Premio Racconti nella Rete 2016 “La balena spiaggiata” di Antonio Fiore
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016La Signora Carla Martucci e sua figlia Chiaretta fecero il proprio ingresso nella mia stanza alle ore 12.40 in punto.
La mia infermiera Caterina mi aveva avvertito che la signora si era presentata alle 8.30: con quattro ore di anticipo, dunque, rispetto all’orario dell’appuntamento.
“Sarà la solita nevrotica apprensiva”, avevo risposto, già immaginando il peggio.
Appena la signora varcò la porta, pensai: Che balena.
Indossava un vestitino elasticizzato lungo fino alle caviglie di colore marrone scuro, che metteva in risalto i tremolii e i ballonzolamenti dei suoi monumentali pannicoli adiposi, e la faceva apparire come un instabile budino al cioccolato sul punto di spiattellarsi. Per di più, impiegò diversi secondi prima di arrivare in prossimità della mia scrivania, perché si muoveva in modo incredibilmente lento, con dei passettini che le consentivano un avanzamento di soli dieci centimetri ogni volta che uno dei suoi gonfi piedini bianchicci si posizionava davanti all’altro: in effetti, compressi com’erano nelle minuscole ballerine nere che la signora indossava quel giorno, quei piedi mi sembrarono dei maritozzi troppo farciti di panna.
Con lei, entrò nel mio studio una ragazza sui 18 anni, che a occhio e croce misurava più di un metro e settanta per non meno di 100 kg. Stava ruminando una gomma americana con ampi movimenti della mandibola ed era talmente presa dal proprio cellulare da non alzare nemmeno la testa per fare un cenno di saluto.
Indossava anche lei delle ballerine – rosse, nel suo caso – ma l’aspetto più stupefacente del suo abbigliamento consisteva nella micro–gonna jeans, che metteva in risalto due gambe elefantiache, le cui cosce erano crivellate da buchi, cavità e crateri cellulitici di varia misura, tanto che mi ricordarono la superficie lunare.
A quel punto non potei fare a meno di sussurrare: “Dio mio, che ho fatto di male stamattina per meritare questi due scaldabagni?”.
Devo essere sincero: a me le donne grasse non erano mai piaciute.
Soprattutto per questa ragione mi erano sempre capitate, nella vita, donne magre o addirittura quasi anoressiche, con seni talora inesistenti e gambe secche come grissini.
La ragione, non la so.
Forse tutto nasceva dal fatto che ero cresciuto tra donne decisamente floride – mia madre, le mie nonne, e perfino mia sorella – e i miei gusti sessuali erano sempre andati nella direzione opposta alla ciccia.
Anche a scuola, durante gli anni del liceo, ricordo che tendevo a innamorarmi di ragazze magre, e mia moglie quando ci siamo separati non raggiungeva i 60 kg di peso.
In quel periodo, oltretutto, non mi sentivo di sicuro allegro.
Con Laura avevo chiuso da poche settimane, e la ragione era in definitiva sempre la stessa: lei voleva una relazione ‘seria’. Come se venire a casa mia a fare l’amore non fosse una cosa seria. O perlomeno: io la prendevo come una cosa serissima, non so lei.
“Hai 52 anni, oramai” – mi aveva detto col solito tono da essere superiore e un’espressione disgustata – “È ora che tu cresca. Se continuerai in questo modo, il tuo destino è solo uno: rimanere solo”
“Che pacchia”, avevo pensato, e l’avevo guardata andar via senza dire una parola.
La solitudine mi piaceva, insomma, e tutto sommato il mio unico vero problema era rappresentato proprio dal lavoro: troppe visite, troppa gente che mi cercava giorno e notte, troppe persone che avevano bisogno di me per le ragioni più svariate e che pretendevano – non chiedevano – di essere curate, assistite, consigliate in modo sempre perfetto e inappuntabile.
Non le sopportavo più.
Quando, perciò, la Signora Martucci e quella specie di gorilla ciancicante della figlia si posizionarono di fronte alla mia scrivania, già provavo per loro una considerevole ostilità.
