Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Niente è come sembra” di Alessandro Ebuli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Sono le 8.30 di una calda domenica di Luglio. Erica raggiunge a piedi nudi la cucina ed apre il frigo in cerca di qualcosa di fresco. Prende una bottiglia senza etichetta, la stappa ed inizia a bere. Uno, due, tre lunghi sorsi di latte  le scendono gelidi giù per l’esofago. Mangia qualche biscotto al cioccolato, si pulisce la bocca nella manica del pigiama quindi ripone la bottiglia nel frigo ancora aperto.

Chiude l’anta con forza e si ferma un istante, la mano sulla maniglia. Avverte uno strano formicolio al braccio destro.

Dopo un breve passaggio in bagno sale in camera, dove si sfila il pigiama e lo getta sul letto, poi inizia a vestirsi.

Pantaloni, maglietta, berretto con visiera, lo zainetto con l’occorrente per la passeggiata domenicale.

Si dirige verso l’ingresso, allaccia le scarpe ed esce.

Mentre cammina nel bosco pensa a quanto ami la natura, gli animali, la serenità che luoghi pacifici ed incontaminati le possono regalare; non può fare a meno di osservare il paesaggio sconfinato, i verdi prati che si perdono all’orizzonte. Invidia quella sottile linea immaginaria tra cielo e terra, perennemente irraggiungibile da chiunque la guardi.

Sogna di essere lei, un giorno, la linea dell’orizzonte. Imprendibile, inafferrabile, sfuggente.

Il sole è caldo, intenso come soltanto una mattina d’estate può regalare; la luce è forte, accecante, perciò prende i Ray-Ban dallo zaino e chiude gli occhi mentre li inforca. Quando li riapre è già nel bosco.

E’ sorpresa, non capisce.

Il bosco è buio, ora non vede nulla.

Riprende il cammino subito dopo avere sfilato gli occhiali appena inforcati.

Si incammina tra gli alberi seguendo il sentiero sterrato e si volta di scatto quando sente un leggero fruscio, un movimento tra le foglie alle sue spalle. E’ una volpe, immobile accanto ad un albero. E’ stupita, non capita spesso di vederne una così da vicino.

Avvicinandosi lentamente all’animale per osservarlo meglio Erica si accorge che non ha la coda.

“Povera piccola, chissà come le è successo” si domanda. Probabilmente è finita in qualche trappola lasciata dai bracconieri. “Bastardi” aggiunge.

La volpe, seduta su una radice dell’albero sporgente dal terreno, osserva la donna a sua volta, attenta ad ogni movimento dell’umana in lento avvicinamento.

Il vento soffia leggero tra le foglie. Erica si guarda istintivamente intorno, poi riporta lo sguardo sull’animale che però è sparito. Si volta a destra, poi a sinistra, ma della volpe non v’è traccia.

Decide di proseguire e di non fermarsi prima di aver raggiunto la cascata. Sente il bisogno di non pensare a nulla. Da quando gli amici l’hanno portata alla cascata per la prima volta, molti anni prima, si è innamorata di quello spaccato di natura quasi incontaminata, capace di riportare la sua mente ad uno stato primordiale di totale lontananza dai pensieri. Al punto di acquistare una casa vicino al bosco, in ordinaria solitudine.

Una quantità d’acqua spinta da una incontrollabile spinta gravitazionale, imponente, fragorosa, straordinaria, è la cascata. Un luogo magico nel quale ritrovare se stessi. Un frastuono inimmaginabile capace di coprire ogni cosa.

Non questa volta.

Erica è ferma ad osservare la discesa dell’acqua quando nota una persona al di là delle rocce.

E’ un uomo in tenuta da caccia, pantaloni verde militare con enormi tasche ai lati ed una camicia nera con il colletto abbottonato fino sotto il mento. Bastone in mano ed all’altezza della cintura una cartucciera. Nessun proiettile. Solo alcuni vistosi ciondoli.

Si sforza di guardarli con più attenzione e vede delle code di animale. Le osserva ancora, l’uomo non è poi così lontano. Non crede a ciò che vede, sono 3 code di volpe.

“Code di volpe?!” Esclama stupita a se stessa. L’uomo non può certo sentirla, la cascata copre le parole della donna. In una frazione di secondo associa i due incontri, prima la volpe, poi l’uomo, e va su tutte le furie, considerato l’amore per gli animali che da sempre la contraddistingue.

In quel preciso istante il cellulare prende a squillare all’impazzata; Erica posa lo zaino a terra e cerca in tutta fretta il telefono all’interno. Non lo trova.

