Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Adam Person e il Sistema Perfetto” di Elisabetta Tuccimei

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Il fascio di luce gialla, proveniente dai grandi fanali posti tutto intorno alla volta dello scudo protettivo, illuminava a giorno l’immenso agglomerato di Urbania, capitale dello Stato Mondiale Unito, comprendente altre otto città, uniche scampate al cataclisma che nel 2026 aveva distrutto la terra e la civiltà.

Nei dieci anni precedenti, in previsione di tale evento, le nazioni più ricche si erano allertate   costruendo le nove basi segrete che avrebbero dovuto salvare ed ospitare i potenti del pianeta, il loro enturage, scienziati e ricercatori di fama ed un   numero imprecisato di uomini e donne, da impiegare come forza- lavoro.

I fondi per far fronte alle ingenti spese erano stati accaparrati e utilizzati per portare a termine il   Progetto Nove, obbligando l’Umanità a subire, prima della fine, gli effetti devastanti di una crisi economica globale, progressiva e irreversibile.

Oltre il limite delle zone protette si era certi regnasse distruzione e desolazione.

Ininterrottamente, dalle videopareti di ogni abitazione del popolo dei lavoratori, il MegaConsiglio dettava disposizioni perentorie, che ribadivano il divieto di qualsiasi azione o iniziativa personale: i trasgressori sarebbero stati puniti all’istante tramite evaporazione.

Tutti i lavoratori erano a conoscenza del dispositivo preposto all’eliminazione: la microcapsula che era stata loro impiantata dietro l’orecchio destro e che vi sarebbe rimasta, senza possibilità di rimozione, pena la morte istantanea.

Alcuni effetti erano noti alla gente comune, come la scossa che lasciava inebetiti per ore ogni qualvolta si accennava a dubitare della validità di una legge o di un proclama, come pure quando non si prestava attenzione costante alla videoparete, non si assumevano cibi e pillole o indossavano indumenti assegnati dal Dipartimento Food&Mode e, soprattutto, se si tentava di sottrarsi al controllo delle cibercimici che seguivano ogni minimo spostamento, sia dentro casa sia sul lavoro.

Anche i rapporti tra le persone erano soggetti a disciplina: ogni famiglia poteva frequentare, solo in

casa e nei giorni proclamati “Festa Internazionale”, amici scelti dal Dipartimento Friendsecurity cheprovvedeva personalmente all’invio e al ritiro.

Tra gli adulti, maschi e femmine, alcuni erano stati scelti dal Megaconsiglio e messi insieme per diventare tutori dei bambini che, rigorosamente, possedevano geni diversi dai loro; da questi si esigeva un distacco emotivo totale, così da rendere il clima familiare idoneo al compito affidato.

L’educazione dei bambini, e poi dei ragazzi fino ai quindici anni, era affidata esclusivamente ad apparecchiature sofisticate che provvedevano ad istruirli secondo direttive segrete.

Le adolescenti, subito dopo gli studi, venivano sottoposte ad accurati esami, e, qualora ritenute idonee, dichiarate ufficialmente “ Madri del Popolo”e inseminate con materiale genetico altamente selezionato; le scartate, se piacenti, avviate alle Case Del Piacere, le altre venivano impiegate come forza-lavoro, così come tutti i ragazzi, che, dopo aver donato il seme, venivano sterilizzati

Il lavoro si svolgeva prevalentemente in enormi fabbriche, divise in vari reparti non comunicanti tra loro, nei quali macchinari assordanti, seguiti da operai costretti a lavorare per ore in assoluto silenzio, sfornavano a ritmo vertiginoso migliaia di pezzi diversi di cui nessuno conosceva l’uso che ne sarebbe stato fatto, né il prodotto finale.

Alla popolazione era concesso di vivere fino ai quaranta anni, allo scadere dei quali il Dipartimento Della Giustizia provvedeva all’evaporazione.

Il Sistema era perfetto : la vita, così organizzata e predisposta, non presentava problemi: una volta eliminati il denaro e il possesso di beni, il potere decisionale e di scelta, non sussistevano motivi d’insoddisfazione, recriminazioni o pretese, invidie e gelosie, né appropriazioni indebite o accaparramenti.

Ognuno svolgeva il suo ruolo meccanicamente e senza pensieri inutili e dannosi.

Più in alto c’era chi decideva, disponeva e provvedeva.

Adam Person faceva parte dell’equipe di programmatori che operava al Settore Controllo, dislocato in un’ala dell’edificio fortificato del Megaconsiglio; come i suoi colleghi non aveva subìto l’impianto microcapsulare per mantenere integre le facoltà mentali indispensabili per la gestione ottimale del MacroCervello. A scienziati e ricercatori era stato impiantato un particolare dispositivo che lasciava ampia libertà di pensiero ma che attivava la procedura di eliminazione tramite evaporazione qualora avessero tramato azioni sovversive riguardo al Sistema.