Guardando la ragazza, che proseguiva imperterrita a digitare sul cellulare, esordii con: “Buttare la gomma nel cestino. Spegnere il telefonino. Please”
Chiaretta, che finalmente si accorse della mia esistenza al mondo, abbassò le sopracciglia e guardò prima me poi la madre. Quest’ultima prese di corsa un fazzolettino di carta dalla borsa e con un “Buttala qui, dai” si affannò a porgerlo alla figlia prima che l’interessata – che si stava guardando intorno alla ricerca del cestino – potesse sputarla da qualche parte. Poi, dopo aver requisito il cellulare, si rivolse finalmente al sottoscritto: “La scusi, dottore: sa come sono i ragazzi a quest’età…”
Sono degli stronzi insopportabili e tua figlia, che meriterebbe di essere presa a schiaffi, ne è un esempio classico, fu la mia considerazione mentale. Ma ovviamente la mia risposta fu vergognosamente ipocrita: “Lo so, signora. Anche io ho un figlio…”
Le invitai ad accomodarsi, e iniziai con la domanda di rito: “Come mai siete qui?”
Gli occhi della Martucci si illanguidirono: “Beh, dottore, abbiamo un problemino, e vorremmo che lei ci facesse una bella visita…” Si fermò un secondo prima di proseguire, sfregandosi le braccia – simili a prosciutti – con le mani: “Posso chiederle la cortesia di chiudere la finestra, dottore? Qui fa un freddo terribile e non vorrei che la bambina mi si raffreddasse”
Oddio, nemmeno è entrata e già si lamenta. Non ce la posso fare, pensai, alzando gli occhi al cielo.
Chiusi la finestra con un sospiro, dopodiché mi sedetti e domandai: “Mi scusi, ma…’abbiamo un problemino’ significa che ce l’avete tutt’e due?”
“No, no. Il problemino ce l’ha Chiaretta”
Mi dissi: Altro che problemino: ne ha una camionata, di problemi, però mi limitai a chiedere: “Di che si tratta?”
“Beh, vede, dottore, forse lei mi considererà una madre esagerata ma…” – indicò la figlia – “abbiamo messo su qualche chiletto e vorrei che lei ci desse qualche consiglio per perderlo”
Sorrisi, pensando: Questa branda pesa come minimo un quintale e la mamma parla di ‘qualche chiletto’: è matta, non c’è dubbio.
Puntai gli occhi sulla ragazza per un secondo esatto, cercando di apparire amabile, ma ne ricevetti in cambio uno sguardo caloroso quanto quello di una lucertola. Ma quanto le sto sul cazzo, a questa qui?, mi chiesi. Stranamente, poi, lei decise proprio in quel momento di accavallare le gambe, esponendo ai miei occhi la bianca superficie grumosa – simile a uno yogurt andato a male – delle sue cosce: immaginai per un istante di accarezzare quella massa informe di carne ma mi retrassi subito da quel pensiero, meravigliandomi di me stesso.
La voce della Martucci mi riportò alla realtà: “Purtroppo negli ultimi tre anni la bambina non ha più voluto praticare alcuna attività. Mi si è un po’ impigrita, insomma…”
Domandai: “Ma lei e suo marito fate qualche sport, signora? Vi muovete? Insomma, date il buon esempio alla ragazza?”
La donna scoppiò in una risatina:”Io di sicuro non posso fare nulla, dottore! Ho dei problemi alla schiena, soffro di colite spastica e ho perfino una serie di intolleranze alimentari. Per quanto riguarda mio marito, non credo che abbia mai praticato un’attività nemmeno da ragazzo. Di recente, poi, ha anche avuto un infartino”
Il minimo che gli potesse capitare, con una come te, pensai, ma mi sforzai di essere ancora una volta comprensivo e professionale: “Mi dispiace molto”
Andai avanti con le domande ancora per una decina di minuti, stancamente.
Non ne potevo più.
Sentivo dentro di me sempre più forte il desiderio di dire a quelle due ciò che pensavo realmente di loro.
Chiaretta, per di più, aveva iniziato ad assumere atteggiamenti molto strani: mi guardava con le sue piccole labbra atteggiate in quello che poteva anche sembrare un vago sorriso, e aveva cambiato posizione sulla sedia, spaparanzandosi a gambe aperte, al punto che non potei fare a meno di buttare uno sguardo sulle sue mutandine color fucsia. Feci caso alle sue mani, poi: malgrado le dita fossero simili a dei salamini cacciatori, aveva delle unghie lunghissime, dipinte di un rosso sgargiante.
Ma guarda un po’ che mi doveva capitare stamattina, pensai con un sospiro.
