Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2015 “Sassi”di Corrado Consolandi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

La collina, su cui se ne stava adagiata quella città che d’inverno sapeva essere così cupa, così cattiva, eppure sempre così aggraziata, si stava risvegliando dal suo torpore, dischiudendo fiori, boccioli e germogli come piccole, colorate e profumate palpebre. Tanti occhietti, iridi sgargianti che non portano segni del loro sonno ormai semestrale e che si aprivamo, freschi come non si fossero mai assopiti. Gli alberi e i cespugli sembravano sbadigliare e stiracchiarsi, sgranchirsi i vecchi rami intorpiditi, le vecchie fronde irrigidite che ora garrivano al vento come fanno i capelli spettinati dal soffio gentile e tiepido che proviene da una madre premurosa. Le aiuole, come sopracciglia curate da un’estetista miracolosa (e perché no, meticolosa) incorniciavano i bordi delle strade, adornavano il cemento di sfumature pastello, e addolcivano il truce volto della carreggiata.

Le case che sparute spuntavano tra il verde delle colline, parevano lentiggini, piccole imperfezioni che  non facevano che accrescere il fascino di quel paesaggio, ancora acerbo eppure fresco come una studentessa bionda che ogni anno che passa ha sempre la stessa, meravigliosa età.

Era insomma primavera piena e il sole sommergeva Sulmonte, la cittadella incastonata fra le colline per le cui vie camminava Diego Casarini, il protagonista di questa storia.

Aveva appena percorso le mura esterne della città, costruite in un evo di cui s’è persa ormai la memoria, quando imboccò Corso Donizetti, il viale del conservatorio ed udì, come sempre durante quel periodo dell’anno, la musica che gli giungeva a folate, eseguita dai giovani allievi all’interno dell’istituto. Nelle grigie aule della scuola si iniziava ad aprire le finestre, per liberare e regalare qualche nota alla strada, e per far entrare un poco di quella melodia che così sapientemente è suonata per le vie della città, eseguita senza il bisogno di studi o esercizi. Il solfeggio dei tacchi di Casarini, che ritmicamente si alzavano e abbassavano tenendo il tempo nervoso e balbettante del suo passo, irregolare come lui, davano il ritmo pure ai suoi pensieri, un ritmo decisamente poco orecchiabile e di un’ansia quasi frastornante. Un clacson festante e un po’ maleducato, come gli studenti all’uscita di scuola; una feroce bestemmia che per la distanza veniva percepita solo come un anziano e rauco lamento; il gracchiare poco amichevole di qualche uccello, così dissonante e stonato alle orecchie fini e ben educate degli studenti di musica.

 

Camminava svelto Casarini, era sempre rapido, veloce, quasi nervoso quando si spostava da un posto all’altro. Balzava da un ciottolo all’altro con questo suo incedere che lo faceva sembrare un giunco epilettico, scosso da un vento misterioso che lo faceva procedere a piccoli zompi, conferendogli un’andatura saltellante e un po’ sbilenca. E intanto canticchiava: “Sassi, che il mare ha consumato, sono le mie parole, d’amore per te … ”.

Camminava veloce Casarini, perché era terribilmente e irrimediabilmente stanziale, odiava i viaggi e gli spostamenti, e se si doveva muovere voleva farlo nel modo più rapido ed indolore possibile. E mentre si spostava avvertiva il bisogno impellente di canticchiare o fischiettare. Si potrebbe dire che il suo mondo esisteva solo da fermo, sempre accompagnato da qualche musichetta, e che non desiderasse niente di meglio. Quando era in movimento desiderava solo una cosa, cioè essere fermo da qualche parte, fisso ed immobile, e quando non era in movimento non desiderava nient’altro che rimanere il più a lungo possibile in quella condizione, procrastinando più che poteva il momento in cui avrebbe dovuto azionare le sue gambe fini. Casarini poi odiava viaggiare, spostarsi, in treno, in auto, a piedi o in aereo, e voleva solo un cosa: restare dove stava il più a lungo possibile, canticchiando e fischiettando. “Ogni parola che ci diciamo, è stata detta mille volte … “

 

I viaggi aprono la mente? I viaggi aprono solo il portafoglio, pensava Casarini. Per questo si muoveva tanto velocemente, come uno che avesse una gran fretta d’arrivare dove era atteso, fosse anche all’inferno o al patibolo. Ed era così anche quella mattina primaverile, in cui era atteso al vecchio seminario, che si trovava proprio al termine di Corso Donizetti, serioso e austero ma allo stesso tempo rassicurante e quasi amicale. Ma mentre passava davanti al Conservatorio, un’epifania lo colse tra capo e collo, come una frustata. Lui e lei in bici, per le vie del corso, lei seduta sulla canna, lui le sfiora le spalle nude con la barba dura facendola sobbalzare, facendola vibrare di brividi, fremendo a sua volta per le mani di lei appoggiate sulle sue, che tenevano il manubrio della bici. E lui che ovviamente canticchiava: “Ogni attimo che noi viviamo, è stato vissuto mille volte …”. Quello era l’amore, e lui non voleva altro, canticchiare e amare. Quello era l’amore, poi finito e deflagrato in un’esplosione, l’istante stesso in cui lei gli confessò d’essere incinta di qualcun altro. Era passato un anno e Casarini aveva deciso di cambiare vita: quello ormai era il passato, roba lontana. Si stava dirigendo verso il suo seminario, dove aveva un appuntamento con il direttore.

 

Ma proprio davanti al conservatorio i sassi della strada iniziarono a ballare. Casarini era sicuro: ballavano e si sollevavano, come tanti tappeti volanti, come delle magiche libellule che sembravano trasportarlo sopra la città; danzavano a tempo di musica e ognuno aveva una storia da raccontare. I sassi si muovevano e lui poteva sentirli cantare:

 

“Sassi

che il mare ha consumato

sono le mie parole

d’amore per te”.

 

E come era felice.

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