Adam manteneva rapporti quasi quotidiani con il Professor Mivaco Sasai, eminente fisico ricercatore di cui era stato l’allievo più promettente e a lui si rivolgeva quando incontrava difficoltà o perplessità nello svolgimento del lavoro; insieme avevano escogitato brillanti strategie per la soluzione di problemi complessi, trovandosi quasi sempre perfettamente d’accordo; nel tempo si era consolidata tra loro un’amicizia profonda, che doveva comunque apparire pura e semplice esigenza professionale.

Negli ultimi giorni della settimana Person si era dovuto dedicare assiduamente, tramite il suo terminale, alla revisione annuale del Macrocervello, che era quasi giunta a conclusione, ma, nella sua mente si era fatto strada un dubbio che non gli dava tregua; così aveva deciso di confidarsi   con l’amico, anche se negli ultimi tempi aveva notato in lui un insolito riserbo nel comunicare i suoi pensieri ed un’aria assorta e inspiegabilmente preoccupata.

Terminato il lavoro l’aveva quindi chiamato, chiedendogli se era possibile incontrarsi al più presto per parlare di una cosa di estrema importanza; questi lo aveva invitato a salire   dopo cena al laboratorio nel quale avrebbe dovuto trattenersi ancora a lungo; aveva avvertito nella sua voce un tremito particolare o l’ impressione era dovuta al suo stato d’animo?

Aspettò, contando i minuti, che arrivasse l’ora dell’appuntamento, cercando   freneticamente una risposta alternativa e plausibile al fatto di non aver ricevuto, sei mesi prima del suo quarantesimo compleanno, la Comunicazione Di Scadenza, prassi adottata senza possibilità di errore per tutti gli esseri umani, con la sola esclusione dei membri del Megaconsiglio e degli scienziati, e lui non era né l’uno né l’altro; inoltre aveva superato il limite massimo da quattro giorni e ciò contravveniva la legge   e destabilizzava le sue sicurezze e il rigore con il quale aveva sempre affrontato la vita.

Il motivo era ormai chiaro.

 

Le sue labbra   pronunciarono a fatica l’affermazione straziante

                                            “IO SONO… UN   ROBOT!”

Uscì stravolto dal suo appartamento e percorse con passo spedito il breve tratto di strada che lo separava dall’edificio nel quale lavoravano entrambi, anche se su piani diversi: tutto, stranamente, gli appariva triste e ambiguo, le strade, le costruzioni, le luci e quell’enorme scudo rilucente che tratteneva nel silenzio una città morta.

Ormai sapeva che poteva pensare ogni nefandezza senza essere punito e, lasciandosi andare alla disperazione, fece quanto di più proibito si potesse fare in “quella” vita: pianse.

Con gli occhi brucianti per la fuoruscita dell’acre liquido che circolava nei suoi condotti artificiali ordinò alla piattaforma elevatrice di condurlo al trentatreesimo piano; l’eco dei suoi passi rimbombava nelle sale deserte, come il cuore nel suo petto, anche se un cuore vero e proprio non lo aveva mai avuto.

Arrivato alla porta del laboratorio scandì, davanti allo schermo del rilevatore d’identità, la sequenza vocale prestabilita ed entrò; il locale era appena rischiarato dalla luce azzurrina del display del gestore bionico, sul quale il professore effettuava le sue ricerche. Ma di lui non vi era traccia.

Adam si avvicinò e lesse le parole che vi erano scritte:

“ Dai da mangiare ai pesci!”

Conoscendolo bene, pensò che qualsiasi motivo fosse stato la causa della sua assenza all’appuntamento gli avrebbe lasciato sicuramente un messaggio di scuse e non un ordine da eseguire, tanto più che il professore non aveva mai permesso ad altri di nutrire i pesci del suo acquario, cura che riservava   esclusivamente a se stesso e che eseguiva con immenso piacere.

Certo che le parole digitate nascondessero un’indicazione ben più importante si diresse alla parete-acquario nella quale i pesci si muovevano con estrema lentezza.

Prontamente aprì lo sportello posto di lato alla parete, prese il contenitore del cibo, ne sollevò il coperchio e frugò nella polvere essiccata di gamberetti. Fu colto da una vertigine improvvisa quando con la punta delle dita avvertì qualcosa di consistente; estrasse con cura una piccola scatola in policarbonato e, dopo averci soffiato sopra, la mise al sicuro nella tasca incernierata della giacca.

In preda ad un’inquietudine mai prima d’allora provata e brancolando nella penombra della stanza si avviò all’uscita, quando il suo piede calciò qualcosa che rotolò tintinnando.

