Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Racconti nella Rete 2009 “Dalla Pop Art all’Arte Pop” di Michele Stellato

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

 

La mostra è pronta, tutto a posto per l’inaugurazione tra cinque giorni, disse Consuelo esultante al marito. Per telefono. E tu devi esserci, voglio avere mio marito accanto per l’occasione. Aggiunse. Filippo si disse disponibile, certamente, anche lui voleva essere vicino a sua moglie per questa mostra. Però la vita famigliare tra Consuelo e Filippo era un disastro. Consuelo era lontana da casa da due settimane per preparare questa mostra a cui teneva tanto, Dalla pop art all’arte pop, a Martigny in Svizzera. Si sentivano per telefono ogni sera, Consuelo lo informava di tutto, ma questo non bastava a Filippo.

«Promesso, allora?»

«Promesso, te lo ripeto, contaci.»

«E come stai?»

«Sto bene, sono appena rientrato dall’ospedale.»

Chiusa la comunicazione con la moglie Filippo si guardò in giro. La casa come al solito era immersa nel silenzio, tanto silenzio, come tutte le sere quando rientrava dal lavoro in ospedale dove faceva il chirurgo. Silenzio e ordine erano gli aspetti predominanti della sua casa. Era così da una vita. Non era pensabile sentire un po’ di chiasso in quella casa, eppure avevano due figli, Ilaria e Marco, che vivevano quasi sempre coi nonni in campagna a Varese. Oppure in collegio. Solo d’estate durante le vacanze vivevano tutti assieme, papà mamma, e figli; per tutto un lungo e meraviglioso mese a Rapallo. In una casa lasciata in eredità a Filippo dalla madre.

In fondo al corridoio appoggiato per terra contro il muro, c’era uno specchio con una bella cornice in barocco veneziano. Era lì da qualche mese, quando rientrava quella vista, la prima cosa che gli si posava sotto gli occhi, dava molto fastidio al dottor Cavallanti. Gli metteva tristezza, gli provocava un moto di cocente malinconia. Ecco il fastidio che gli dava, testimonianza di incuria, di poca premura per sistemare le cose di casa. Era piaciuto a sua moglie quello specchio, specialmente la cornice, so anche in quale punto del corridoio va bene, farò tutto io, aveva detto al momento dell’acquisto. Ma poi se n’era dimenticata, o non aveva trovato il tempo per appenderlo, presa com’era dal suo lavoro di gallerista d’arte, sempre fuori, lasciando casa al mattino presto e rientrando a sera tardi. Ma stava fuori anche per settimane, come questa volta di Martigny. Aveva talento per il suo lavoro però, era ormai un nome importante il suo, la chiamavano per consulenze di qua e di là, proprio un’expertise di grido conosciuta anche all’estero. Però l’attività della moglie, quel suo grande impegno e passione che ci metteva, per cui era sempre fuori di casa, andava stretto a Filippo. Questo era l’aspetto spesso motivo di discussione, e un pericolo per l’armonia della loro convivenza. Ma che comunque il dottor Cavallanti subiva perché pur non essendo d’accordo riconosceva piena legittimità alle ragioni di Consuelo. A Martigny Consuelo aveva rilevato una galleria di fama internazionale. Impegnando grossi capitali ed era stata completamente assorbita da questo interesse. Scomparendo del tutto da casa, anche, soggiornando a Martigny perché non poteva fare avanti indietro, Milano-Martigny, Martigny-Milano ogni giorno. Era dispendioso e spossante. Quella poi era la fase organizzativa, quella più critica per una simile iniziativa; la presenza di Consuelo che era il motore di tutto era quindi indispensabile. Aveva poi ingaggiato un artista collaboratore, che conosceva da tempo per il suo talento, con cui si trovava molto bene. Col risultato che Filippo non vedeva più sua moglie da quindici giorni. E sarebbe stato così anche in futuro, queste assenze da casa sarebbero diventate normale amministrazione; una volta al mese si sarebbero visti, o ancora più alla lontana. Era un lusso quando Consuelo tornava a casa almeno la sera. Com’erano lontane quelle sere, ne aveva nostalgia il dottor Cavallanti. Di solito Filippo rincasava prima, quando suonava il campanello ad annunciare che arrivava sua moglie aveva un tuffo al cuore. Era stato così anche l’ultima volta.

«Finalmente, che giornataccia, ciao caro.»

