Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Un estraneo” di Leonardo Mattei

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Se qualcuno me l’avesse chiesto, avrei faticato a dire da quando ebbe inizio la nostra amicizia.
Da quel che ricordo, mi pare che fossimo sempre stati lì: seduti ad un tavolino di un bar, io, marco, gianni e luigi, come quattro giovani anziani per sempre cristallizzati nella loro metforica briscola , nei sempiterni gesti più o meno quotidiani, nella stanca e placida ripetizione delle nostre ben poco notevoli vite.
Forse era iniziato tutto ai tempi del liceo, quando io soffrivo la sorte destinata dal buon dio a tutte le persone intelligenti e insicure: La totale solitudine. Durante un giorno della cosidetta autogestione (una nobile pratica scolastica che consisteva nel levare dalle sapienti mani dei dotti insegnanti il gravoso fardello di badare ai loro allievi, con loro grande dispiacere si deve supporre), mi incamminavo in un corridoio, apprestandomi a tornare in classe per riprendere le mie letture (una raccolta dei racconti di Kafka, autore che come qualsiasi cosa del minimo interesse, non trovava spazio nel programma scolastico) quando mi giunsero alle mie orecchie dei suoni sconosciuti, provenienti da un’aula vicina: Delle grida decisamente insolite per qualità, che non facevano pensare a nulla di allarmante (pensai che fosse un peccato al momento, sarebbe stato più interessante), ma che comunque meritavano la mia famelica attenzione.
Avvicinandomi alla porta dell’aula incriminata, e sbirciando all’interno badando bene di non farmi vedere scorsi immediatamente un ragazzo in deciso sovrappeso, mentre si esibiva in una strana pantomima, una danza così ridicola che in quegli attimi mi fece temere di trovarmi per qualche strano scherzo del destino in un’ala di un ospedale psichiatrico.
Solo alcuni secondi dopo compresi che si trattava di un rituale di giubilo, che serviva ad esprimere (in maniera decisamente poco ortodossa) la soddisfazione del suddetto giovane per una mossa particolarmente riuscita in un gioco da tavolo, che avevo scorto sul banco davanti a lui. Oltre al gioco, intravidi anche altri due giocatori, seduti mogi e comprensibilmente infastiditi dall’esibizione del loro compagno. Come era prevedibile, non diedero il minimo segno di essersi accorti della mia presenza, e ricominciarono a giocare come se niente fosse.
Li osservai con molta atenzione, affascinato dal fatto di non conoscere il gioco in questione, visto che mi aspettavo di scorgere uno dei soliti due o tre banali giochi da tavoli che la gente si ostina imperterrita a voler giocare in tali occasioni, non avendo a cuore evidentemente nè l’originalità nè il divertimento che dovrebbero essere collegati a tale attività.
Invece mi resi conto subito che questo aveva qualcosa di diverso: Anche essendo il solito gioco di guerra, aveva un’impostazione, una profondità e un’inventiva notevoli (tutte qualità che imparai ad apprezzare in seguito, ma che penso intuii sin da subito), e in breve fui catturato dallo svolgersi delle azioni dei giocatori. Dovevo essermi fatto prendere troppo, avvicinandomi a loro ed entrando nell’aula inconsapevolmente, perchè proprio mentre uno di loro stava muovendo una delle sue pedine, quello al suo fianco mi disse: “E tu chi sei?”. Sconcertato dalla domanda improvvisa, nel momento non riuscivo a dare una risposta articolato, limitandomi a versi indecifrabili e occhiate nervose ai tre.
A trarmi d’impaccio fu proprio il ragazzo grasso, che con un sorriso che si allargava al di sotto degli spessi ochhiali neri mi chiese se il gioco mi interessasse e al mio cenno affermativo mi invitò a sedermi.In breve fui presentato, prima agli altri due ragazzi (di cui ora non rammento i nomi), poi a lui, che come chiunque dovrebbe aver già intuito era uno di quelli che sarebbero diventati i miei unici amici; e precisamente Gianni. Gli furono sufficienti una manciata di minuti per introdurmi nel magico meccanismo di quel gioco, fatto di mosse attentamente pianificate e di innumerevoli e sottili strategie , che come avevo notato in precedenza potevano dare grande soddisfazione se ben eseguite. Terminata la loro partita, ne iniziarono un’altra, alla quale partecipai anch’io, e che fu la prima di molte a seguire, in quei pochi giorni scolastici, e in quei molti giorni passati a casa di Gianni , a quel gioco e a molti altri.