Tastò freneticamente il pavimento finché avvertì sotto la mano un piccolo oggetto metallico che serrò nel pugno con tutta la sua forza.

A grandi passi uscì dal laboratorio compiendo il percorso inverso senza servirsi della piattaforma ma scendendo le strette interminabili scale di servizio, sconvolto dalla certezza atroce che la sua mente tentava spasmodicamente di rifiutare.

Camminò furtivo nella strada deserta, rasentando i muri. Per la prima volta nella sua vita si sentiva insicuro, impaurito ed estremamente, irrimediabilmente solo.

Arrivato a casa si buttò sul divano, stringendo al petto con tenerezza il dono segreto, ancora chiuso nella scatolina e passò ore a rigirare tra le dita la capsula d’oro, perso nello stesso luccichìo intravisto nei sorrisi del suo amico.

Ripensò alle serate passate insieme in allegria, a tutto quello che gli aveva insegnato, alla bontà e all’onestà che aveva saputo trasmettergli con infinita pazienza e dedizione, ai giorni delle scoperte condivise, delle vittorie e delle sconfitte.

Ora aveva tra le mani tutto ciò che restava di lui ed ormai la vita gli appariva inutile e insensata.

Aprì la scatola : vi trovò due fogli piegati, scritti con la grafia che ben conosceva.

“ Mio caro Adam, unico e fedele amico, lascio a te questo scritto, sapendo imminente la mia fine.A te, figlio mio – e ti chiamo figlio poiché io stesso ho riprogrammato i tuoi circuiti cerebrali perfezionandoli in complessità e versatilità – ho donato una mente positronica, condizionata per vivere, pensare, sentire come l’uomo e in grado di sviluppare ciò che lo rende unico, come la capacità di amare e di provare compassione, il senso di appartenenza e di solidarietà, secondo i valori morali ed etici che   caratterizzano una società civile.

Perdonami se non ho ritenuto necessario svelarti, prima d’ora, la tua natura ma noi ben sappiamo che ogni vera conoscenza deve essere acquisita personalmente, indagando ed interrogando il proprio intimo, così da interiorizzarla e possedere il discernimento necessario per agire secondo coscienza e giustizia.

 Ciò che devi in ogni caso conoscere è la storia che ci ha condotto fin qua: dalla pioggia di meteoriti, abbattutasi sulla terra nel 2026, si erano salvati in pochi e, tra quei pochi, proprio quelli che avevano affamato i popoli della terra per costruire le città rifugio avevano assunto con la forza il potere, costituendosi arbitrariamente Membri del Megaconsiglio, con diritto di vita e di morte sui più deboli..Nel tempo coloro che detenevano il potere assoluto avevano istituito i Dipartimenti per i Servizi e il Controllo, per i quali erano stati costruiti e impiegati esclusivamente robot umanoidi di prima generazione. Tu eri uno di questi che io ho sottratto, fingendo un guasto irreversibile e una necessaria e pronta distruzione.

Ai robot di seconda generazione, costruiti con particolarità specifiche per la difesa, era stato assegnato il controllo ininterrotto dell’ AREA P.( area proibita ) nella quale era ed è tuttora posizionato il Macrocervello.

Per tutti voi androidi è impossibile contravvenire alla “Legge” arrecando danno agli esseri umani o disobbedendo agli ordini da loro ricevuti, ma, sempre secondo la vostra legge, la protezione dell’Umanità ha la precedenza sulla protezione del singolo individuo, soprattutto quando questo si dimostra nemico dell’Umanità stessa..

Il Macrocervello, macchina perfetta e d’inestimabile valore, è il folle strumento al servizio di pochi potenti, l’esecutore unico e il gestore dell’ordine stabilito da menti malvagie.

Ciò è in contrasto con la legge di salvaguardia dell’uomo e della sua sicurezza.

 Alcuni giorni fa, sono riuscito, tramite il mio gestore e con un’azione di vera pirateria informatica, a collegarmi con   le telecamere a circuito chiuso che monitorano il locale che custodisce il Macrocervello.Ho visto che questo è completamente inglobato in un’enorme struttura semitrasparente, a forma di calotta, sulla quale braccia meccaniche saldano, a pieno ritmo, nuovi componenti, scaricati da grossi camion che si avvicendano ininterrottamente. Sicuramente questi pezzi provengono dalle fabbriche dove sono impiegati i lavoratori umani.

 Da giovane mi capitò di sfogliare di sfuggita un libro, poco prima che fosse incenerito insieme a tutti quelli che parlavano di un lontano passato, giudicati inattendibili e pericolosi per la sicurezza pubblica; lessi il resoconto di alcuni studi per la costruzione di una gigantesca “nave spaziale generazionale” che avrebbe dovuto ospitare diverse generazioni di uomini al fine di raggiungere, al di la del sistema solare una stella, chiamata Proxima Centauri, distante dalla terra ben quattro anni luce, nella quale vi erano condizioni favorevoli alla vita umana.