Quando frughi in fretta in una borsa chissà per quale ragione non trovi mai quello che cerchi.

Pensa che smetterà di squillare, chi la chiama terminerà la telefonata non ricevendo risposta.

Squilla ancora quando finalmente lo intercetta sul fondo. Lo estrae dalla sacca, il trillo aumenta improvvisamente, ora è assordante anche nel frastuono generato dalla cascata; il display è illuminato di un bianco pallidissimo e non reca impresso il nome del chiamante. Erica lo osserva confusa, quindi risponde alla chiamata anonima. Dall’altro lato c’è silenzio. Lo stacca dall’orecchio per verificare il display che però continua ad apparire bianco, quindi chiude la telefonata e lo ripone nella tasca dei pantaloni, stavolta più agevole qualora dovesse squillare ancora.

Nello stesso momento in cui Erica alza rialza la testa, l’uomo solleva un braccio ed accenna un saluto con la mano, sfoggiando insieme un sorriso smagliante. Quindi si gira e si allontana alla vista della donna.

“Ma dove sta andando?” si chiede Erica. Lo chiama, urla con quanta più voce ha, ma l’uomo ha il passo troppo veloce e nel giro di pochi secondi scompare dietro la collinetta. Non è dato sapere se abbia sentito la voce di Erica.

Poco importa, non si è voltato.

“Che scena allucinante” pensa Erica confusa.

Il sorriso psicopatico dell’uomo, le code penzolanti sulla cartucciera, la proprietaria sprovvista della propria coda.

“Allucinante, ma anche un po’ raccapricciante”.

Improvvisamente sente un freddo pungente percorrerle i piedi e salire fino alle caviglie. Guarda verso il basso e scopre di essere scalza. Non ricordava di essersi tolta le scarpe prima dello strano episodio.

“Santo cielo, sto impazzendo!”.

Non si perde d’animo, infila le scarpe in tutta fretta e risale velocemente la collinetta alle sue spalle seguendo il sentiero che la porterà al ponticello di legno. Le permetterà di attraversare il fiume.

“Wow, sempre più traballante!”. Lo percorre.  Giunta dall’altro lato ridiscende la collinetta sulla quale poco prima stazionava l’uomo. Si ferma ad osservare il paesaggio meraviglioso, l’aria fresca si lascia respirare con piacere rigenerante e per un attimo sembra avere dimenticato la scena surreale capitata poco prima.

La pausa di riflessione è rotta da un nuovo trillo del cellulare. Erica sospira, conscia del fatto che evidentemente rilassarsi non rientra nei piaceri quotidiani.

Infila la mano nella tasca ed estrae il cellulare strepitante.

Ancora una volta il display è privo di informazioni circa la persona chiamante, di nuovo di un bianco abbagliante. Sorride ironica mentre le torna alla mente un vecchio spot pubblicitario: “Bianco che più bianco non si può” recitava lo slogan. Non ricordava quale fosse il prodotto miracoloso.

Quando risponde al cellulare questo smette di gridare al nulla, ma nell’auricolare regna il silenzio assoluto.

Sposta il telefono dall’orecchio davanti al proprio viso ed osserva perplessa quel pezzo di tecnologia inanimata sulla sua mano. Lo ripone nuovamente in tasca. Contemporaneamente avverte ancora quel noioso formicolio al braccio destro. Per quanto seccante decide di non dargli troppa importanza, ha cose ben più urgenti da sbrigare.

Si rimette in marcia. Le passeggiate immerse nella natura hanno il potere di rivitalizzarla; si augura che quella odierna si riassesti sui binari della normalità.

Non sarà così. Niente è come sembra.

Appena il tempo di percorrere un centinaio di metri che di fronte le si presenta una scena grottesca: l’uomo, in piedi tra due rocce al bordo del sentiero, la fissa sorridente con le mani appoggiate ai fianchi, dai quali si vedono le code ciondolare. Accanto a lui qualcosa che Erica non avrebbe mai pensato di vedere con i propri occhi. A pochi centimetri dagli stivali del tizio, sedute,  ci sono due volpi attente ad ogni movimento della donna. Entrambe senza coda.

“Non è possibile, un’altra volpe senza la coda!”.

Avanza istintivamente di un passo e gli animali fuggono velocemente. Non certo per paura. Piuttosto sembrano prenderla in giro.

L’uomo continua a sorriderle con quel ghigno psicopatico senza profferire parola.

“Perché mi fissi così”, la sorprende l’uomo, “non dirmi che non hai mai visto due volpi”.