Conclusa l’anamnesi, mi alzai in piedi e mi avviai verso la bilancia, dicendo: “Bene, iniziamo allora da statura e peso”
Chiaretta si alzò guardando in basso. Poi, sempre con la testa china, andò a spogliarsi dietro il paravento, non prima di avermi lanciato un’occhiata da dietro la spalla.
Ricomparve alla mia vista scalza, indossando solo il reggiseno – che a stento conteneva due mammelle grosse come palloni da basket – e, soprattutto, un mini perizoma fucsia che si intuiva soltanto, nascosto com’era tra le sue chiappe, le quali mi ricordavano due mongolfiere volteggianti in modo indipendente l’una rispetto all’altra.
Aveva una strana espressione tra l’umiliata e la lusingata.
Pensai: Ma che palle. Devo proprio cambiare mestiere. E adesso che vuole questo pachiderma?
Malgrado, però, quella scena mi irritasse, mi sorpresi a guardare di soppiatto, quasi affascinato, lo spettacolo di quel mastodontico culo.
La misurai. “Un metro e settantaquattro per 107 kg” – fu il responso della bilancia, che annunciai a voce alta.
La Signora Martucci emise un gemito addolorato, ma la ignorai e iniziai la visita.
Aiutai Chiaretta a posizionarsi sul lettino di legno, facendola prima sedere e poi prendendola per le caviglie, in modo di sollevare le sue gambe per consentirle di ruotare dalla posizione seduta a quella sdraiata. In ogni caso, il lettino era troppo piccolo per le dimensioni della ragazza e scricchiolò in modo sinistro sotto quel peso.
Cominciai a palpare il suo addome. Il contatto con quella vasta spianata di protoplasma biancastro mi diede una sensazione mai provata: in altri termini, mi resi conto come, per la prima volta nella mia vita, tutto quel grasso non stava suscitando in me l’abituale ripulsione.
Proseguii con l’ascoltazione cardiaca, e tentai di infilare il fonendoscopio tra quelle immense mammelle, facendomi strada attraverso il reggiseno. Per ascoltare la punta del cuore, però, con l’aiuto dell’infermiera dovetti sollevare la mammella sinistra quel tanto che mi consentisse di posizionare lo strumento sotto di essa, a livello dello spazio intercostale.
Percepii il respiro un po’ accelerato della ragazza, mentre il dorso della mia mano, che reggeva il fonendoscopio, stava sotto la superficie della mammella: pensai stupefatto che il calore di quel contatto tutto sommato mi piaceva, e indugiai qualche secondo di più in quella manovra semeiotica.
Lei continuava a scrutarmi e, quando le afferrai il braccio per applicarle il bracciale dello sfigmomanometro, mi sfiorò per un secondo il pube col dorso della mano.
In quel momento accadde qualcosa di sorprendente, perché quel gesto, all’apparenza del tutto casuale, mi provocò qualcosa che non mi era mai accaduto nel corso di una visita: una violenta erezione.
Mi resi conto di essere diventato paonazzo ma cercai di non girarmi verso la scrivania alle mie spalle, in prossimità della quale era seduta la Signora Martucci.
Chiaretta, invece, ora sorrideva in modo plateale: Ti stai divertendo molto, eh, barile di lardo?, pensai.
Provai ad andare avanti concentrandomi su qualcos’altro, e mi dedicai all’elettrocardiogramma.
“Ritmo sinusale, asse elettrico equilibrato, PQ e QT normali. Tutto perfetto, signora” – dissi – “la ragazza è solo parecchio agitata, ma non ha problemi: il cuore è sano”.
A quel punto, ne approfittai per tornare a sedermi e assestarmi dei colpetti delicati sulla patta dei pantaloni, sotto la scrivania, nel tentativo disperato e velleitario di ridurre il gonfiore che percepivo. Poi andai avanti, proponendo alla signora: “Che ne dice se le facciamo anche un test da sforzo, così verifichiamo la cilindrata?”
“Ce n’è proprio bisogno?”, domandò la madre.
“Beh, signora, se dobbiamo iniziare un programma di dieta e attività sportiva, una valutazione sotto sforzo è opportuna e utile. La sottoporrò solo a un semplice step–test: durerà meno di cinque minuti”
“Va bene, dottore. Se proprio è indispensabile”
Guardai la ragazza, che ricambiò il mio sguardo. Ora ti faccio sudare un po’ e sputare l’anima, stronzetta.
