Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2016 “Colpo di coda” di Alessandro Ebuli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Un’altra giornata di lavoro è terminata. Giulio indossa il cappotto e si avvia verso casa, se ancora quel letamaio può definirsi una casa.

Sembra uno zombie quando si appresta ad uscire dalla banca centrale e tira dritto per il viale alberato, fino al lungo Tevere. Come altre sere tutte uguali l’uomo vaga per la città, silenzioso, sigaretta in bocca, invisibile alla vita circostante al ritmo del suo passo incerto.

La sua attenzione è catturata da rumori distanti, provenienti dal lurido locale sottostrada. Il lurido bar che frequenta subito dopo il lavoro. E’ così assorto nei suoi pensieri che non si accorge di essere davanti all’ingresso. Una piccola insegna al neon mal funzionante lo segnala a malapena.

Che schifo, pensa, guardando l’insegna. Non parla del bar.

Scende le scale, apre la porta e si trova nella sala principale. Si guarda intorno. Tutto sempre uguale, costantemente, tristemente uguale.

Che schifo, pensa ancora.

Individuato il tavolo, il solito all’angolo, si siede. Sguardo fisso davanti a sé, non una parola, né un gesto verso nessuno.

“Il solito?” chiede il cameriere spezzando il silenzio con voce anonima.

Con un cenno del capo l’uomo dice di sì.

Che vita infame, si ripete Giulio, mentre ripensa al tragitto dalla banca al bar. Un giorno o l’altro troverò il coraggio, continua a ripetersi mentalmente, oramai da quel lontano giorno di cinque anni prima. Non ha coraggio di farlo. Non ha mai avuto il coraggio di fare nulla, lui. Cinquant’anni, divorziato da una moglie attenta unicamente al lusso che lui le prometteva, ma non poteva permettersi, un figlio ventenne impegnato anima e corpo in quelle cazzo di missioni umanitarie in Kenya, Giulio è un impiegato di banca sciatto ed arrogante, stanco di se stesso e della vita. Un figlio di puttana con uno stipendio da fame che maneggia migliaia di euro ogni giorno e ride istericamente di una vita completamente differente da come l’immaginava in gioventù. Un figlio di puttana vigliacco ed alcolizzato con un unico pensiero in testa, il suo totale fallimento. Ora sorseggia il suo scotch, forte come un pugno nello stomaco, che gli ricorda la sua vigliaccheria. Cinque anni senza tentare di ricucire il rapporto con suo figlio Davide.

Beve ancora, poi tossisce dopo l’ultimo tiro di sigaretta.

Dall’altro lato della sala due uomini giocano a biliardo. E’ il turno del primo, concentrato a tirare la palla 6 in buca all’angolo, l’altro seduto a guardare, sigaro in bocca e stecca nella mano sinistra. Inganna l’attesa toccando il culo con l’altra mano alla puttana del momento. Non di professione, ben inteso.

Non trova conforto quella stupida, pensa Giulio.

Più in là siede una coppia di fidanzati. Avranno non più di diciotto o diciannove anni, lei un viso bianchissimo, il piercing sul naso, i fili delle cuffie che fuoriescono dal cappuccio della felpa sempre indossato sulla testa. Lui capelli corti tagliati a spazzola, tatuaggio tribale sul collo e cellulare in mano. Comunicazione inesistente. “Non finite come me ragazzi” bisbiglia Giulio nella loro direzione.

Vicino ai ragazzi due macchinette mangiasoldi, e lì accanto, solitario, siede un vecchio. Cliente fisso del bar. Nessuno sa molto di lui, a parte che ingurgita whiskey come una spugna, raccontando storie di vita, di morte, di guerra a chi ha abbastanza fegato per ascoltarlo.

Sull’onda emotiva della gradazione alcolica Giulio si alza, prende due bicchieri ed una bottiglia e si dirige al tavolo del vecchio. La sua vigliaccheria si fa da parte, contro la sua volontà.

Per un momento la scena sembra scorrere al rallentatore, una lenta avanzata nell’opaca fumosità del locale. I giocatori di biliardo si fermano, uno fa un tiro dal sigaro a metà, e mentre la puttanella per passione smette di ridere, le soffia una nuvola di fumo in faccia. Tossisce. Altri clienti si voltano seguendo distrattamente la figura di Giulio, passo dopo passo. Altri bevono incuranti della situazione alle loro spalle.

E’ quando Giulio posa la bottiglia sul tavolo del vecchio, con un rumore sordo, ed il vecchio alza lo sguardo e poi sorride beffardo, solo allora il bar riprende a vivere la propria ubriaca normalità.

“Posso?” dice Giulio.

“Dipende da cosa stai cercando” risponde il vecchio.