Erica non riesce a parlare, è come paralizzata, confusa e sorpresa.

“Veramente mi chiedo perché le code siano attaccate alla sua cintura anziché alle legittime proprietarie! Certo che la fisso, è sorpreso? Casomai sono io ad esserla per la domanda idiota che mi ha fatto! Ma è pazzo o cos’altro?”.

“Si si, hai ragione ragazza, all’apparenza è tutto così strano, ma per favore non correre a conclusioni affrettate, non agitarti, non alzare la voce. Ho tre code appese alla cintura e due volpi a farmi compagnia, come vedi i conti non tornano”.

“E dunque? Questo è fuori di testa” pensa Erica.

“Sei già sicura che io sia una persona cattiva” riprende l’uomo, “un violento torturatore di animali, un perfido bracconiere strappa code e bla bla bla solo perché hai osservato, ti sei auto convinta di un’idea distorta e mi hai giudicato”. Poi parlando con voce più alta “Non è così e sai perché?”, fino ad urlare: “Sai perché? Sai perché??? No che non lo sai!!! Perché è tutta un’illusione!”.

Erica non sa se urlare a sua volta, scappare o correre dall’uomo e prenderlo a bastonate. Continua a non capire.

“Adoro queste scene disordinate”, è l’uomo a parlare “quando mi capitano mi diverto come un bambino, mi piacciono le vostre facce arrabbiate senza motivo!” e ride di gusto.

Quindi si infila due dita in bocca, il pollice e l’indice, si volta e fischia fortissimo.

Immediatamente le due volpi gli si materializzano alle spalle e prendono nuovamente posizione al suo fianco, una a destra, l’altra a sinistra.

Erica continua a non capire i vaneggiamenti di quel pazzo davanti a lei.

Scruta con attenzione le volpi immobili, socchiudendo leggermente gli occhi come per proteggersi dalla luce del sole e mettere meglio a fuoco la scena.

“Ma cosa diavolo …” sono le uniche parole che le escono dalla bocca quando vede che ora, appesa alla cintura dell’uomo, c’è una sola coda. Le due mancanti sono magicamente tornate al loro posto, attaccate al fondoschiena delle volpi.

“Non ci credo, no, non può essere vero” pensa la donna.

L’uomo sorride ed interrompe i pensieri di Erica con poche, taglienti parole: “Mi è avanzata una coda, per caso ti può interessare? La vuoi? Se rispondi di si è tua. Dimmi di si e sarà tua, sarà tua, sarà tua!!!”

E scoppia in una sonora risata che spaventa Erica. Non vuole certo la coda, piuttosto vorrebbe non fosse mai arrivata a penzolare sulla cintura dell’uomo.

Continua a spostare rapidamente lo sguardo dalle volpi all’uomo, dall’uomo alle volpi, quando il cellulare nella tasca inizia a squillare.

Dapprima sembra non sentirlo, ancora avvolta da un misto di incredulità per l’assurda scena, poi torna in sé e lo estrae dalla tasca.

Lo squillo è ancora più forte delle volte precedenti, è assordante.

Erica deve chiudere gli occhi per il fastidio che le provoca la luce del display, quindi alla cieca cerca il tasto per spegnere il fastidioso telefono. Lo trova, preme con forza ma le cade a terra.

Improvvisamente tutto si fa scuro, solo alcune ombre intorno a lei sembrano reali.

Confusa ed intorpidita si ritrova seduta su un lenzuolo bianco. Realizza di trovarsi in camera, sul letto. Si china e recupera dal pavimento il cellulare che non vuole saperne di fare silenzio, l’aveva programmato in modo che la sveglia suonasse tre volte. Finalmente lo spegne.

Ora nella stanza regna la quiete. Il braccio destro è quasi completamente addormentato, il formicolio fastidiosamente intenso.

“Caspita che sogno pazzesco” rivolta al vuoto della stanza.

Con la mano sinistra accende la debole luce dell’abat joure.

Urla e sobbalza dal letto per lo stupore quando vede sul comodino un peloso ciondolo a coda di volpe.

Rabbrividisce leggendo il biglietto d’accompagnamento. Recita “Niente è come sembra!”

Sente ancora la risata sarcastica dell’uomo …

 

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1 commento »

  1. Bello leggerlo perché scorrevole. Strano avere le solite sensazioni di Enrica, immaginare anch’io una pubblicità del caffè bevuto in paradiso e credere che la fine è brutta ….invece niente è come sembra. Bravo Ale!

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