Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Risveglio” di Adriano Isernia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Aprì gli occhi ed avvertì subito il disagio, era sudato; ma non era questo che gli dava fastidio, piuttosto la sua testa. Era turbato da quello che aveva sognato. Non il solito concatenarsi, più o meno illogico, di immagini e sensazioni, ma tutta la sua vita istante per istante, come se l’avesse rivissuta in una notte. La luce del mattino filtrava inequivocabile attraverso le persiane, tuttavia non riusciva ad attribuirle un’ora precisa…era veramente mattina? Confuso e intorpidito, come se il sonno non lo volesse lasciare, girò lentamente la testa verso il comodino, istintivamente cercando qualcosa che lo rassicurasse. Ritrovò le foto, alcune piccole, altre più grandi, per lo più in bianco e nero, qualcuna già a colori: le poche immagini della sua vita sembravano ancora lì dove le aveva lasciate la sera prima , quando aveva spento la luce e si era addormentato. Si rigirò e mentre fissava il soffitto si rese conto di non sentire alcun rumore, alcuna voce provenire da fuori, eppure la finestra era socchiusa. Fu allora che gli venne in mente che quella mattina (se era veramente mattina) sarebbe dovuta venire la signora delle pulizie; era sicuro fosse martedì e da anni ormai i giorni fissi delle pulizie erano martedì e venerdì, appunto. E allora, di lì a poco, sarebbe arrivata.

Ritornò con un filo di angoscia al sogno della notte precedente: perché tutto così nitido e chiaro?

Pensò che fosse il caso di alzarsi ed allontanare così quelle inquietanti sensazioni. Si ritrovò seduto sul letto senza ricordarsi di aver fatto né movimenti, tanto meno sforzi, per mettersi in quella posizione. Avrebbe dovuto fare colazione ma non aveva alcun stimolo di fame e l’idea di dover mangiare si dissolse come il ricordo di un’esperienza lontana nel tempo, che non gli apparteneva più. Si guardò le mani poggiate sulle gambe, sui dorsi le vene scure affioravano dalla pelle slavata, quasi grigia, lucida e tirata che sembrava stesse per lacerarsi, come un foglio consunto dal tempo. Un diafano involucro che lasciava ormai intravedere la miseria del corpo; le ossa delle mani, delle dita, che un tempo, qualche volta, si era trovato ad immaginare, ora erano lì sotto i suoi occhi, le poteva toccare, un concreto e tangibile indizio di ciò che sapeva essere il suo destino ma la cui idea, fino ad allora, aveva sempre scacciato lontano. D’altro canto, dopo tutto, gli sembravano le sue mani di sempre, quelle di tanti anni prima, di quando ancora ragazzino si soffermava a guardarle e le trovava giuste, adeguate, eterne. Nell’insieme non gli apparivano cambiate, anche adesso vi ritrovava le forme, i segni, i profili di un tempo, le sue mani avevano ancora la stessa faccia e le riconosceva benissimo nonostante il loro degrado fisico. Mentre continuava ad osservarle trasalì, dal suo passato era scivolato nuovamente nel sogno della notte trascorsa, dove erano finiti tutti i suoi ricordi. Aveva l’impressione che la sua memoria non facesse più parte di lui, della sua intimità, la poteva sì vedere, ne riconosceva ogni istante ma non apparteneva più a lui, era stata archiviata insieme a tutto ciò che era stata la sua vita, poteva ancora accedervi, ma da estraneo. Era in piedi. A dispetto della decisa posizione di veglia, la sua mente continuava ad indugiare nelle foschie del primo risveglio. Da quel punto di vista più elevato la stanza, nella luce di quel probabile mattino, appariva la stessa di sempre. I dettagli gli erano familiari: le venature del legno della testata del letto; la tenda sganciata che pendeva da così tanto tempo che ormai pareva non potesse starsene altrimenti; la ragnatela fra il lampadario ed il soffitto sempre lì, in alto, al riparo dalle stanche attenzioni della signora che ormai da anni periodicamente dava una sistemata alla stanza. Di nuovo gli sovvenne che quella mattina sarebbe dovuta venire, ma di nuovo quel pensiero durò un istante e come arrivò così scomparve come si trattasse di un’eventualità molto improbabile. Nel silenzio più totale fece alcuni passi verso il piccolo tavolino appoggiato alla parete sul quale stava un grande specchio. La sua immagine riflessa fu come una sentenza. L’inquietudine del risveglio divenne paura e, trepidante, avvicinò il viso come per scrutarsi meglio e cercare di trovare una spiegazione a quanto gli stava accadendo. Arrivò quasi a toccare lo specchio con il naso fissandosi le orbite buie; notò impressionato che le sue narici non lasciavano aloni sul vetro; sgomento, non riusciva ad allontanarsi dalla tetra oscurità del suo volto, quando gli parve di sentire chiaramente sbattere il portone in fondo alle scale. Pensò subito alla domestica che difatti aveva da sempre una copia delle chiavi. Si distolse dall’immagine del suo viso riflesso e guardò verso la porta della stanza in attesa che si aprisse da un momento all’altro. Sperava che ciò avvenisse il prima possibile, così da rompere l’angosciante incantesimo che aveva avvolto il suo risveglio ma allo stesso tempo nutriva un forte dubbio, anzi, era più che convinto dell’impossibilità di ritrovare la quotidiana normalità. Gli istanti passavano senza che nulla accadesse ed in poco tempo si arrese all’evidenza che nulla sarebbe successo. Alla rassegnazione seguì un istante di assoluto terrore in cui fu quasi sopraffatto dal panico. Il peggior sospetto si impadronì della sua mente, era chiaro, addirittura banale e provò quasi imbarazzo per non essersene accorto subito. Nella sua lunga esistenza aveva pensato a quel momento infinite volte, si era immaginato l’insieme di sensazioni e pensieri che avrebbe avuto; ma era un gioco di breve durata, subito rinviato, scacciato dai mille impulsi della vita che ininterrottamente travolgevano il suo corpo e la sua mente. Ora quegli stimoli si erano dissolti, non c’era nulla che riuscisse a prenderne il posto, ad allontanare, mettere in fuga gli incubi del passato che, come d’altronde aveva sempre saputo, prima o poi sarebbero divenuti realtà, proprio come quella mattina.