“Cerco … A dire il vero non so cosa sto cercando. Né perché sono qui” ribatte Giulio.

“Divertente” bofonchia il vecchio con un ghigno indecifrabile. “Siediti allora, e chiedimi ciò che vuoi. Se sarai fortunato troverai ciò che cerchi”.

Per un istante Giulio si sente pietrificato. Fissa il vecchio nella comunicativa profondità dei suoi occhi. Curiosamente la sfida aveva avuto inizio senza che i due ne fossero consapevoli, ma il vecchio sapeva il fatto suo, lo si capiva dal sorriso tagliente.

Giulio è l’imbarazzo fatta persona, si chiede cosa cazzo sia andato a fare da quell’uomo sconosciuto.

E’ il vecchio a versare da bere, e con un lento e significativo movimento della mano dall’alto del viso di Giulio fino ad indicare la sedia, lo invita al tavolo. Si siede. I bicchieri dei due tintinnano ad ogni brindisi; ne sono necessari molti ed il tasso alcolico sale rapidamente. Giulio apre bocca, ma non riesce a parlare a causa dell’imbarazzo che prova nei confronti del vecchio, per l’ intenso magnetismo che costui sprigiona.

Giulio accetta una Galoise senza filtro, le accendono entrambi e dopo un paio di tiri profondi il vecchio soffia il fumo sopra le loro teste. Dice poi, con tono distaccato: “Sto aspettando”.

Giulio lo fissa immobile, in silenzio. Ripensa a quel giorno schifoso di cinque anni prima, quando la sua ex moglie stava per lasciarlo per sempre.

Era appena rientrato a casa dopo una giornata di lavoro, dopo qualche bicchiere di troppo al bar e dopo una schifosa scopata con Laura, l’unica a filarselo ancora; sua moglie isterica era intenta a svuotare l’armadio e buttare le proprie cose in valigia. L’aveva presa per un braccio tentando di farla ragionare, ma lei si era divincolata e sull’onda emotiva del momento lo aveva insultato. Ricordava ancora le sue parole come fossero scolpite nella pietra: “Quando ti ho sposato sognavo una vita felice avvolta dal lusso, un marito direttore della banca più importante di Roma e invece mi ritrovo un impiegatuccio sovrappeso da quattro soldi con uno stipendio da fame e il pisello moscio”.

Stronza, pensò per la milionesima volta Giulio.

Neppure suo figlio Davide si era risparmiato. Dopo la fuga della madre anche lui se ne era andato. “Mi hai sempre evitato, cosa resto a fare ancora qui con te? Parto per il Kenya, non cercarmi”, aveva detto al padre.

Dopo tutto quel tempo l’evidente fallimento di Giulio era divenuto reale, come un fedele compagno di bevute. “Dove ho sbagliato?” chiede d’impulso al vecchio. Quel momento sembra durare un’eternità. Il vecchio posa il bicchiere, guarda Giulio con l’aria amichevole di chi conosce tutto di te, dal primo all’ultimo segreto. Spegne l’ennesima Galoise, poi prende a parlare: “Non so dove tu abbia sbagliato amico, ma posso raccontarti di me, potresti convincerti che in fondo siamo tutti uguali. Tutti sbagliamo, tutti siamo colpevoli, anche se non sappiamo ammetterlo”.

Intanto alle loro spalle il cameriere fatica a buttare un tizio ubriaco fuori dal locale. I giocatori di biliardo sorseggiano birra al tavolo ridendo della puttanella addormentata sul divanetto.

“Molti anni fa sono stato giovane anch’io” lo riporta alla realtà il vecchio. “Ero giovane e spavaldo, temerario, coraggioso, o credevo d’esserlo. Hai presente quelle scene da film americano, dove i soldati urlano perché presi d’assalto dai nemici, quando nel campo di battaglia le bombe esplodono e le pallottole fischiano e il tuo compagno viene colpito e non sai che fare perché il delirio della follia ha preso il sopravvento sulla realtà e le grida, gli scoppi, il dolore ti schiacciano dentro vestiti che neppure hai scelto di indossare? Puoi solo lontanamente immaginare il dolore che si prova? No che non puoi ragazzo, per tua fortuna. Non puoi comprendere cosa significhi abbandonare un amico morente sul campo per salvare la tua vita. Puoi solo scappare”.

La porta alle loro spalle sbatte violentemente. Il cameriere rientra.

“Se sono qui seduto ogni giorno a bere e fumare in silenzio” continua, “è solo perché non riesco a capacitarmi della mia vigliaccheria, mi sto autodistruggendo perché non ho il coraggio di farlo con una corda o con una pistola. Sono qui ad autocommiserarmi cercando di convincermi di avere fatto la cosa giusta, e dopo anni il ricordo del mio compagno mi sta logorando, lentamente, inesorabilmente, ma non è questo il punto”.

