggiungere la sua meta.

La visione dell’albero gli strinse il cuore; una figura familiare finalmente.
Così Peter cominciò a fare domande all’albero, all’inizio con garbo e gentilezza, poi cominciò con le cosiddette maniere forti perché l’albero non ne voleva proprio sapere di dare spiegazioni al ragazzo.
Peter a quel punto pensò veramente di non avere più speranze, e pensò di non essere giusto per quel mondo. Pensò di essere solo uno stupido forestiero senza virtù  e doti e il futuro non prospettava nulla di buono per lui.
Sotto questa carica negativa si addormentò, stretto stretto all’albero, come se avesse paura di sprofondare nell’oblio.
Peter, e la sua copertina. Tutto ciò che ormai gli rimaneva in quella stupida vita.
E l’albero allora fece qualcosa che tutt’ora non posso spiegarvi, perché risiede nel misticismo dell’energia vitale.
Sì, possiamo chiamarla magia se vogliamo.
Cominciò a produrre tantissimo ossigeno dalle sue foglie, che diventarono ancora più verdi e brillanti.
Una nuvola bianca accerchio l’albero e il ragazzo, una nuvola di puro O2.
Peter, ancora per qualche ora non si svegliò, ma respirare quell’aria così ricca, distese il suo corpo.

La sua pancia si rilassò, così anche la sua espressione e la fronte corrugata. Passò da una posizione fetale di paura, ad una distesa e rilassata. Fu veramente incredibile l’impatto che ciò diede ai suoi pensieri.

Quando si risvegliò si sentiva felice. Aveva un brividino non di nervoso ma di felicità. Stranamente non era più arrabbiato con l’albero per le sue mancate risposte, anche se non sapeva del miracolo appena avvenuto.
Ringraziò l’albero comunque per avergli fatto compagnia durante il suo sonnellino, anche se in effetti non avrebbe potuto muoversi più di tanto.

E ripartì, senza neanche più la sua copertina.
Non aveva certezze, né aiuti; non aveva veramente nulla.
Aveva uno sguardo nuovo, però, che si avvicinava a quello delle persone a cui aveva fatto visita.

Come poteva essere, dato che in fondo era la stessa persona persa del giorno prima? Come poteva avere quell’atteggiamento positivo se ancora la sua strada non si vedeva??

E allora, come spinto dal vento, Peter si girò e vide che a fianco a lui c’era un cartello. Non era un semplice segnale; vi era scritto il suo nome e a fianco una sua foto sorridente. Sembrava quasi di poterlo sentir ridere solo guardando quell’immagine.

E quindi Peter capì. Capì a cosa forse si riferiva l’albero.
Il sentirsi realizzati è uno stato dell’animo felice, indipendente dalla situazione in cui è la persona.
E’ indipendente dal lavoro che si svolge, dalla famiglia, da chi si ama, da ciò che si possiede: è un comportamento.

Il guardare il bicchiere mezzo pieno, sfruttare appieno ogni errore di percorso, non scoraggiarsi davanti alle forme che la società impone perché la felicità non sta nelle piccole cose, ma da come le affronti e le vuoi osservare.
Così l’importante non è non cedere , ma anzi lasciarsi ispirare da tutto ciò che ci circonda, adattarsi alla società in cui si vive ma ritagliandosi un proprio piccolo mondo e perché no, far anche incontrare quello reale al proprio.

 

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1 commento »

  1. Una vera e propria lezione di vita. Condivisibile o meno, ma che porta a riflettere su come affrontare al meglio la propria vita. Brava!

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