Si sedette e cercò di capire quale fosse il suo stato d’animo. Era convinto che avrebbe dovuto sentirsi smarrito, impaurito, terrorizzato, insomma provare sensazioni orribili e con cautela, timoroso di quanto lo attendeva, tuttavia senza esitazioni, aveva deciso di abbandonarsi all’abisso di quella condizione. Ma si rese conto che era ancora in grado di riflettere, pensare; queste funzioni non gli pareva potessero essere compatibili con la fine di tutto: di che cosa si trattava, allora? Incominciò a cercare freneticamente nei cassetti un foglio, un pezzo di carta, anche usato, voleva scrivere, comunicare, lasciare una traccia. Trasmettere le impressioni, i sentimenti, i pensieri. Ma a chi, poi? Non se lo chiese neppure, che importava; chiunque fosse mai entrato in quella stanza andava bene. Non prese neanche in considerazione la possibilità che egli stesso fosse potuto uscire da lì e del fatto che avesse escluso a priori, come se fosse del tutto naturale, questa ipotesi se ne accorse mentre continuava a frugare tra le sue carte. Quando si rese conto di ciò gli si spense ogni fremito, fu mortificato ogni desiderio, speranza, di poter ancora avere un rapporto con qualcuno e si abbandonò sulla sedia svilito ed esausto. Il silenzio era totale, anche il suo respiro sembrava inghiottito nel vuoto della camera e tutto il suo corpo era muto. Chissà che ore erano, pensò. Si tastò il polso, magro e nodoso, ma il suo orologio non c’era; lentamente guardò nella stanza, ci doveva pur essere una sveglia su un mobile o un orologio appeso da qualche parte. Ma fra quelle quattro mura non c’era più niente di attuale, niente che potesse rimandare ad un presente circostanziato ed accidentale, niente che facesse pensare al vitale divenire; sembrava tutto archiviato, tutto stabilito al di là di ogni incertezza, immune da ogni possibile cambiamento, insensibile ad ogni disturbo. Una bolla intorno alla quale il tempo continuava a fluire senza poterla attraversare, impenetrabile, come un piccolo scoglio di roccia nel mezzo di un fiume. Anche la luce che entrava dalla finestra era bella, calda, faceva intuire un cielo azzurro senza nuvole, ma era fissa, immobile, quasi monotona, come un istante reiterato all’infinito. Quel luogo era un’istantanea dei suoi ricordi e lui ne faceva ormai parte. Fuori, nel corridoio, sentì chiaramente delle voci, si alzò di scatto e corse alla porta spinto più dalla necessità di sapere qualcosa che dalla speranza di farsi sentire; accostò l’orecchio alla porta come per origliare, e rimase immobile nell’avida attesa di cogliere una qualche parola che desse un minimo di senso a tutto ciò. Erano due donne, parlavano animatamente ma inizialmente non riusciva a capire di cosa discutessero, nel loro tono di voce, nella parlata, però c’era un che di familiare. Mentre sentiva che si stavano avvicinando fu preso dall’euforia, forse qualcosa stava finalmente accadendo. Erano sempre più vicine e lui si fece ancora più addosso alla porta per non perdere il minimo suono, il minimo rumore. Erano orami arrivate davanti alla stanza, pochi centimetri di muro li separavano, gli pareva di poterle quasi toccare ed era talmente eccitato che non prestava nemmeno attenzione a quello che stavano dicendo; poi, fra gli echi di quel dialogo indefinito, come un intuizione rivelatrice, colse il proprio nome. Allora- pensò agitato- erano lì per lui! qualcuno era davvero venuto a cercarlo! Era sicuro che avrebbero alla fine aperto quella porta. Quella sua certezza fu invece travolta dal più totale silenzio, non più una voce, non più un suono. Rimase un istante incredulo poi incominciò convulsamente a spostarsi con l’orecchio da un punto all’altro cercando disperatamente di riprendere il filo che si era così improvvisamente, assurdamente interrotto. Ma nulla, niente, tutto finito. Quella porta era come una sottile diaframma lungo il quale due mondi si sfioravano, totalmente, irrimediabilmente incompatibili. Si sentì mancare il respiro, come se l’avessero rinchiuso in una scatola senz’aria. Incominciò a tremare preso dal panico, ansimante prese a vagare per la stanza, avrebbe voluto correre ma era debole, muoveva le gambe estremamente magre con fatica e passo incerto. Lentamente arrivò al letto e si sedette, stremato. Gli parve di riuscire a calmarsi. Si coricò, il tempo che aveva trascorso in quella stanza gli sembrò infinito, un presente diventato sempre, immutabile; un luogo e un momento condanna per l’eternità. Rimase a guardare il soffitto della sua camera, era debole, non riusciva a pensare più a nulla e si lasciò dolcemente sopraffare dal sonno. Nel limbo tra veglia e oblio prima di addormentarsi, ebbe un fremito, la speranza che al suo risveglio tutto sarebbe tornato come prima.

Aprì gli occhi ed avvertì subito il disagio, era sudato; ma non era questo che gli dava fastidio, piuttosto la sua testa. Era turbato da quello che aveva sognato…

Loading

1 commento »

  1. Onirico e inquietante, mi ha colpito

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.