Fa una pausa, sospira, poi riprende: “Il punto è che anche tu stai facendo le stesse cose, amico. Ma data la tua età la guerra non c’entra, quindi di qualunque natura siano i demoni che ti inquietano, liberati di loro”.

Giulio sta per intervenire, ma il vecchio lo zittisce con un gesto della mano.

“Non fiatare, non ho finito! Sei venuto tu a cercarmi, ora stammi ad ascoltare. Tu sei come me e come altre migliaia di persone, anche tu hai l’aria di chi ha distrutto la sua vita con le proprie mani. Ti sei lasciato andare”.

In effetti, pensava Giulio, aveva iniziato a distaccarsi dalla sua ex moglie quando aveva deciso che una brillante carriera dirigenziale gli stava stretta. Lei aveva compreso che non avrebbe trovato tra le mura domestiche il tanto agognato lusso ed aveva iniziato ad odiarlo. Ma quello che più di tutto Giulio non aveva mai mandato giù era stata la partenza del figlio. Non aveva mai ingoiato quel boccone amaro e la sua vigliaccheria gli aveva impedito di cercarlo, anche solo per una parola al telefono.

E’ ancora il vecchio a parlare: “Ora stai pensando ai tuoi errori, vero? Stai pensando che vorresti tornare indietro e fare la cosa giusta per non trovarti qui ogni sera a bere. Sei un codardo, questo lo sai anche tu. Ecco perché noi due siamo uguali. Ti nascondi dietro ad un bicchiere”.

Nel bar le voci si accavallano, il crescente brusio degli avventori si mescola al tintinnio delle bottiglie ed al fruscìo della musica in sottofondo. Solo un attento ascoltatore avrebbe riconosciuto “Life in the fast lane” degli Eagles.

Il fumo denso si muove sinuoso tra la gente, come un’entità soprannaturale che voglia assumere una forma definita. Forse sono i demoni di Giulio che vanno a farsi un goccetto.

Il vecchio riprende a parlare: “In conclusione, ragazzo mio, pensa a ciò che stai facendo, persa una battaglia puoi ancora vincere la guerra. Io le ho perse entrambe, la vigliaccheria mi ha sopraffatto”.

Giulio rimane immobile a fissare il vecchio, non ha mai analizzato la sua vita da quel punto di vista e già sembra riprendersi dalle sofferenze di quel limbo. “Battaglie, guerre, cazzo”, pensa, “la mia vita è un gran casino, ma forse se do ascolto a questo vecchio pazzo …”

Il vecchio sorride. Sa a cosa Giulio sta pensando. Fa un gesto esplicito con la mano, invitandolo ad alzarsi dalla sedia ed a dirigersi verso l’uscita. Non ha altro da dire.

Giulio si alza, quindi fa per uscire, non intende opporsi al volere di un uomo già evidentemente provato dal proprio racconto.

“Fuori di qui ragazzo, questo posto è per i falliti, esci e vinci la tua guerra. E non farti mai più rivedere”; queste le ultime parole del vecchio, appena Giulio gli volta le spalle.

Giulio accenna un lieve sorriso sarcastico e rispettoso che il vecchio non può vedere, e con una mano fa un gesto insieme di saluto e ringraziamento.

Dice poi, a voce alta senza neppure rendersene conto: “Grazie vecchio ubriacone, stai certo che non mi vedrai mai più” e varca per l’ultima volta la soglia del locale.

Fuori dal locale c’è un nugolo di ragazzi. Si girano meravigliati a guardare Giulio che esce dal bar borbottando sorridente; pensano si tratti di un pazzo ubriaco.

Si sbagliano.

Giulio si incammina sul lungo Tevere. Dalla tasca destra dei pantaloni estrae il cellulare. Apre la rubrica contatti alla lettera “D”. Cerca Davide, quindi fa partire la chiamata.

Si chiede che ore possano essere in quel momento in Kenya.

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3 commenti »

  1. Entrata talmente a pieno nella storia a tal punto di ritrovarmi a piangere per l’emozione e per una carrellata di ricordi per me non piacevoli ma costruttivi. Che dire ALE BINGO

  2. Buon racconto, scorrevole e coinvolgente. Sei abile nelle descrizioni e nei dialoghi. Complimenti.

  3. Bel personaggio il vecchio, che incuriosisce subito il lettore, non solo Giulio.
    Dialoghi perfetti sia dal punto di vista della costruzione che dell’intensità dei ricordi che emanano.
    Complimenti.

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