Gianni non ci mise molto a offrirmi implicitamente la sua amicizia, e non poteva nemmeno immaginare, lui persona estroversa e ignara delle pene della mia razza, il tesoro di cui mi aveva fatto dono.
Bisogna dire però che finora tra me e i miei altri coetanei c’era stato, oltre che l’ostacolo della mia timidezza, quello del mio caratere insofferente per chi sentivo non essere alla mia altezza (intellettualmente parlando), e chi non avesse almeno uno dei miei interessi. Gianni non rientrava in nessuna di queste due categorie, anzi.
Uno dei suoi punti di forza ai miei occhi era la sua passione per la storia (infatti di lì ad una manciata di anni sarebbe diventato uno storico), argomento che anche se non era in cima alla lista dei miei interessi (la letteratura e in generale la narrativa occupavano quel ben poco ambito podio), era comunque qualcosa che destava il mio interesse e destava dal torpore il mio intelletto perennemente tediato. Andava anche a suo favore il fatto che ne sapesse molto più di me sull’argomento, cosa che mi dispensava dal parlare troppo (cosa per me sempre molto ostica) e mi permetteva limitarmi ad ascoltarlo raccontare divertito uno dei suoi tanti aneddoti storici, che credo pescasse qua e là nelle cronache storiche di inernet o da qualche libro che aveva in casa (non gliel’ho mai chiesto con precisione).
Il secondo membro del gruppo in ordine di apparizione fu marco, da me incontrato alcune settimane dopo, durante uno dei nostri soliti appuntamenti pomeridiani ad un bar vicino casa, che come già accennato sarebbero durati per anni. Marco era un ragazzetto sciatto, secco, quasi deperito, dall’aria nervosa. All’epoca non aveva ancora la barba scura che gli avrebbe coperto il volto di lì a pochi anni (l’obiettivo era proprio questo diceva lui non so con quanto autentico disprezzo per il proprio aspetto, che comunque non sarebbe stato del tutto ingiustificato). Il più povero del gruppo, come si intuiva facilmente dal suo modo trasandato di vestire (non che lui lo nascondesse), ci infastidiva spesso rifiutandosi di partecipare ai nostri comunque non frequentissimi progetti in cui si dovesse spendere qualcosa, rifiutando anche qualsiasi tipo di aiuto pecuniario da parte nostra (non so se per orgoglio o per testardaggine), aiuto che io gli avrei dato volentieri visto che all’epoca (e anche in seguito) avevo sempre più soldi di quanti me ne servissero.
Entrò subito nelle mie grazie perchè sin dal nostro primo incontro mi ero messo in testa che lui fosse simile a me, e ancora oggi non so quanto fosse vera questa mia assunzione, avevamo alcune cose in comune ma anche parecchie differenze, del resto è probabilissimo che fosse l’effetto del contrasto con gianni, il quale come detto non poteva essere più diverso da me.
Poco dopo aver fatto la conoscenza di Marco fu il turno di Andrea, suo grande amico. Non poteva essere più diverso da lui sul piano fisico: Al contrario del suo gracile amico lui era alto, robusto, aitante, abbastanza piacente nel viso(almeno credo), eppure i due erano inseparabilIi. Certamente non posso dire che Andrea fosse il mio membro preferito del gruppo: Non era nè intelligente nè stupido, nè simpatico nè noioso, insomma l’emblema della mediocrità. Questo però non impediva a me e Gianni di invidiare il loro rapporto così speciale e che per noi era un’utopia. Non ho mai capito bene cosa li unisse così tanto, suppongo fossero amici d’infanzia, ma non mi sono mai preso la briga di chiederglielo.
Detto questo, noi quattro eravamo il fulcro del gruppo, che tale sarebbe rimasto negli anni a seguire, a parte temporanee aggiunte (di cui non c’è bisogno di parlare) e saltuarie defezioni più che altro di carattere sentimentale: All’epoca della narrazione, Gianni e Marco erano fidanzati già da qualche anno, mentre Andrea aveva avuto solo relazioni saltuarie, per quanto riguarda me come facilmente immaginabile quell’argomento rimaneva ancora del tutto alieno e terrificante (non che non volessi approfondirlo).