Consuelo gli si buttò tra le braccia. Il marito la strinse forte, stringendola chiuse gli occhi. Dopo mentre Consuelo si cambiava Filippo l’aspettò in cucina. Rimase seduto, sfaccendato e sovrapensiero, finché non comparve la moglie. Avrebbe voluto cominciare a preparare qualcosa per la cena ma non sapeva proprio da dove attaccare. Consuelo era un tipo che pur sempre fuori di casa, sempre di corsa, con mille cose da fare, con un progetto realizzato e un altro da avviare, però riusciva a programmare tutto, a prevedere tutto, e aveva a suo modo tutto sotto controllo. Era stata fuori di casa fin dal mattino, rientrata solo da cinque minuti, ma aveva pensato alla cena. Ovviamente secondo il suo sistema, ma la cena era pronta. E quando comparve in cucina, fresca come una rosa nella sua vestaglia da camera a fiori bianchi su sfondo azzurro, dispensando un sorriso al marito, con gesti sicuri accese il forno a microonde, estrasse dal frigorifero due vassoi di lasagne pronte, li dispose nel forno girando la manopola del tempo di cottura, accese la televisione a basso volume, e dopo due minuti, marito e moglie gustavano le ottime lasagne al ragù l’uno di fronte all’altra.

Ma l’ultima sera Filippo ricordava anche che dopo c’era stato uno scontro con sua moglie. Anche furioso. Era successo quando Consuelo gli aveva chiesto se era passato dalla banca a firmare l’ipoteca per avere il mutuo. Per rilevare la galleria d’arte a Martigny era stato necessario fare un prestito in banca con ipoteca sulla casa. La casa era cointestata e ci voleva anche la firma di Filippo, che era passato dalla banca e aveva firmato. Ma non riuscì a trattenersi dal dire ancora una volta che disapprovava, che l’aveva fatto controvoglia, per la pace in famiglia; e che lei, sua moglie, non aveva nessuna necessità di imbarcarsi in quell’avventura rischiosa e irresponsabile. E che poi – piccolo particolare – c’erano due figli che crescevano curati dai nonni anziché dai propri genitori. Un’osservazione che fece andare su tutte le furie Consuelo, e rimproverò al marito che non era da fare perché i figli crescevano bene e felici coi nonni; perché c’erano i cugini, il cane, e i conigli.

Consuelo sarà stata anche irresponsabile ma aveva dato il via a quel progetto con un entusiasmo alle stelle, felice, una carica di energia che sprizzava da ogni poro. E non la finiva di ripetere che si trovava bene con l’artista che aveva ingaggiato.

Filippo invece no, non si trovava bene. Si aggirava solo e sperduto per la sua casa, si sentiva in un deserto, gli era successo qualcosa, non sapeva cosa. Una stanchezza, ma non nel fisico, nell’animo. Forse era il suo mestiere che gli faceva vivere quella sensazione. Ed era inquietante. Filippo pensandoci se ne preoccupava. Perché poi? Il mestiere, sì, era il mestiere che faceva a provocargli quella depressione. Facendo questo mestiere aveva concluso, anche dopo pochi anni, ti sembra che lo fai da una vita. Divenne anche svogliato, indifferente, e faceva fatica a dormire la notte. Chissà se per la scarsa ospitalità del divano in soggiorno, dove ormai aveva preso l’abitudine di dormire, senza mettersi in pigiama, o perché qualcosa gli doleva dentro.

Alla vigilia dell’inaugurazione della mostra, al mattino, quando Filippo aveva in programma di partire per Martigny, e l’aveva anche confermato a sua moglie, mentre era ancora in casa squillò il telefono.

«Tutto bene, Filippo?»

«Sicuro, tutto bene.»

«Come hai dormito?»

«Non ho fatto sogni d’oro, ma ho dormito.»

«Ti manco? Dimmi la verità, Filippo.»

«Non devi chiedermi queste cose, ne abbiamo parlato. Pensa al tuo lavoro dove abbiamo investito dei bei soldini.»

«E’ vero, ti ringrazio, così non mi vengono sensi di colpa.»

Al semaforo sotto casa, dove se prendeva a destra raggiungeva la stazione, e se girava a sinistra si trovava sul viale che lo portava al lavoro, stava combattendo con la tentazione di non andare verso la stazione. C’era un treno per Ginevra, ed era quello che doveva prendere, in partenza alle nove e trenta. Si fa una gran fatica a organizzarla una vita, tutta fatta bene, a tua misura, in armonia con chi ti sta accanto, con qualche sfizio. Ma non basta, in agguato ci sono le bucce di banana, il marciapiedi bagnato, gli scivoloni insomma. Stava combattendo con queste considerazioni Filippo Cavallanti. Sentiva Consuelo lontana, talmente organizzata in questa sua lontananza da suo marito che difficilmente avrebbe mai potuto tornare indietro. Voleva, Filippo, anche vederci una possibilità sia pure estrema di salvezza, con recupero della loro armonia famigliare, come l’avevano vissuta fino a ieri, quando c’era, benedetta dai doni di una vita felice quando è felice. Ma i fatti lo scoraggiavano. Quando è scattato il verde con una accelerata da pirata della strada svoltò a sinistra. Verso il suo lavoro in ospedale.

 

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