Allora il progetto e le sue ipotesi mi sembrarono il vaneggiamento di un folle ma, alla luce di quanto ho scoperto ultimamente e della segretezza che in tutti questi anni mi è stata richiesta nel fornire dati al Megacervello perché li elaborasse, sono certo che chi ci comanda si sta preparando ad abbandonare la terra; temo soprattutto per gli esseri umani che, in questo caso, non avrebbero più alcuna utilità e rischierebbero l’eliminazione in massa.

 Sono convinto che l’ora è molto vicina.

A te confido il mio sgomento e in te ripongo ogni mia speranza affinché questa povera Umanità, imprigionata in un Sistema crudele e disumano, possa ritrovare i valori inalienabili della dignità e del rispetto.

 Voglio infine rivelarti che scelsi il nome con il quale sono conosciuto, in onore del mio antenato biochimico, ai suoi tempi considerato il padre della robotica; i membri della mia famiglia, per generazioni, si sono trasmessi oralmente un suo testo basilare, che, giunto fino a me, ha suscitato la passione e permeato tutti i miei studi..

Anagrammando il mio nome scoprirai il suo.

                                    Con tutto l’affetto     il tuo amico Mivaco Sasai

 

Adam , robot umanoide, dopo aver appreso la verità dagli scritti del suo amico professore, svanito nel nulla, comprese all’istante la necessità di lottare in favore del Popolo Dei Lavoratori con i quali, adesso ancor più di prima, sentiva di condividere il diritto alla vita e alla dignità.

Non c’era un attimo da perdere, doveva agire… e subito!

 Uscì dalla sua abitazione con passo spedito dirigendosi all’Area P,   al Settore Controllo, nell’ala   destra del palazzo del Megaconsiglio; nel suo ufficio aveva lasciato in sospeso le ultime fasi della revisione annuale del Macrocervello, lavoro a lui riservato per le sue particolari competenze nella programmazione e gestione di sofisticati sistemi cibernetici.

Portò la sua postazione a mezz’aria , proprio davanti al sistema pulsante del nemico, tenendo stretto con determinazione il sincromouse.

Sorrise maliziosamente al terminale, da macchina a macchina, in accordo perfetto.

Il cervellone era nelle sue mani adesso!

 

Elisabetta Tuccimei

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4 commenti »

  1. Esistono due tipi di fantascienza: quella che esalta i risultati conseguibili dal progresso tecnologico (che è un po’ quello che faceva Julius Verne) e quella che analizza i rischi etici insiti nel progresso scientifico (H.G. Wells ma anche Isaac Asimov e Philip Dick). Gli scenari che ipotizzi appartengono chiaramente a questo secondo ‘tipo’, a mio modo di vedere più interessante e intellettualmente stimolante. Echi di Asimov (Ciclo della Fondazione) ma anche di Dick (‘Anche i robot sognano pecore elettriche’ che i più ricorderanno per la bella trasposizione cinematografica firmata Ridley Scott ‘Blade Runner’). Un bel racconto che pecca solo nel finale, forse un po’ affrettato (ma magari sei stato costretto dal limite di battute). Sarei curioso di conoscere la tua opinione sul mio “La Torretta di Guardia”) del 27 maggio

  2. Hai costruito un bel racconto tracciando nuove frontiere al progresso tecnologico. Ci indichi situazioni credibili per un prossimo 2026. Bella creatività e bella prosa.

  3. Interessante l’ambientazione, così come l’idea che la vera umanità, in questo futuro, possa appartenere solo agli androidi. Mi piacciono molto i racconti a tema distopico. L’unico appunto, se posso, l’eccesso di esposizione. Forse vengono spiegate troppe cose per essere una storia così breve.

  4. Ciao Elisabetta. La fantascienza è un terreno minato per uno scrittore. Si può cadere nel banale e nel troppo complicato. Io leggo quella diciamo così moralistica, da Bradbury ad Asimov, che definirei anche terroristica, perché mette in guardia l’uomo dai risvolti peggiori e più traumatici della tecnologia. Il tuo racconto ricorda un po’ l’Orwell di 1984, con questo potere aggressivo che però non è così lontano da certi totalitarismi del passato e anche del presente. Secondo me, sei riuscita a evitare tutte le mine. La descrizione di questo futuro apocalittico è ben fatta e sufficientemente angosciante. Potrebbe essere l’inizio di un’opera più completa visto il finale un po’ sospeso. Provaci perché da scrittore ultradilettante posso dirti che ne avresti le qualità.

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