Così passarono gli anni, e ben presto mi resi conto che più che una vera amicizia la nostra non era altro che un insieme di abitudini, di gesti ripetuti alla’infinito e di placida sopportazione. Io, che comunque ringraziavo sempre la mia fortuna per avermeli fatti incontrare, nonostante fossi consapevole dell’abisso di solitudine dal quale ero scampato per miracolo non potevo fare a meno di sentirmi solo anche in loro compagnia e di fantasticare di incontrare quelli che avrei considerato dei veri amici: Persone con cui potersi confidare veramente, con i miei stessi interesssi e la mia stessa visione del mondo, e che sopratutto s interessassero veramente a me, anche se più passava il tempo e più persone incontravo cominciavo a vedere questa fantasia come qualcosa di estremamente irrealistico.
Mi ero convinto che l’unico ostacolo al raggiungimento di questi desideri fossi io, col mio cuore chiuso e restio ad aprirsi a chiunque, sempre terrorizzato dall’idea di poter essere ferito, insomma il problema comune a tutte le persone introverse che hanno avuto delle esperienze negative. Così non mi restava che accontentarmi di quelli incontri sempre uguali, di quelli eterni appuntamenti al bar che spesso mi sembravanon finissero mai.
Era proprio durante uno di questi,una domenica pomeriggio, che Gianni ci stupì tutti annunciandoci l’arrivo imminente di un ragazzo nostro concittadino che aveva conosciuto all’università (frequentava allora gli ultimi anni del corso di storia), che ci voleva presentare perchè lo aveva colpito per la sua intelligenza e il suo modo di parlare; cosa che detta da colui che consideravamo l’unico oratore carismatico che conoscessimo assumeva un peso non indifferente.
Roberto, così si chiamava, non tardò all’appello: Dopo pochi minuti entrò nel bar e se non si fosse avvicinato a noi e non avesse salutato Gianni non lo avremmo degnato della minima attenzione: Infatti appariva come l’apice dell’insignificanza,tanto che ancora adesso faccio fatica a tratteggiarne una descrizione. Basti sapere che aveva più o meno lo stesso fisico scarno di Marco, anche se era più basso, portava degli occhiali scuri con una montatura quadrata che andava di moda in quel periodo (l’avevo anch’io) e aveva una faccia allungata e un naso aquilino che lo rendevano simile ad un qualche tipo di uccello esotico. Il suo abbigliamento non aveva nulla di particolare, era impossibile stabilire da quello il suo stato sociale o i suoi gusti personali.
Per quanto ci abbia ripensato in futuro, non ricordo bene cosa ci disse quel giorno, di sicuro ci fece i convenevoli di rito e si presentò come uno studente di lettere (cosa che ovviamente destò la mia attenzione) a tempo perso e che aveva incontrato Gianni mentre si aggirava annoiato tra i corridoi della facoltà. Raccontò che, incuriosito da uno dei suoi soliti dibattiti che stava tenendo per l’occasione (gli stessi che immancabilmente propinava a noi suppongo) su un qualche argomento storico (non ricordo quale), era riuscito a catturarne l’attenzione ponendogli, dopo che aveva terminato la declamazione, una breve serie di domande ed osservazioni che per il loro acume e la loro incisività lo avevano colpito a tal punto che rimasero a discutere loro due per almeno una mezz’ora buona.
Terminata la presentazione, per il resto dell’incontro si limitò ad ascoltare quello che dicevano gli altri e ad intervenire con qualche battuta mirata, un pò come facevo io, che ben mi guardavo dal mantenere una discussione e tantomeno dall’iniziarla. Terminato l’incontro, ripensai ben poco alla sua persona. La mia considerazione nei suoi confronti però era destinata ad alterarsi drasticamente con il nostro secondo incontro, che si tenne pochi giorni dopo (raramente ci vedevamo più di qualche volta la settimana, cosa di cui non mi ero crucciato più di tanto).
In quell’occasione infatti come mi accadeva spesso fui io ad arrivare per ultimo, e nell’entrare nel bar mi resi conto che oltre agli altri miei tre amici c’era di nuovo Roberto. Non sapevo perchè la cosa mi desse fatidio, ma credo che ormai fossero passati talmente tanti anni da chè il nostro gruppo era rimasto immutato che mal tollerava qualsiasi mutamento nella sua struttura, per quanto minimo e probabilmente temporaneo.
Ero sicuro comunque che sarei riuscito in breve tempo a dissipare questo mio turbamento, e con tale stato d’animo mi avvicinai al loro tavolo, quando una cosa destò la mia attenzione, fin quasi a pietrificarmi: Il clima e l’atteggiamento di Roberto nei confronti del gruppo non poteva essere quanto di più dissimile dall’ultima volta; Al posto del ragazzino timido e impacciato deigiorni precedenti avevo di fronte un capogruppo bonario, che con grande sicumera si rivolgeva ai miei tre amici con una confidenza e un’allegria che sembrava si poteva supporre si conoscessero da una vita. Ancora sconcertato da quel cambiameno, li salutai e presi il mio posto subito chiesi a loro:
” Beh,che succede? Cos’è tutta quest’allegria?”