Diedi inizio all’esame, ma Chiaretta era talmente goffa che non riusciva nemmeno a coordinare i movimenti delle gambe per salire e scendere sulla panca.
Che razza di orso di marmo – mi dissi – non sa nemmeno eseguire un movimento semplice come questo.
Già dopo il primo minuto, la ragazza iniziò a sbuffare come una locomotiva a vapore. Arrivò subito a 180 di frequenza cardiaca e un paio di volte rischiò di inciampare, riprendendo l’equilibrio solo grazie al sostegno mio e dell’infermiera che le tenevamo le mani, da una parte e dall’altra.
“Cerca di controllare il movimento” – esclamai – “E stai attenta a dove metti i piedi”
Nel frattempo la mia erezione non accennava a regredire. Mi accorsi all’improvviso che Chiaretta, malgrado fosse impegnata nella prova da sforzo, aveva puntato lo sguardo sul rigonfiamento che si intravedeva attraverso i miei pantaloni e sorrideva compiaciuta.
Per questa ragione, mi affrettai a lasciare la sua mano per abbottonarmi il camice e impedirle quella vista.
La mancanza improvvisa del mio appoggio, però, le fece perdere l’equilibrio.
Inciampò ancora, ma questa volta Caterina da sola non riuscì a reggere i 107 kg della ragazza quando cadde a faccia in avanti. L’infermiera, perciò, fu trascinata a sua volta nella caduta e le due piombarono entrambe al suolo ma, prima di atterrare, Chiaretta sbatté con violenza la fronte contro il muro, producendo un rumore sordo.
Quando si rialzò, una larga macchia di sangue si era già formata sulla sua fronte, e il liquido rosso iniziava a gocciolare lungo il suo corpo e per terra, formando una chiazza.
Vidi subito che sulla fronte c’era un taglio profondo, lungo almeno tre centimetri, ma non feci in tempo a intervenire in alcun modo perché quasi contemporaneamente scoppiò la reazione isterica della Signora Martucci, la quale iniziò a gridare “aiuto!”, saltando su dalla sedia con le mani ai capelli.
La signora tentò poi di andare verso la ragazza, che nel frattempo aveva iniziato a piangere e a urlare. Nel farlo, passò di corsa davanti alla finestra ma mise male un piede, scivolò all’indietro e, nel tentativo di reggersi a qualcosa, si aggrappò alle tende strappandole dai sostegni.
Cadde pesantemente per terra, prima sul culone e poi sulla nuca, avvolta nelle tende: un vortice di panni svolazzanti e lardo.
Il tonfo fu talmente forte da far vibrare il pavimento, e la Signora Martucci perse immediatamente conoscenza, rimanendo lì ferma, col pancione all’aria.
Sembra una balena spiaggiata, mi venne da pensare all’istante.
Dovetti decidere in un secondo cosa fare, mentre Chiaretta urlava sempre più forte.
Anche Caterina, per di più, invece di fare qualcosa per aiutarmi se ne stava seduta per terra tenendosi il braccio con l’altra mano, e si lamentava piagnucolando: “È rotto!”
Iniziai ad esaminare la Martucci, cercando di capire l’entità dei danni e il da farsi.
Prima mi accertai che respirasse. Poi, le sollevai delicatamente il capo, quel tanto che mi occorreva per verificare se ci fossero danni evidenti a livello dell’occipite. Passai una mano sulla zona e la retrassi quasi subito zuppa di sangue: anche la signora, dunque, si era prodotta un grosso taglio a livello della nuca, e nel giro di pochi secondi sul pavimento sotto la sua testa iniziò a formarsi una pozza scura.
Avevo tre persone ferite nel mio ambulatorio, quindi, di cui una svenuta con un serio trauma cranico, e le altre due che piangevano e urlavano senza tregua.
Il volto di Chiaretta, per di più, era oramai una mostruosa maschera di sangue gocciolante, e mi sorpresi a pensare: Certo, se qualcuno entrasse in questo momento e la vedesse, gli prenderebbe un colpo.
A quel punto, udii un “Ma che succede?”, si aprì di botto la porta dell’ambulatorio e apparve un signore calvo e magrissimo con gli occhi dilatati simili a quelli di una civetta, il quale rimase per qualche istante a bocca aperta, cercando di comprendere il massacro sanguinolento che aveva davanti a sé.
