Premio Racconti nella Rete 2013 “Il cuore occupato” di Elisabetta Felletti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Completamente stravolto, barcollando si accasciò su una sedia del mio studio. Anche a distanza, sentivo l’odore intenso e sgradevole di chi ha bevuto litri di vino. Piangeva, coprendosi il volto con le mani. Era stato raccattato per strada. Farfugliava frasi sconnesse, chiedeva perdono a tutti, implorava di essere aiutato. Il suo volto era una maschera di dolore: occhi infossati, guance arrossate, labbra violacee, addome prominente, camicia e giacca sporche e lise. Sembrava un barbone. L’ultima volta che lo avevo visto, un anno prima, stava bene, mi chiedevo cosa potesse essere accaduto. Sembrava invecchiato di dieci anni. L’alcool deteriora velocemente.
Era l’ombra del ragazzo attraente che avevo conosciuto.
Lavorava in un centro di recupero per minori a rischio. Avevamo collaborato per alcuni casi. Da subito avevo sentito una reciproca corrente di simpatia. Molto alto, dal fisico longilineo, colpiva per gli occhi intriganti e una massa di riccioli biondi. Era dotato di un particolare carisma che usava, in modo sottile e quasi impercettibile, nei confronti di chiunque si trovasse davanti, indipendentemente dal sesso o dall’età.
Dall’eloquio brillante, creativo nell’escogitare soluzioni inaspettate per la risoluzione di casi molto difficili, instaurava relazioni forti e significative.
Sapeva cosa provavano quei ragazzi. Era stato anche lui “ un adolescente a rischio”.
Vederlo seduto di fronte, nella condizione di paziente, mi metteva a disagio.
Gli spiegai che, proprio per la nostra precedente conoscenza, non ero la persona più adatta. Non volle sentire ragione. Ripeteva, ostinatamente, di fidarsi solo di me. M’implorò di non abbandonarlo. Con molta perplessità, accettai.
Aveva cominciato a bere, di nascosto, già da anno. All’inizio solo la sera, quando rientrava a casa, poi anche durante l’orario di lavoro. Ai responsabili del centro che si erano accorti dei suoi problemi, negò tutto. Fu licenziato dopo qualche mese. Cominciò il suo declino. Pieno di debiti, non faceva altro che andare nei bar a bere.
Con qualche remora, iniziai le sedute di psicoterapia. Andrea seguiva, diligentemente, ogni mia indicazione. Sembrava un bravo scolaro preoccupato di non deludere la maestra. Al contrario, il percorso intrapreso doveva essere centrato solo su se stesso, non era volto al soddisfacimento dei bisogni di nessun altro: né la famiglia, né i suoi operatori.
Le aspettative che nutriva nei miei confronti potevano rivelarsi un vero boomerang. Mi aveva affidato il compito di salvarlo. In tal modo, poteva defilarsi demandando a me le sue responsabilità.
I colloqui risultavano faticosi e impegnativi. Proprio per i suoi trascorsi professionali, non accettava l’idea di essere considerato “un paziente”. La sua forza di persuasione e, gli anni di lavoro in questo settore, avrebbero messo in difficoltà un operatore alle prime armi.
Nel momento cui evidenziavo la sua tendenza a manipolarmi, facendo un passo indietro, si ritraeva. Subito dopo, accettava e riconosceva il mio ruolo professionale.
Alternava momenti in cui aveva un’opinione molto alta di se, a momenti di depressione, in cui si considerava un fallito.
“Non devo ringraziare nessuno, ho fatto tutto da me. Ero un ragazzo sbandato.
A vent’anni ho ripreso gli studi, conseguito un diploma e trovato un lavoro.”
Diceva, con orgoglio.
Viceversa, nei momenti di angoscia vedeva tutto nero, sia il presente che il futuro. Convinto di essere finito in fondo ad un precipizio, non aveva più la forza e l’energia per rialzarsi.”Troppe volte sono caduto, adesso sono stanco e non ho più alcun desiderio, se non quello di farla finita.” Alle parole, seguiva, senza vergogna, un pianto liberatorio.
Nella sua infanzia un ricordo indelebile: l’immagine della madre, distesa nella bara e lo sgomento di un bimbo di soli sei anni, senza parole.
Assenza incolmabile e insostituibile. Il padre si risposò.
Sempre volto indietro, Andrea si sforzava di frugare nella memoria per ritrovare ogni immagine della madre idealizzata, anche quelle più lontane nel tempo, come preziose reliquie, da consacrare sull’altare di un amore eterno. Sentivo in lui una sorta di rancore nei confronti del destino, ricacciato nel fondo della sua anima. Un’emozione forte della quale non era mai stato consapevole, che, a fatica, riconosceva.
Dal secondo matrimonio nacque un fratello motivo per Andrea di amore e gelosia.
Era forte in lui la convinzione di non essere amato dalla nuova moglie del padre, proprio perché non era suo figlio naturale.
Venni a sapere dai familiari che lei, nei momenti più difficili, gli era stata vicina, sostenendolo.