“No, niente, Roberto ci stava raccontando di cosa gli è successo l’altro giorno”mi rispose Marco, continuando a ridere.
“Ah, posso ridere anch’io allora?”.
Con mio grande sconcerto, mi riferirono la storiella più insulsa e senza senso che avessi mai ascoltato. Guardaii miei amici basito, e stavo per chiedergli come facevano a ridere per una tale sciocchezza quando fui distratto da Robero che iniziava a raccontarne un’altra, se possibile ancora peggiore della prima.
Passò così un’altra ora, durante la quale Roberto non si fermò neanche un secondo dal raccontare le sue “storielle divertenti”, e io, sempre pù irritato, sbirciavo con tremendo imbarazzo per vedere se qualcuno ci ascoltasse dagli altri tavoli. Per fortuna quello era uno degli orari morti del bar, e c’era solo un innocuo vecchino seduto ad un angolo che pensava a tutto fuorchè a noi.
Terminata quella tortura, cercai di approfittare del primo momento in cui mi fossi trovato solo con uno dei tre per cercare fargli spiegare quella situazione assurda, ma non me ne fu data l’occasione, visto che i quattro appena finito di pagare si diressero compatti verso la stessa auto. Inutile dire quanto fossi meravigliato della cosa (ormai l’avrò già detto dieci volte, ma credetemi era così), visto che mai fino allora avevamo usato un’unica auto per i nostri spostamenti, che del resto per almeno metà del gruppo erano veramente esigui. “Roberto è stato così gentile da dare un passaggio a tutti!” Fu il loro laconico commento alle mie domande.
Tornato a casa, per quello e per i giorni successivi non potei fare a meno dia rrovellarmi per cercare di sciogliere quell’insolita matassa. Com’era possibile che Marco, Gianni e Andrea avessero nel giro di pochi giorni cambiato atteggiamento nei confronti di Roberto in maniera così plateale? Com’è possibile che addirittura si ponessero in una posizione di subalternità e sudditanza nei suoi confronti,Gianni poi, che si era sempre vantato di essere di fatto il leader del gruppo?
Queste domande mi tennero compagnia nella solitudine dei giorni seguenti, fino a quando non mi destò dal torpore una seriedi messaggi sul nostro gruppo di internet, nei quali ci si organizzava per incontrarci a casa di Gianni per provare un nuovo gioco da tavolo.
Normalmente avrei accolto entusiasticamente questa proposta, ma in quel momento non potevo fare a meno di pensare che io venissi coinvolto unicamente perchè già parte del gruppo, e se gli altri avessero potuto scegliere non mi avrebbero chiamato. Il mio timore fu confermato sin dall’inizio della serata, infatti pur essendo arrivato diproposito in anticipo sugli altri a casa di Gianni, questi non mi accolse con la sua solita allegra facondia, limitandosi a salutarmi con un’espressione di evidente disappunto e a farmi entrare nella sua stanza, dove aveva continuato per tutto il tempo precendete all’arrivo degli altri (una decina di minuti) a stare al computer a fare non so cosa, quasi ignorando del tutto la mia presenza.
Per me fu un’ulteriore coltella vedere come il suo atteggiamento era mutato diametricalmente all’arrivo degli altri ospiti, e vedere il sorriso con cui aveva accolto Roberto fu la cosa peggiore. Subito iniziarono una fitta e scherzosa conversazione tra di loro, fatta di confidenze, aneddoti ed altro, dalla quale io ovviamente ero escluso. Al momento dell’apprestarsi ad iniziare il gioco ebbi il colpo finale: Ion non potevo giocare. Questo perchè, secondo una scusa di Gianni che non ritenni verosimile neanche per un secondo “si poteva giocare solo in quattro e il gioco l’avevano comprato insieme”. Non avevo nemmeno bisogno di guardare la scatola per confermarlo, la mia esperienza con i giochi da tavolo mi assicurava che a quel tipo di gioco potevano partecipare tranquillamente anche sei giocatori.
A quel punto, sentivo fortissimo il desiderio di uscire con una qualche scusa e tornarmene a casa. Un’umiliazione del genere sarebbe stata insopportabile per chiunque, anche per un vile come me, ma prevalse in me la curiosità di vedere fino a che punto la loro crudeltà e il loro bullismo potevano spingersi. Il risultato di questo mio ghiribizzo furono un paiod’ore in cui io venni totalmente tagliato fuori non solo dal gioco ma anche dalla discussione, qualsiasi battuta od osservazione che mi ostinavo a fare cadeva nel vuoto più assoluto.