Dopodiché, anche lui iniziò ad urlare: “Chiaretta! Carla! Oddio!”
Era, con ogni evidenza, il Signor Martucci.
Pensai: Ecco, ci mancava solo questa, ora.
“Si calmi, signore, e mi dia una mano piuttosto! Chiami subito il 118!”, esclamai.
Ma il Signor Martucci non fece in tempo a digitare i tre numeri sulla tastiera del cellulare che aveva estratto dalla tasca della giacca, perché si mise una mano sullo sterno, emise una specie di grugnito e si accasciò al suolo con gli occhi ancora spalancati e le labbra retratte a mostrare i denti, portando giù con sé un tavolino col ripiano di vetro – colmo di strumenti ed oggetti di ogni tipo – al quale si era appoggiato nel tentativo di reggersi in piedi.
Quando il ripiano si frantumò, cadendo a terra col fragore di una bomba, una nube di schegge di vetro si proiettò in tutti gli angoli della stanza, andando a depositarsi perfino sul pancione della Signora Martucci ancora svenuta.
E che cazzo… – pensai – questa è sfiga vera.
Lasciai per un secondo la Signora Martucci e mi accoccolai sul marito: non respirava.
“Questo se ne va…”, mormorai, e iniziai subito il massaggio cardiaco.
Nel frattempo, urlai a Caterina: “Cazzo, Caterina, anche se hai un braccio rotto una mano puoi darmela! Chiama il 118 e prendi il defibrillatore, dai!”
Continuai a massaggiare il Signor Martucci per almeno un minuto, fin quando l’infermiera mi portò il defibrillatore semiautomatico e iniziai a posizionare sul torace dell’uomo gli elettrodi adesivi.
“Sta in fibrillazione ventricolare” – dissi a Caterina, la quale nel frattempo aveva recuperato un po’ di calma – “allontanati”.
Partì la scarica e, dopo qualche secondo, l’uomo emise un sospiro e riprese a respirare regolarmente.
Forse ce l’abbiamo fatta, pensai.
Mi riavvicinai alla Signora Martucci e iniziai a tamponarle con delicatezza la ferita con delle garze sterili, fin quando un gemito flebile mi indicò che anche lei stava riprendendo conoscenza.
Gli operatori del 118 arrivarono un paio di minuti dopo.
Quando entrarono nella stanza, anche loro rimasero a bocca aperta, perché sembrava il teatro di un attentato terroristico.
Per fortuna, sia i coniugi Martucci che Chiaretta se la cavarono senza troppi danni.
Il capofamiglia riprese a lavorare dopo un mese e sia lui che la signora riuscirono ad ottenere un grosso indennizzo dall’assicurazione: in altri termini, quell’evento fu per loro una manna dal cielo, perché fruttò diverse decine di migliaia di euro.
Ciò che più conta, però, è che da quel giorno la mia vita è cambiata, perché mi è successa una cosa assai strana: ho perso ogni interesse per le donne magre mentre, viceversa, ho iniziato ad apprezzare e a ricercare solo donne decisamente obese.
Quanto a Chiaretta, la rividi circa un anno fa.
Passò a trovarmi in ambulatorio e ci ritrovammo a ricordare quell’episodio del passato, sganasciandoci dalle risate.
Nel corso del tempo lei aveva preso qualche altro kg, e in quel momento il suo peso aveva superato i 120: il che aveva portato allo spasimo il mio interesse per lei.
Nelle settimane successive, perciò, ci rivedemmo diverse altre volte e – non so bene nemmeno io come successe – una sera la invitai a casa mia e passammo la notte insieme.
Fu meraviglioso, e devo ammettere che nessun’altra donna mi ha mai gratificato sessualmente quanto lei.
Il semplice pensiero delle sue enormi gambe burrose mi provoca tutt’ora un’erezione violenta e poi, chissà perché, quella cicatrice sulla sua fronte accresce ulteriormente la mia attrazione erotica nei suoi confronti.
Lei diceva di amarmi, malgrado la differenza di età.
A letto, una volta mi aveva rivelato una cosa: che le ero piaciuto fin dal primo momento in cui mi aveva visto.
