Premio Racconti nella Rete 2016 “Carneficina” di Mattia Sacco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016La soffocante attesa era giunta al termine: Giacinto e la moglie si apprestarono a lasciare Grosseto a bordo di una Renault Twingo, annata 98, di un color rosso opaco, per recarsi a Firenze, all’osteria Pepo’, per l’ora di pranzo.
La vita di Giacinto e della moglie era la classica vita impiegatizia, con i suoi ritmi monotoni e avara di soddisfazioni personali. Non avevano figli e vivevano in periferia di Grosseto, dove neanche i lampioni notturni e qualche negozio disseminato qua’ e la’, riuscivano a conferirle un minimo di umanità.
La gita fuori porta a Firenze, quindi, rappresentava uno squarcio di luce in quella landa desolata che era la loro esistenza.
Giacinto, una volta imboccata l’autostrada, premette a fondo sull’acceleratore, sfruttando la scorrevolezza di un traffico pressoché inesistente. In meno di un’ora giunsero a destinazione.
Parcheggiarono nei pressi di Piazza delle Signorie, distante circa 500 metri dall’osteria.
Una volta scesi dall’auto, anziche’ gustarsi un’atmosfera luminosa e culturalmente stimolante, si catapultarono, per volontà di Giacinto, verso l’osteria.
L’osteria di Pepo’, situata in un vicoletto del centro storico, era rinomata per la succulenza delle sue bistecche alla fiorentina, cotte – narra la leggenda – su una brace rinascimentale.
Giunti al ristorante, Giacinto si rivolse con tono sommesso al primo cameriere incrociato, quasi supplicandolo di essere accompagnato al tavolo prenotato una settimana prima.
Una volta seduti, incominciarono a sfogliare il menu’, prestando scarsa attenzione e non beneficiando minimamente del clima conviviale e familiare, tra i tratti distinitivi dell’osteria.
Lo scorrere le pagine del menu’, per Giacinto, era una pura formalita’: lui era venuto li’ per papparsi la celebre bisteccona.
Dopo circa dieci minuti, un cameriere paffuto e dalla pelle rossastra, chiese, in forte cadenza fiorentina, se fossero pronti per ordinare: la risposta fu affermativa.
La moglie opto’ per le tagliatelle al ragu’ di cinghiale, mentre la scelta di Giacinto, ovviamente, cadde sulla Fiorentina, rigorosamente al sangue, con contorno di patate arrosto , il tutto accompagnato da un Chianti della Vendemmia del 2013.
L’attesa, di circa una ventina di minuti, fu estenuante: sia perché non aveva nulla di cui parlare con la moglie, sia perché era un appuntamento che aspettava da tempo quasi immemorabile.
Una volta giunta la bistecca, Giacinto si eclisso’: tutta il suo corpo e la sua anima si protesero verso di essa.
Di fronte a quell’incastro perfetto di filetto e controfiletto, tutti e cinque i sensi di Giacinto si dilatarono all’inverosimile, facendolo sentire un predatore.
Afferrando un coltellaccio dalle dimensioni importanti e dalla lama ultratagliente, incominciò a squartare la carne senza pietà. Una volta divisa la bistecca in due pezzi, acchiappo’ senza posate e con fare selvaggio la parte dove la carne era a contatto con l’osso, cominciando a triturarla con una voracità inumana e gli occhi iniettati di sangue.
Giacinto, un uomo mite e sommesso, spesso vittima delle burle dei colleghi, per via di una timidezza quasi servile, di fronte a quella bistecca, subì una metamorfosi, trasformandosi in una creatura selvaggia e aggressiva, eccitata dall’odore del sangue, che ne accentuava l’istinto predatorio .
Contravvenendo a qualsiasi norma del galateo, Giacinto inizio’ ad azzannare e ingurgitare pezzi di carne dalle dimensioni spropositate, con un’ingordigia paragonabile a quella di un leone con la preda ancora viva tra le fauci.
Quel pranzo, per Giacinto, aveva un significato simbolico, quasi a rappresentare una forma di riscatto verso una società spietata, di cui lui era sempre stato vittima, e verso cui aveva l’assoluta necessità di prendersi una rivincita, ricoprendo, per una volta, il ruolo di carnefice.
I denti, ad ogni morso, affondavano nella carne, perforandola e separandola definitivamente dall’osso, con la stessa violenza con la quale un neonato viene strappato alla madre.
Giunto a tre quarti di bistecca, Giacinto tentò di inghiottire un pezzo di carne smisurato, il quale, però, non ne volle sapere, restando bloccato tra la laringe e la trachea.
Giacinto, in preda al panico, afferrò il bicchiere pieno disposto sul tavolo, spingendosi il vino in gola, nel tentativo disperato di disostruire il condotto laringo tracheale, con pessimi risultati.
A quel punto, nel caos generalizzato in cui era piombata l’osteria, la moglie infilo’, con nessuna delicatezza, la mano destra nella gola di Giacinto, peggiorando la situazione.
Era necessario un immediato intervento di tracheotomia, cosicché il proprietario chiamò frettolosamente l’ambulanza, spiegando la situazione.
Circa 7 minuti e l’ambulanza arrivo’, ma non ci fu più nulla da fare: il corpo esanime di Giacinto era sul pavimento, con la moglie disperata e con la testa poggiata affettuosamente sul petto inondato di lacrime.
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Chinque volesse, commenti, facendomi sapere cosa ne pensa
Cavoli! sono rimasta senza fiato… sicuramente mi ricorderò di mangiare la carne a piccoli pezzi! Il racconto è così reale che vien voglia di aiutare in qualche modo il poveretto… Che triste però.. non ha avuto un’altra possibilità per cambiare la propria vita… ricordiamocelo quando qualcuno ci fa stare male: non sempre è possibile avere un’ altra occasione per rimettere le cose a posto!
Un racconto, il tuo, pieno di voracità… in ogni cosa.
Parallelismi e confronti, metafore e scene portate allo stremo, per raccontare quanti tutti noi possiamo avere un parte selvaggia e quanto può prendere il sopravvento.
Non è un racconto che mi lascia serena alla lettura, uno stile distante dal mio, ma capisco a pieno la parabola che hai voluto lasciare con questo racconto… e complimenti per il ritmo serrante con cui l’hai scritto!
Marta e Iside, vi ringrazio per i vostri commenti. Sono contento che vi abbia complessivamente convinto. Ho cercato di usare “un pezzo di carne” per analizzare e far luce sui rapporti umani nella nostra societa’.
Una bella metafora! Ho apprezzato la ricchezza di dettagli.
Lo sai? Mi è sembrato di stare seduta di fronte al protagonista mentre mangiava la sua bistecca… me lo hai fatto letteralmente vedere! Per il resto non so, ci presenti un personaggio scontento, che vive un matrimonio vuoto senza nessuno stimolo e quando finalmente riesce a vivere un momento di assoluta felicità…ci tira il calzino. Mi sfugge un po’ il senso di tutto, qual è il messaggio? Che i vinti in quanto tali non devono mai provare a tirarsi su? Che è meglio non sposarsi in quanto non solo tomba dell’amore, ma di tutto il nostro entusiasmo? Non so… per me, vegetariana ormai da 40 anni, la parte più bella rimane quella dell’accanimento sulla bistecca!
Tra gli ostacoli e i bocconi amari che si devono ingoiare nella vita, è facile cadere nella tentazione di diventare carnefici.
Con il tempo, però, si impara che cedere equivale a perire e che l’illusione di ‘aver divorato’ l’altro, dura poco.
In bocca al lupo! Ma in questo forse sarebbe meglio: Buona fortuna! (ah ah ah…)