Il culmine di questa piacevole serata ci fu quando, salutando e dando la buonanotte a Gianni nell’uscire di casa, questi chiuse la porta senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. A quel punto non ne potei più. La forza della disperazione mi diede il coraggio di dare due scampanellate furiose alla porta di Gianni e, una volta che questi allarmato venne ad aprirmi,di chiedergli finalmente spiegazioni su quello che stava succedendo.Mi guardò come si guarda un pazzo furioso, assicurandomi che non sapeva di che stava parlando, e anche quando io gli fornii gli innumerevoli esempi del loro assurdo comportamento nei miei confronti, mi rivolse uno sguardo interrogativo tale che mi fece ancora di più rivoltare il sangue. La cosa peggiore era che probabilmente era autentico, e che veramente lui come probabilmente gli altri non si rendevano conto di come mi stessero trattando.
Non potendo fare di meglio, decisi di tornare a casa. Nel tragitto di ritorno in auto, scorsi passando vicino al nostro bar, i visi di Roberto, Andrea e Marco, che seduti ad un tavolino interno sprizzavano allegria e felicità da tutti i pori. Quello fu il colpo di grazia. Quella notte non riuscii a chiudere occhio fino al mattino, quando stremato dalla veglia mi abbandonai ad una manciata di ore di sonno agitato. I miei incubi erano costellati dalle immagine di quelli che fino a quel momento avevo considerato i miei amici che, insieme a Roberto, ridevano e mi additavano al pubblico ludibrio. Al mio risveglio, decisi che per risolvere la questione non mi rimaneva altro da fare che affrontare Roberto, quello che ormai solo per me era l’estraneo.
Mi barcamenai, in uno stato di profonda confusione, fino al nostro bar, sicuro che li avrei visti di nuovo lì, data che era l’ora del nostro solito appuntamento ed ero sicuro che avessero anche abbandonato la nostra consuetudine di non vederci per due giorni consecutivi.
La mia ipotesi venne presto confermata quando ai miei occhi si palesò quasi lo stesso odiato scenario della notte precedente, tranne che questa volta anche Gianni si era unito all’ilare gruppo. Rimasi a spiarli per qualche minuto, cercando il coraggio di entrare dentro ed affrontarli, ma fu tutto inutile. Neanche il sorriso beffardo che mi rivolse Roberto, l’unico che non era seduto dandomi le spalle e che poteva vedermi, mi diede lo stimolo, nonstante la rabbia in me provocata.
Come fanno in queste situazioni i vigliacchi, decisi invece di contiuare a spiarli,edi cercare di seguirli una volta che fossero usciti dal bar. Collegai il fatto insolito di essere venuto in auto (di solito vi andavo a piedi) con una mia inconscia precognizione delle mie azioni future.
Oviamente mentre seguivo la macchina gialla di Roberto, che come al solito aveva accompagnato li altri tre, avrei potuto cedere all’infantile eccitazione nell’emulare la classica scena di pedinamento dei film americani, ma ero troppo angustiato per cedere a queste frivolezze. Pazientemente li seguii mentre facevano il giro della varie abitazioni dei miei ormai ex amici, sempre cercando di non farmi notare (anche se dubito che se Roberto si fosse accorto del pedinamento avrebbe fatto qualcosa al riguardo), e finalmente giunse il momento in cui Roberto si trovava in auto da solo.
Iniziai a seguirlo lungo le strade a me conosciute, aspettandomi di vederlo fermarsi in qualcuna diqueste per entrare in casa sua, quando invece notai che stava imboccando la strada per uscire dalla città. Gianni aveva detto che era un nostro concittadino, ma ormai queste cose non mi meravigliano più. Cercai come potevo di non perderlo nell’inseguimento (aveva aumentato la velocità, e io non sono mai stato un grande guidatore), ma sembrava non fare il minimo sforzo per seminarmi.
Arrivati dopo una ventina di minuti nella città vicina, lo vidi accostare l’auto vicino alla fontana della rotonda, posto d’incontro abbastanza famoso.
Lì sostava un gruppo di quattro ragazzi, inizialmente con l’aria annoiata ma che si illuminarono in viso vedendolo arrivare, e salirono festosi sulla sua auto.
Tutti tranne uno che rimase, triste, a fissarmi.

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