Masochisticamente, preferiva continuare a sentirsi solo e abbandonato.
Accettare l’amore di un’altra donna, avrebbe significato tradire la memoria della madre naturale. Nel suo cuore c’era un unico posto, occupato da lei, per sempre.
Traeva origine da queste vicende l’aspetto competitivo del suo carattere, rivolto a tutti quelli che aveva incontrato sulla sua strada, sia sul lavoro, che nella vita privata. Era disposto a qualunque sacrificio, pur di essere sempre il primo. Secondo il suo “delirio di onnipotenza”, doveva risolvere tutte le situazioni, perfino quelle che, sul piano emotivo, non sapeva gestire.
Oltrepassava i suoi limiti, dimostrando di non rispettarsi e di non avere considerazione di se. Aveva bisogno di qualcosa che potesse aiutarlo a gestire lo stress. L’alcool entrava in campo, silenziosamente, senza infastidire nessuno.
Discutemmo su cosa potesse significare iniziare a dir di no.
Cominciò con le persone estranee. Durante i colloqui appariva come più leggero, mi raccontava, quasi divertito, come aveva messo a tacere un amico troppo invadente. Altra cosa era dir di no alle persone importanti, sul piano affettivo. Quello era un terreno accidentato, al quale avvicinarsi con la massima cautela.
Nel frattempo, il suo umore migliorò. Stava ricominciando ad apprezzare le piccole cose. Tanti piccoli cambiamenti erano avvenuti, ma qualcosa ancora di ombroso restava in lui rendendolo, spesso, di malumore.
Lo zoccolo duro restava il rapporto non risolto con la figura materna.
Rifiutò la mia proposta di organizzare un incontro con la seconda madre spiegando che, “la signora”, non avrebbe mai accettato: aveva cose più importanti da fare.
Ancora una volta ritornava quel vissuto da “Calimero”, responsabile delle sue difficoltà nel rapporto con le donne. Chiesi di scrivere una lettera in cui esprimere tutto quello che non le aveva mai detto. Gli occhi si riempirono di lacrime. La amava, ma sentiva di non essere ricambiato in egual misura. La rabbia, che stava montando in lui, era della stessa intensità del suo desiderio d’affetto.
La volta successiva, dichiarò che era troppo tardi per cambiare i rapporti. Non avrebbe nemmeno tentato di farlo. Al solo pensiero stava male. Forse avevo ragione sui suoi sentimenti ma, questa consapevolezza, non serviva a nulla. Dette queste parole, si chiuse in un mutismo che non lasciava alcuno spiraglio.
Sparì per settimane, inventando delle scuse poco credibili. Era troppo spaventato e disorientato dalle sue stesse emozioni, sentivo che non avrebbe retto a lungo.
Ebbi sue notizie dopo qualche mese. Era ritornato a bere.
Fui presa da un senso di sconforto e di paura per la sua incolumità fisica. Sentivo quel senso di solitudine che non lo abbandonava mai e la sua disperazione. Al contempo, lo ammiravo per quelle risorse che trovava sempre nei momenti bui a conferma del suo attaccamento alla vita.
Questa volta i danni furono tangibili. Aveva rischiato di morire per un pauroso incidente stradale.
Andai a trovarlo in ospedale. Quella maschera di “onnipotenza” era caduta. Miseramente, al suo posto c’era un ragazzino indifeso. Anche il suo corpo, defedato, mostrava la sofferenza profonda dell’anima.
Bisogna ricominciare tutto d’accapo. Io ero pronta. Gli tesi la mano.
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Attraenti questi personaggi oltre che umani. La storia mi ha davvero commossa!
Ancora una volta l’autrice riesce a descrivere con grande precisione la sofferenza del paziente.Ti senti presente sulla scena,accanto a loro,quasi a sentire i loro respiri,i loro discorsi,i loro interrogativi.Un flash sulla vita di un uomo che chiede aiuto,ed una mano che si tende per non farlo cadere nel vuoto.
Talmente reale che, nel leggere questo scritto,le scene si susseguivano dinanzi ai miei occhi. Un giorno qualcuno disse:” Solo toccando il fondo si trova la forza per riemergere più forti di prima.Affrontando i fantasmi del passato si inizia a vivere.” Come Andrea tantissimi altri ragazzi troveranno sulla loro strada una persona che li accompagnerà nel loro percorso di vita,gli tenderà la mano e con pazienza starà ad aspettare..Ci saranno momenti in cui tutto sembrerà vano ma nulla è vano o inutile se vien fatto con professionalità e con il cuore.
Una storia che ti resta dentro. Complimenti !!!
…storia molto bella che, tanto storia non è purtroppo. Ho condiviso la speranza dell’amica medico nel poter redimere Andrea. Si legge d’un fiato e si continua a sperare! Brava!!
Grazie a coloro i quali hanno espresso la loro opinione. Mi sembra che fra tutti ci sia un comune filo conduttore che si ascrive al registro delle emozioni.
Faccio i miei complimenti a Ornella Spada il cui racconto ho apprezzato.