La nostra storia, però, finì dopo un paio di mesi quando Chiaretta decise inspiegabilmente di mettersi a dieta. Degli amici comuni mi hanno detto di averla vista di recente: pare che abbia perso più di cinquanta kg e che si sia fidanzata col suo istruttore di ginnastica. Ma a me non interessa più, non torno più indietro, non mi potrò più accontentare di una donna di meno di 120 chili.
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Molto ironico e inusuale anche questo, complimenti 🙂
Grazie!
Ah..finalmente un raccontino che non trasuda pene..(oppss!) d’amore perdute …o disperazioni esistenziali.E ‘ più difficile far ridere che piangere, diceva Totò.questo dottore lo preferisco di gran lunga agli altri dottor buonisti dei miei stivali , falsi come Giuda ! viva la ciccia!
Grazie, Laura: credo che tu abbia proprio colto uno degli elementi principali che volevo esprimere nel mio racconto, il quale peraltro ha riscosso talora delle critiche un po’ rabbiose da parte di lettori che evidentemente non ne hanno percepito l’ironia di fondo.
Devo dire che anche a me è piaciuto molto,mi ha divertita e nello stesso tempo mi ha fatto riflettere su quanto siamo imprevedibili noi esseri umani! Bravo in bocca al lupo.
non avrà apprezzato di sicuro qualche stolto finto intellettualoide sessantottino represso ! BE’ io non chiedo mai , ma se leggi uno dei miei raccontini (col titolo latino) mi farebbe proprio piacere sapere cosa ne pensi !! A me piace l’humour grottesco ed il tuo ( e penso anche il mio ) ne è pieno…! W le balenottere ! ( la mia nel mio raccontino non lo è per nulla!)
Leggerò di sicuro i tuoi racconti e li commenterò!
Bello il tuo racconto, di facile lettura, divertente. Bravo! Passa a leggere il mio racconto se ti va 🙂 In bocca al lupo!
Complimenti, mi sono proprio divertita! Potrebbe essere la sceneggiatura di un film comico, alla Fantozzi. Ben scritto e non ti va di lasciarlo nemmeno un secondo.
Letto tutto d’un fiato. Se ti va di leggere il mio racconto te ne sarei grata. Il mio non fa per niente ridere, però! In bocca al lupo!
Mi è piaciuto molto! Divertente ed ironico. Complimenti!
Se ti va, sbircia il mio. ????
Mi sono proprio divertita. Il ritmo incalzante nello studio mi ha tenuta incollata alle parole fino a che non sono arrivata alla fine.
Un grazie di cuore a Eleonora, Noemi, Laura, Stefania, Vincenza, Arian e Marzia!
Credevo che pochissimi avrebbero letto il mio racconto ma, soprattutto, avrebbero avuto voglia di commentarlo. 🙂
Divertentissimo, mi sto ancora sbellicando!!!
Prosa sciolta, scioltissima ed incredibilmente adatta al genere.
Grande Antonio!!! 🙂
Divertentissimo. Non so se direi lo stesso se pesassi 130 kg. A parte la battuta, mi ha divertito molto. È scritto bene e ha un ritmo, che nella letteratura ironica è dfondamentale, perfetto. Levami la curiosità: sei un medico? Le descrizioni e i termini sono così precise da farlo pensare. Complimenti.
Cari Lorenzo e Costantino, grazie per i complimenti!
In effetti, si, sono un medico, sebbene con tutta sincerità una vicenda come quella del racconto non mi sia mai capitata. 🙂
Molto bravo Antonio e anche molto furbo. La vicenda ha dei tratti grotteschi e, quasi surreali, ma è resa credibile dal ricorso a una certa terminologia medica che ovviamente padroneggi alla perfezione essendo del mestiere. Poiché in contesti come quello dove ci troviamo a confrontarci è piuttosto facile fraintendersi preciso che il ‘molto furbo’ è da intendersi come un complimento. Ironico e surreale, con un ritmo incalzante e, in certi passaggi, addirittura frenetico.
La parte che ho preferito sono le descrizioni, a un certo punto me li sono trovati tutti davanti: il dottore, la signora Martucci, Chiaretta, Caterina e il povero, magrissimo signor Martucci.
Bravissimo davvero. Me lo sono proprio goduto. Se hai voglia e tempo passa pure da me (ho scritto un paio di racconti: Eghus nella sezione racconti per bambini e La Maledizione di famiglia). Ciao